di Marco Consolo –
Sconfitta storica della destra in Cile dopo 2 settimane straordinarie nella storia del Paese.
Pochi giorni fa il Parlamento cileno ha approvato la possibilità di ritirare il 10 % dei fondi risparmiati dai lavoratori e dalle famiglie nelle famigerate AFP (Amministratori Fondi Pensione). Si tratta di una spallata a uno degli abusi più sfacciati della dittatura di Pinochet che, sotto dettatura neo-liberale dei Chicago Boys di Milton Friedman, a partire dal 1980 [i] ha introdotto l’obbligo di risparmio forzato a favore della previdenza privata. Grazie alla dittatura civico-militare, anche su questo versante, il Cile è stato il laboratorio mondiale delle politiche neo-liberiste con il famigerato D.L. 3.500.
Questo modello “previdenziale” in realtà consente ai grandi gruppi privati di raccogliere e canalizzare il risparmio per finanziarsi, nonchè di investire il denaro depositato dai cittadini, senza che essi possano accedere agli utili, ma viceversa assumendone le perdite. Secondo il copione neo-liberista della privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite, tanto caro a Josè Piñera, fratello maggiore dell’attuale Presidente, che introdusse in Cile il sistema AFP.
Con un dettaglio: al momento di decidere, Pinochet ed i vertici militari stabilirono che sia le Forze Armate che quelle di Polizia avrebbero mantenuto il sistema pensionistico a carico dello Stato, con evidenti benefici [ii].
Nelle ultime settimane in Cile non si è parlato d’altro. Il dibattito pubblico ha squadernato la natura abusiva del risparmio forzato, anche grazie al rifiuto isterico dei potenti di restituire ai loro proprietari anche solo una piccola parte dei fondi accumulati. E ha riproposto con forza la necessità di ricostruire il sistema pubblico di previdenza sociale, distrutto dalla dittatura per trasferirlo al circolo ristretto dell’oligarchia restaurato l’11 settembre 1973.
Il dibattito ha messo a nudo anche le contraddizioni del centro-sinistra, di cui molti esponenti siedono nel Consigli di Amministrazione delle AFP e ne sono stati strenui difensori nel passato. Oggi si ricompattano per mettere alle corde la destra al governo.
La decisione parlamentare costituisce una sconfitta importante del governo di Sebastián Piñera, convinto difensore di questo sistema, strutturalmente incapace di risolvere i bisogni più elementari come salute e istruzione, da decenni in mani private in un sistema ancora ingessato dal pinochetismo.
Nonostante la crisi sanitaria, sociale ed economica, i licenziamenti associati alla pandemia e un bilancio delle vittime che supera le 13.000, le uniche misure offerte dal governo sono state scatole di cibo, prestiti bancari e buoni pari a circa 550 euro, ma solo per un settore ridotto della popolazione con contratto e reddito formale da lavoro. [iii].
Ma oggi in Cile il lavoro “al nero” o informale è una realtà estesa ed in crescita. E quasi la metà dei lavoratori guadagna meno di 500 mila pesos lordi (550 euro), al netto meno di 400 mila pesos (440 euro), mentre solo il 20% dei lavoratori guadagna più di 750 mila pesos (830 euro).
Dalla creazione delle AFP, oltre 150 miliardi di dollari sono stati versati come contributi obbligatori e le compagnie assicurative hanno incassato premi di oltre 70 miliardi di dollari. Nel “settore previdenza” esistono una trentina di società, di cui diverse straniere (ad esempio BlackRock, il maggior gestore mondiale di fondi). Ma solo quattro hanno intascato la metà di questo enorme flusso di denaro, oltre 35 miliardi di dollari. E le quattro società sono saldamente in mano ai “grandi elettori” amici di Piñera [iv].
Comparate con le pensioni letteralmente da fame che le AFP malvolentieri ditribuiscono, c’è da dire che, negli ultimi 10 anni, i loro amministratori si sono aumentati lo stipendio fino al 500%. Il record spetta a un italiano, Alfredo Orelli, presidente della AFP Planvital (controllata da Assicurazioni Generali SPA), che guadagna la modica cifra di circa 21.000 euro al mese [v].
Con un evidente indignazione e malcontento della popolazione (più del 90% è d’accordo con il ritiro del 10 percento), la colonna sonora del dibattito parlamentare è stato un enorme “cacerolazo” nazionale guidato da organizzazioni sociali e politiche contro le misure dell’ultimo minuto annunciate dal Presidente Sebastián Piñera come “aiuti economici” per il ceto medio. Un palese escamotage per cercare di frenare l’approvazione del prelievo, che non ha convinto l’86 % della popolazione che ritirerà il suo 10 % per aiutarsi durante la pandemia [vi].
Secondo un recente sondaggio di Plaza Pública Cadem, l’approvazione di Piñera è caduta al minimo storico del 12 % (perdendo 15 punti), mentre solo il 29 % approva la gestione del suo governo contro il coronavirus.
Si tratta quindi di una doppia sconfitta, sia economica che simbolica, che mette in seria difficoltà il governo e la destra.
In Cile le AFP raccolgono quasi 200 miliardi di dollari, l’equivalente di più dell’80% del PIL del Paese, permettendo loro di fare il bello ed il cattivo tempo nella politica nazionale.
Di fronte all’assenza di misure efficaci da parte del governo, naturalmente non era auspicabile attingere ai propri risparmi per la vecchiaia. Ma il prelievo parziale ha un valore simbolico al di là della sua natura di emergenza. Rappresenta un primo e grande colpo contro il disastroso sistema pensionistico privato, difeso disperatamente in questi giorni dal capitale finanziario e dai suoi rappresentanti, con Sebastián Piñera al timone.
L’irruzione della protesta sociale
Non c’è dubbio che l’irruzione della protesta sociale (tra cui il movimento NO+AFP) a partire dallo scorso ottobre, ha imposto a governo e parlamento la necessità di affrontare i bisogni immediati di una popolazione allo stremo a causa della pandemia e della profonda crisi sociale ed economica. In un Paese con uno dei peggiori record al mondo in quanto a redistribuzione del reddito e concentrazione della ricchezza, la maggioranza della popolazione (quasi il 70%) è indebitata per far fronte alle spese correnti.
Ma da ottobre ad oggi, il governo di Sebastian Piñera non ne ha azzeccata una, facendo un errore dopo l’altro.
Senza occuparsi delle cause profonde della crisi sociale e politica, senza intelligenza o un briciolo di creatività, la reazione di Piñera e del suo governo è stata una brutale repressione di massa, la squalifica delle richieste della piazza, la vaga retorica, l’uso della pandemia a fini politici ed una stretta autoritaria. Una strategia che, nel corso dei mesi (con il dramma del Covid-19 e il crollo economico), ha mostrato il suo completo fallimento.
Il governo si è opposto in tutti i modi al ritiro del 10%, ma non è riuscito a convincere neanche i suoi sostenitori: la destra si è spaccata e una parte significativa dei suoi parlamentari ha votato a favore per non perdere il risicato appoggio rimasto. Non è bastata la “campagna del terrore” condotta dalle AFP e da “esperti” vicini al governo che hanno sproloquiato di “cattiva politica”, dannosa per l’economia, regressiva e irresponsabile dal punto di vista fiscale, vaticinando il disastro economico e soprattutto un drastico peggioramento delle pensioni (in realtà minimo).
Per azzittire gli “esperti”, c’è voluta la dichiarazione del Centro Studi di una banca [vii] che ha ricordato che la messa in circolazione di quasi 20 miliardi di dollari rappresenta uno stimolo straordinario all’economia, proprio nel momento in cui ce n’è più bisogno. E dopo questo voto, i pochi grandi imprenditori che controllano la maggior parte dei fondi dovranno restituire quasi 20 miliardi di dollari a 11 milioni di donne e uomini che lavorano e a meno di 1 milione di pensionate-i.
Il governo ha dovuto incassare la sconfitta, scartando la possibilità di un veto presidenziale o di impugnare la decisione presso il Tribunale Costituzionale. Entrambe le ipotesi avrebbero significato un suicidio politico, anche se il Tribunale Costituzionale ha soccorso la destra in più occasioni a difesa della Costituzione di Pinochet, ritoccata in democrazia dal centro-sinistra, ma ancora in vigore sostanzialmente intatta nei principi cardine.
Tra le varie perle della Carta Magna dittatoriale, vi è la definizione dello “Stato come sussidiario al mercato”. Ovvero, dove non arriva il mercato, lo Stato è chiamato ad intervenire. La stessa Costituzione ha favorito la privatizzazione dell’acqua ed oggi in Cile si vendono i fiumi, mentre 138 comuni soffrono una drammatica siccità [viii].
La forza della rivolta sociale iniziata nello scorso ottobre, e le devastazioni economiche e umane della pandemia, sono entrate nella asfittica istituzionalità politica cilena causando fratture, divisioni e frammentazione dei grandi blocchi dei poteri forti.
Un rimpasto pinochetista di governo
L’accelerazione della crisi ha ottenuto ciò che i lunghi mesi di proteste non hanno potuto. La destra ne è uscita non solo sconfitta, ma profondamente divisa, in maniera trasversale, con la frammentazione e il crollo di “Cile Vamos”, la coalizione dei partiti di governo che appariva abbastanza compatta fino a poche settimane fa. Con uno strascico di dimissioni, sanzioni interne contro coloro che hanno votato contro il governo, scontri tra personaggi storici della destra e del pinochetismo.
La rottura all’interno di questa coalizione avrà effetti a breve e lungo termine e potrebbe essere l’inizio della fine di un’era che ha la sua origine nella dittatura.
In evidente difficoltà, Piñera ha realizzato il quinto rimpasto del governo dallo scorso ottobre, con nuovi ministri della “destra dura” pinochetista per cercare di ricomporre la litigiosa coalizione di governo (UDI, RN e Evópoli).
Ma il tempo corre. Con una destra divisa (e con molti deputati e senatori che si oppongono apertamente alle decisioni del governo) i mesi a venire aprono la possibilità di profondi cambiamenti in sintonia con le grandi proteste iniziate nell’ottobre 2019. La prossima importante scadenza sarà il plebiscito per il cambio di Costituzione previsto per il prossimo 25 ottobre (con una probabile sconfitta della destra). E l’anno prossimo ci sarà una maratona elettorale coronata dalle elezioni presidenziali.
L’ostinazione di Piñera nel mantenere a tutti i costi i pilastri dell’ordine neoliberista potrebbe trasformarsi in un nuovo carburante per forze sociali e politiche. Nel frattempo, il fuoco della rivolta cova sotto la cenere.