Sono crescenti i timori per le esecuzioni imminenti di Ali Mohammed Baqir al-Nimr e di altri due giovani attivisti sciiti in Arabia Saudita, arrestati da minorenni per aver partecipato a manifestazioni anti-governative, ha dichiarato Amnesty International dopo aver appreso del loro trasferimento in isolamento.
L’organizzazione è stata in grado di confermare che Ali al-Nimr, Dawood Hussein al-Marhoon e Abdullah al-Zaher Hasan sono stati trasferiti in isolamento nel carcere di al-Ha’ir a Riad il 5 ottobre. Erano stati arrestati in tempi diversi nel 2012, quando erano tutti minori di 18 anni, e condannati a morte nel 2014. Tutte e tre le condanne a morte sono state confermate dalla Corte d’appello dell’Arabia Saudita e dalla Corte suprema all’inizio del 2015.
Le notizie riferite dai media filogovernativi secondo le quali Ali al-Nimr potrebbe essere a rischio di crocifissione dopo la decapitazione hanno scatenato una protesta globale. Il 14 ottobre la madre ha fatto appello al presidente degli Usa Barack Obama affinché intervenga per salvare suo figlio.
“La pena di morte è una punizione crudele, inumana e degradante e non vi è alcuna prova convincente che rappresenti un particolare deterrente contro il crimine. Il suo utilizzo per punire qualcuno per un crimine che avrebbe commesso quando aveva meno di 18 anni è una flagrante violazione del diritto internazionale” ha dichiarato James Lynch, vice direttore del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
“Il fatto che tutti e tre affermino di essere stati torturati e che sia stato loro negato l’accesso a un avvocato durante gli interrogatori solleva ulteriori gravi preoccupazioni circa i procedimenti giudiziari nei loro casi. È evidente che non hanno avuto nulla che assomigli a un processo equo.”
Ali al-Nimr è stato arrestato nel febbraio 2012, quando aveva 17 anni, detenuto in un centro di riabilitazione minorile e poi in un carcere per adulti. È stato condannato a morte nel maggio 2014 dalla Corte penale specializzata (SCC) a Gedda, un tribunale di sicurezza e lotta al terrorismo, per 12 reati che includono aver manifestato contro il governo, aver aggredito le forze di sicurezza, essere in possesso di una mitragliatrice e aver compiuto una rapina a mano armata. Ali al-Nimr ha dichiarato che le sue “confessioni” sono state estorte sotto tortura, ma la Corte ha rifiutato di avviare un’indagine sulle sue affermazioni.
Dawood Hussein al-Marhoon e Abdullah Hasan al-Zaher sono stati arrestati il ??22 maggio e il 3 marzo 2012, rispettivamente all’età di 17 e 16 anni. Sono stati condannati a morte dal SCC a Riad a ottobre 2014 sulla base di accuse simili, che comprendevano aver partecipato a proteste antigovernative, effettuato una rapina a mano armata e “partecipato all’uccisione di agenti di polizia avendo fabbricato e usato bombe molotov per aggredirli”. Anche loro hanno dichiarato di essere stati torturati e costretti a “confessare”.
“Il primato dell’Arabia Saudita quando si tratta di condannare a morte a seguito di procedimenti giudiziari profondamente viziati è assolutamente vergognoso. La pena di morte viene spesso applicata in modo arbitrario al termine di processi platealmente iniqui” ha aggiunto James Lynch.
“La situazione è aggravata in questo caso avendo imposto condanne a morte a rei minorenni, in vergognosa violazione del diritto internazionale. È assolutamente scandaloso che il giudice abbia respinto le accuse di tortura di tutti e tre gli attivisti per farli ‘confessare’ e li abbia molto semplicemente condannati a morte.”
La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, che è giuridicamente vincolante per l’Arabia Saudita, chiarisce che le condanne a morte non possono essere imposte per reati commessi da persone di età inferiore ai 18 anni.
L’Arabia Saudita è uno dei carnefici più prolifici del mondo. Il regno ha messo a morte 137 persone finora nel 2015, rispetto alle 90 di tutto il 2014. Le condanne a morte sono spesso imposte al termine di processi iniqui, senza risparmiare minorenni e persone con disabilità mentali, come recentemente documentato da Amnesty International.
Ali al-Nimr è il nipote dello sceicco Nimr Baqir al-Nimr, eminente religioso sciita dell’Arabia Saudita orientale che è stato condannato a morte nell’ottobre 2014. Le tensioni tra le autorità saudite e la minoranza musulmana sciita del paese sono aumentate dal 2011 quando, ispirati in parte dalle proteste popolari in Medio Oriente e Africa del Nord, alcuni cittadini della maggioranza sciita della provincia orientale hanno intensificato le richieste di riforme.
Ulteriori informazioni
Dal 2012, le autorità saudite hanno preso di mira difensori dei diritti umani e dissidenti nella totale impunità, utilizzando sia i tribunali sia mezzi extragiudiziali, come l’imposizione di divieti di viaggio arbitrari.
Nel febbraio 2014, le autorità hanno messo in vigore una nuova legge anti-terrorismo che da allora è stata usata contro difensori dei diritti umani e attivisti per condannarli a lunghe pene detentive e perfino alla morte.
La maggior parte dei processi a questi attivisti ha avuto luogo presso la SCC, la cui giurisdizione è vaga e i cui procedimenti sono avvolti nel segreto.
Oltre agli attivisti sciiti di cui sopra, la SCC ha anche condannato l’avvocato e difensore dei diritti umani Waleed Abu al-Khair secondo la nuova legge antiterrorismo. Inoltre, il 13 ottobre ha condannato a nove anni di carcere Abdulrahman al-Hamed, uno dei membri fondatori delle organizzazioni indipendenti per i diritti umani, l’Associazione saudita per i diritti civili e politici (ACPRA).
FINE DEL COMUNICATO
Roma, 16 ottobre 2015