di Laura Santi –
Parlando di Costituzione, ci è parso affascinante ricordarvi il discorso tenuto nel 2005 da David Foster Wallace ai laureandi di Kenyon College (USA), dove lo scrittore si rivolge ai suoi studenti parlando dell’importanza dell’acqua:
“Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: – Salve, ragazzi. Com’è l’acqua? – I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa: – Che cavolo è l’acqua? -.”
Lui stesso ci chiarisce il significato del suo racconto: “Il succo della storiella è semplicemente che le realtà più ovvie, onnipresenti e importanti sono spesso le più difficili da capire e da discutere”.
Insomma, spesso fatichiamo a renderci conto che l’acqua in cui viviamo, cioè le libertà civili e le garanzie di cui godiamo oggi, sancite proprio da quella Carta e conquistate faticosamente con lacrime e sangue, costituisca un traguardo tutto sommato recente. E’ fisiologico dunque che questi diritti fondamentali, una volta fissati, non vengano così automaticamente tradotti in realtà, ma siano solo un punto di partenza, il segno di una presa di coscienza raggiunta.
Proprio per questo ci è parso utile chiarire alcuni concetti inerenti le Costituzioni “moderne”, facendo anche un brevissimo excursus storico (promesso!), per introdurre alcune differenze tra queste e quelle considerate “non moderne”, intendendo con esse anche quelle risalenti alla fine del XIX secolo. Ovviamente per spiegarvi ciò non faremo tutto da soli, ma utilizzeremo il bel discorso del giurista e docente Massimo Severo Giannini, tenuto nel maggio 1950 nel corso di un ciclo di lezioni sul tema, su iniziativa della Camera del Lavoro di Roma. Abbiamo preferito evitare di riportarlo per intero per non appesantire eccessivamente il post.
Il professore dunque inizia raccontandoci che, durante il periodo Medievale, le Costituzioni assumevano la forma di leggi fondamentali, ma di solito riguardavano solamente alcune comunità o classi privilegiate. Il sovrano, che poteva essere l’imperatore o il pontefice, acconsentiva a concedere alcune libertà ad una città o ad una categoria di sudditi: queste venivano poi inscritte in un “documento solenne” (es. Carta, Statuto, ecc.) dove, insieme ad altre norme contenute nel documento, istituivano una Costituzione. E, potete crederci, veniva custodita con gelosia e grande cura, essendo l’unica garanzia dei diritti/privilegi dati a quella specifica classe di cittadini, di cui altri non beneficiavano. Pertanto, come afferma Giannini “riconoscendo ai propri sottoposti alcuni diritti, ossia riconoscendoli come «cittadini», il sovrano veniva a limitare i propri”.
Successivamente in parte sulla scorta di questa idea, durante il Risorgimento italiano, il significato che venne attribuito alla parola Costituzione fu quello di intenderla come un “corpo di norme che limitasse i poteri del sovrano assoluto, e riconoscesse alcuni diritti dei cittadini, che erano detti «diritti fondamentali»”.
Ricordiamo invece che le Costituzioni cosiddette moderne, come ci spiega Giannini, hanno assunto allo stato attuale un significato più generale e meno politico, poiché indicano “il corpo delle norme fondamentali, supreme, che reggono un ordinamento giuridico”.
Per chiarire ulteriormente queste differenze, è utile anche effettuare un paragone con il concetto di Stato liberale, “caratterizzato dal fatto che il potere politico è attribuito ad una classe distinta per il suo censo. Cioè, come si capisce, alla classe borghese”. Questa attribuzione tuttavia, non era un escamotage ideato da alcune classi per esercitare il potere al di fuori della legge, ma al contrario era previsto dalla stessa Costituzione.
“Così, ad esempio, se si esamina la decina di Costituzioni che successivamente si diede la Francia dopo il 1789, si vede come all’affermazione di principio per cui tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge, e per cui sono abolite le differenze di nascita, di professione ecc., non corrisponde affatto una adeguata legislazione esecutiva. Per cui nelle leggi elettorali è detto che il voto spetta solamente a determinate persone, provviste di un certo censo […]”.
Ovviamente ciò stava a significare che il corpo elettorale che andava a determinare sia i titolari degli organi istituzionali che il potere legislativo e l’orientamento politico generale, veniva affidato a un’esigua minoranza di cittadini. Ciò veniva giustificato in vari modi: ad esempio, “si diceva che dovendo essere gli uomini politici superiori ad ogni sospetto era indispensabile che essi fossero economicamente indipendenti, per cui solo i ricchi potevano avere la possibilità di divenire titolari di organi costituzionali”. Ma tutto ciò veniva abilmente mascherato utilizzando il concetto di “sovranità popolare” e specificando che il Parlamento rappresentava tutto il popolo, quando in realtà non era affatto così.
“Altro principio che si poneva a giustificare una così ristretta rappresentanza era quello della preparazione culturale”. Così ovviamente, “si giungeva direttamente alla conseguenza che la direzione della cosa pubblica non poteva spettare se non agli appartenenti ad una classe abbiente che avesse la possibilità di fornire di istruzione tecnica apposita i propri appartenenti”.
Da ciò si evince in realtà che nello Stato liberale il potere politico effettivo non fosse interamente nelle mani di un’unica classe (cioè la borghesia), ma in quelle di una ancor più ristretta cerchia di persone, che rappresentava la sua parte più abbiente, praticamente “un’oligarchia legale”.
“Così stando le cose è chiaro che in uno Stato liberale la Costituzione adempie una funzione di classe. Essa è, in altre parole, uno strumento che premana da una sola classe, e che quindi serve a questa per scopi esclusivamente propri. […] Suo scopo è quello di far sì che i gruppi, i quali si avvicendano al potere, tutti appartenenti alla medesima classe, esercitino il potere medesimo in modo da non sopraffare gli altri gruppi. E questo perché, essendo lo Stato liberale uno Stato di classe, la lotta politica si svolge, in esso, appunto tra gruppi”.
Questi stessi gruppi, a cui erroneamente spesso ci si riferisce definendoli partiti, componevano la realtà politica del tempo, che corrispondeva appunto in lotte di gruppo e non di classe: “I gruppi, a differenza dei partiti, sono delle realtà sociali mobili, mentre i partiti sono delle realtà sociali rigide. Può così avvenire che l’accadere di nuovi fatti politici, interni o internazionali, porti delle convergenze puntuali di determinati interessi dei gruppi tali da spostare e rimaneggiare le composizioni dei gruppi che si avevano in precedenza. Lo schieramento dei rappresentanti dei gruppi in Parlamento non avviene perciò secondo idee precostituite, ma è dominato dalla mobilità degli interessi dei gruppi. […]” Si comprende perciò come nello Stato liberale sia possibile una azione del Parlamento rivolta a controllare il governo: non essendo il Parlamento una entità prefissata, divisa per partiti, ma una entità mobile divisa per gruppi, il governo si forma e si scioglie a seconda degli schieramenti dei gruppi.
Nella parte regolativa dell’organizzazione costituzionale la Costituzione ha lo scopo appunto di permettere la formazione di questi gruppi e di permettere il loro gioco politico variabile in ordine al variare degli eventi; essa si preoccupa solo di impedire che la formazione dei gruppi possa degenerare in usurpazione di poteri da parte dei gruppi, e quindi in tirannia. L’organo principale dello Stato liberale, il “Parlamento”, è per più aspetti simile ad una borsa: ” è il luogo dove gli esponenti dei gruppi concordano le linee della politica del governo o della opposizione, provocando, con adeguate manovre, il rialzo o il ribasso di determinati valori politici”.
Inoltre in questa forma di Stato, le uniche libertà costituzionali garantite erano quelle professionali e patrimoniali, pensate soprattutto per garantire lo spazio di manovra necessario agli esponenti dell’oligarchia legale, che costoro reputavano indispensabile.
Per quanto riguarda la libertà di espressione, invece, essa era garantita unicamente nel momento in cui venisse esercitata entro i limiti delle Istituzioni, e non contro di esse; perciò ogni esercizio di questa libertà al di fuori dei confini posti dall’oligarchia diventava illegale e punibile dalla legge.
Solo con l’allargamento delle basi dei suffragi si arriva gradualmente alla scomparsa delle oligarchie legali e lo Stato liberale giunge al termine, arrivando dapprima alla formazione dei partiti di tendenza e successivamente a quelli di classe.
l discorso di D. F. Wallace è riportato da Nuccio Ordine nel suo “L’utilità dell’inutile”, Bompiani Ed., 2013