Camillo Guglielmi era in forza a Modena, no, a Parma, era lì per caso, voleva salvare Moro, ma purtroppo è arrivato tardi. Per questo poi è morto di crepacuore.
La mattina del 16 marzo 1978 in via Fani 109 ci sono un gladiatore della Decima Mas, Tullio Moscardi, e il cognato di un gladiatore di Capo Marrargiu, Bruno Barbaro. A pochi passi, in via Stresa, c’è anche il cognato, Ferdinando Pastore Stocchi, addestratore di gladiatori a Capo Marrargiu, e fra via Stresa e via Fani è presente il responsabile di un reparto speciale d’assalto (il “Gruppo Guglielmi” di tiratori scelti), il colonnello Camillo Guglielmi. Ma la dottoressa Tintisona, ispettrice capo di polizia, nel suo rapporto alla Commissione Moro banalizza, glissa, nasconde, tace sulla loro presenza e sulla loro compresenza, sulla loro storia e sulla loro carriera. Perché? Eppure è bella la storia di questi uomini dei Servizi.
Prendiamo uno di questi, dottoressa Tintisona: il colonnello Camillo Guglielmi. Chi era costui? Lei non ne parla, ma ne parla il ministro della Difesa Cesare Previti, audito dalla Commissione Stragi presieduta dal senatore Pellegrino. È il 15 novembre 1994 e il ministro racconta. “Egli [Guglielmi] alla data del rapimento dell’onorevole Moro, era in forza alla legione dei carabinieri di Parma, dalla quale venne collocato in congedo – a domanda – sotto la data del 15 aprile 1978”.
Un anno prima dell’audizione del ministro, nel novembre 1993, il generale Paolo Inzerilli, comandante di Gladio dal 1974 al 1980, aveva scritto un libretto (“Gladio. La verità negata”), nel quale diceva di Camillo Guglielmi: “detto Ufficiale all’epoca era il Comandante del Gruppo Carabinieri di Modena, incarico che reggeva dal 2 settembre 1974 e che ha lasciato il 14 aprile 1978 (un mese dopo il rapimento) quando è andato in pensione.”
Sembrerebbe quasi che al ministero della Difesa non sapessero bene dove far figurare Guglielmi, se all’epoca Inzerilli lo dà in forza a Modena, e Previti lo dà in forza a Parma. L’importante è negare che potesse essere operativo a Roma. Poi, in fondo, Modena e Parma non sono mica lontane.
Solo dopo essere stato congedato, racconta il ministro nel 1994, il colonnello Guglielmi entra nei Servizi: “In epoca successiva, il predetto ufficiale prestò opera per il Sismi, in qualità di «esperto», a decorrere dal primo luglio 1978, in attesa del richiamo temporaneo in servizio”. Su questo non c’è contrasto con Inzerilli, che nel 1993 sostiene: “lo stesso Ufficiale in data 22 gennaio 1979 è entrato a far parte di un ufficio del SISMI che è stato costituito il 15 maggio 1978….. Non ha mai fatto parte di Gladio, di cui non conosceva neanche l’esistenza…”
Ma nel 1990 Pierluigi Ravasio, ex gladiatore, aveva raccontato che la mattina del 16 marzo 1978 Camillo Guglielmi, suo comandante, era lì per tentare di salvare Moro, ma purtroppo non era giunto in tempo; e il 16 maggio 1991 lo stesso Guglielmi aveva dichiarato al giudice De Ficchy che si trovava lì alle nove di mattina perché era stato invitato a pranzo; poi il 9 giugno 1991 Cossiga aveva detto pubblicamente che gli incursori del Comsubin erano pronti a intervenire per liberare Moro; e subito dopo, il 10 giugno 1991 l’ammiraglio Giovanni Torrisi aveva confermato che erano stati portati a Roma uomini dei reparti speciali nel tentativo di liberare Moro; e il 28 giugno 1991 gli aveva fatto eco Decimo Garau, ufficiale medico, deponendo davanti al giudice Carlo Mastelloni.
Se il ministro Previti nel 1994 avesse letto Inzerilli e il generale Inzerilli nel 1993 avesse letto le rivelazioni di Cossiga e dell’ammiraglio Torrisi del 1991, le fonti ufficiali avrebbero evitato di contraddirsi raccontando una menzogna dietro l’altra. Ma a noi le loro bugie permettono di ricostruire con sufficiente sicurezza questo quadro: gli incursori del Comsubin e i Gladiatori sono culo e camicia, e insieme si trovavano in via Fani la mattina del 16 marzo 1978. Ufficialmente, per salvare Moro. Ma arrivarono tardi. Per questo, aggiunge la vulgata, pieno di rimorsi per non aver potuto salvare Moro, Camillo Guglielmi morì di “crepacuore” nel gennaio 1992, all’età di 68 anni, come dice Fabrizio Colarieti (www.lettera35.it ). Da dove provenga questa chiacchiera non si sa, visto che non ne parlano né Previti né Inzerilli. Ma la fonte da cui attinge Colarieti dev’essere originata dalla menzogna ufficiale: che i gladiatori volevano salvare Moro. E non è vero niente.
Ragioniamo un po’, dottoressa Tintisona.
Camillo Guglielmi sarebbe stato logorato dal rimorso per non essere arrivato in tempo? Ma come, alle 9 di mattina era già pronto per andare a pranzo, e invece si presenta al blitz per rapire Moro solo con mezz’ora di anticipo? O che non l’aveva regolata l’ora sul meridiano di Greenwich? O che non ce l’aveva l’orologio subacqueo dei parà, quello fatto da quella ditta artigianale fiorentina? E come ha fatto, logorato dal rimorso, che l’ha scavato dentro per tanti anni, dal 1978 al 1992, a sopravvivere tanto tempo? Poteva morire anche prima, e non dopo essere stato interrogato dal giudice De Ficchy. Lui che quella mattina del 16 marzo era ancora fresco delle manovre Nato, alle quali aveva preso parte in febbraio con il suo gruppetto di assassini, chiamati anche squadre K (killer), perché si capisca bene a cosa servono. E cosa avrà detto ai suoi ragazzi, che lo chiamavano “papà”, la sera prima del 16?: “Figlioli, ci si trova giù al bar? No, al bar Olivetti no, è già pieno. Si va in via Stresa, verso l’otto, l’otto e un quarto, si sincronizza l’orologio e poi si spara un po’. Pochino, però. Le palle costano”.
Ma è poi morto davvero nel 1992 il colonnello Camillo Guglielmi? Perché il generale Inzerilli (novembre 1993) non lo dice, e il ministro Previti (novembre 1994) nemmeno: eppure avevano a disposizione il foglio matricolare e avevano tutto l’interesse a dire che era già morto. La notizia la dà poi il Procuratore generale della Repubblica, Ciampoli nella sua requisitoria (novembre 2014): ipotizza la sua messa in stato d’accusa per concorso nell’omicidio degli agenti della scorta di Aldo Moro, ma archivia la denuncia perché Guglielmi è morto nel 1992, dice.
Ma se era lì con i suoi assassini ed è sospettato di aver ammazzato gli agenti, forse non era lì per salvare Moro. Allora, stai a vedere che non è morto di crepacuore….
Che ne dice, dottoressa Tintisona? Non è una bella storia, questa del colonnello Guglielmi, che forse comandava quelli che hanno ammazzato il suo collega, l’agente Iozzino?
(continua)
Le fonti dello staff di iskrae