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Abbiamo questa grave colpa. In questi anni non ci siamo mai abbandonati a verità di comodo e abbiamo sempre coltivato il dubbio. Anche che i nostri ospiti potessero avere torto in un’aula di tribunale (pur di fronte di verità storiche conclamate). D’altronde, responsabilità penale e responsabilità politica e storica sono cose diverse. Questa nuova crociata di certi ambienti contro il dott. Nino Di Matteo e il giornalista Saverio Lodato sembra un film già visto troppe volte in questa Italietta degli scandali.
Ecco perché abbiamo sottoscritto con convinzione la lettera che oltre cinquanta studenti di diverse Università, licei e istituti scolastici italiani hanno scritto in risposta alle parole del professore universitario Costantino Visconti, in un’intervista rilasciata al quotidiano “Il Foglio”. Visconti chiedeva, di fatto, la “messa al bando” del magistrato Nino Di Matteo e del giornalista Saverio Lodato dall’elenco degli invitati nelle scuole per parlare di mafia, in un articolo in cui si parla anche di “antimafia della fuffa”.
La lettera: dalla parte di Nino Di Matteo e Saverio Lodato
Le scriviamo questa lettera come studenti e studentesse di diverse Università, licei e istituti scolastici di Palermo e di varie parti d’Italia.
Siamo rimasti molto sconcertati dalle dichiarazioni che lei ha rilasciato al Foglio due giorni fa, parlando dell’antimafia “della fuffa” e invitando (di fatto) le nuove generazioni a non chiamare più nelle scuole e nelle università il magistrato Nino Di Matteo e il giornalista Saverio Lodato.
Siamo rimasti interdetti, non solo perché la storia della mafia che lei racconta è totalmente fuorviante e antistorica, soprattutto per chi, come molti di noi, ha letto sentenze e assistito fisicamente ai processi giudiziari, ma anche e soprattutto perché offende le conferenze e i confronti voluti ed organizzati dagli studenti in questi mesi e in questi anni all’interno delle proprie aule (nelle città di Catania, Catanzaro, Roma, Milano ecc.).
Tra le firme ci sono anche studenti che hanno organizzato recentemente due di questi incontri lo scorso febbraio all’interno dell’istituto scolastico Rutelli e lo scorso marzo all’interno della facoltà di Giurisprudenza di Palermo. Entrambi confronti diretti tra gli studenti e il dott. Di Matteo; incontri da noi fortemente voluti e che sono stati estremamente formativi, stimolanti ed emozionanti: non solo per comprendere l’importanza dei nostri strumenti legislativi nella lotta alla mafia, unici in Europa e nel mondo, ma anche per approfondire gli avvenimenti riguardanti le stragi del 1992-1993, il processo Trattativa Stato-mafia e soprattutto le riforme della giustizia della ministra Cartabia e quelle del ministro Nordio. Incontri che hanno lasciato un segno, riempiendo dopo tanti anni le aule e suscitando entusiasmo in migliaia di ragazzi fisicamente presenti e collegati online. Quindi, pensiamo sia veramente inopportuno da parte sua, come professore di Diritto Penale, pretendere di dirci cosa possiamo e non possiamo fare, chi possiamo o non possiamo invitare all’interno dei nostri spazi e soprattutto quale storia della mafia è giusto che noi conosciamo.
È giusto che conosciamo la storia dei mafiosi “brutti e cattivi” contrapposta allo Stato “etico e integerrimo”? È giusto che ci complimentiamo con le forze dell’ordine per l’arresto di Matteo Messina Denaro, senza pretendere di conoscere da quali personaggi interni e soprattutto esterni alla mafia è stato protetto nei suoi 30 anni di latitanza?
Lei dice che la partita per la sconfitta definitiva di queste organizzazioni criminali “non sta nel diritto penale, ma nell’educazione culturale”. Proprio per questo noi ci facciamo domande e ci chiediamo come sia possibile che le mafie continuino a proliferare nell’intero territorio nazionale (e non solo) da più di 150 anni, se lo Stato è davvero così forte come lei sostiene. È evidente che ci può avvenire solo grazie a rapporti di altissimo livello. Lo raccontano decine e di inchieste. Lei sostiene che è un “dato inconfutabile” che “lo Stato c’è e che è più forte delle mafie”.
Ma non ci si può limitare ad applaudire esclusivamente i blitz della polizia quando si parla della presenza e della forza dello Stato. Possiamo parlare di Palermo, come di tantissime altre città italiane, dove sono assenti i servizi basilari, strutture adeguate, territori salubri e funzionali alle esigenze degli abitanti, dove si negano diritti fondamentali (come il diritto ad una casa, ad un lavoro degno e sicuro, ad una sanità pubblica e accessibile a tutti), che marginalizzano e stigmatizzano migliaia di persone, mettendole in una condizione di fortissima ricattabilità nei confronti di dinamiche clientelari, da cui si arricchiscono e si fortificano i traffici e il potere delle mafie. Seguendo il suo ragionamento, sarebbe questo lo Stato, totalmente assente, al quale dovremmo affidarci? O forse a quelle parti di Stato che si sono corrotte e colluse con la mafia? Forse, professore, noi e lei abbiamo un concetto di “Stato” un po’ diverso.
Come giovani non ci affidiamo ad uno Stato che, nelle figure dei carabinieri del Ros Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni, mentre saltavano in aria magistrati, forze dell’ordine e civili innocenti, and a cercare i vertici di Cosa nostra e tratt con loro per “indicibili ragioni di interesse nazionale” (come scritto nella sentenza di secondo grado).
Abbiamo letto attentamente le migliaia di pagine di motivazioni dei primi due gradi di giudizio; sappiamo che le accuse nel processo erano per “violenza o minaccia a corpo politico dello Stato” (art. 338 c.p.); sappiamo che gli imputati sono stati assolti perché il reato di “trattativa” non è previsto nel nostro ordinamento.
Ma speriamo che lei, professore Visconti, non sia tra quelle persone che ne negano l’esistenza a livello storico. Prima di tutto perché sono stati gli stessi imputati a confessare di aver trattato con Cosa Nostra e poi perché esiste una sentenza definitiva ed irrevocabile (sentenza Tagliavia di Firenze sulle stragi del 1993) che ne conferma l’esistenza. Infine, come giovani, studenti e cittadini riteniamo che questi fatti costituiscano una vergogna sul piano della responsabilità morale e politica: per lei, professore, ci dovremmo “affidare” ad uno Stato che tratta con le organizzazioni criminali?
Non ci “affidiamo” ad uno Stato che, nella figura di un Presidente della Repubblica come Giorgio Napolitano, chiamato a testimoniare nel processo Trattativa Stato-mafia, chiese ed ottenne con un’azione senza precedenti la distruzione delle intercettazioni sulle telefonate tra lui e l’allora indagato ex ministro Mancino.
Non ci “affidiamo” ad uno Stato che, nella figura di un Presidente del Consiglio come Silvio Berlusconi, il quale ha governato per quasi 20 anni il nostro Paese, ha pagato con fior di milioni Cosa nostra dal 1974 al 1992, mentre quella stessa Cosa nostra uccideva persone innocenti; un Presidente che ha avuto come braccio destro un uomo condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa e che fino alla sua morte era indagato alla procura di Firenze come mandante esterno delle stragi del 1993.
Non ci “affidiamo” ad uno Stato che, nelle figure di senatori e parlamentari, ha colluso con le organizzazioni mafiose, senza mai pentirsi delle proprie azioni: Marcello Dell’Utri (condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, per essere stato intermediario di un patto tra Berlusconi e Cosa nostra), Antonino D’Alì (che da segretario agli Interni operò a favore dei mafiosi capeggiati da Matteo Messina Denaro ed è stato condannato in via definitiva a sei anni sempre per concorso esterno), Nicola Cosentino (referente del clan dei casalesi, uno dei più potenti della Camorra, condannato in via definitiva a dieci anni per concorso esterno), Amedeo Matacena (collegato alla ‘Ndrangheta, latitante per anni dopo la condanna definitiva del 2013 di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, oggi deceduto).
Non ci “affidiamo” ad uno Stato rappresentato anche dal volto della figura dell’ex presidente dell’Ars, oggi senatore di Forza Italia, Gianfranco Miccichè, il quale è stato recentemente coinvolto in uno scandalo riguardante l’acquisto di cocaina, consapevoli che chi fa uso di droga alimenta comunque le mafie.
Non ci “affidiamo” ad uno Stato che, nella figura dell’attuale sindaco di Palermo Roberto Lagalla, ha accettato nella scorsa campagna elettorale l’appoggio di due condannati per fatti di mafia come Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro, senza aver mai voluto prendere esplicitamente le distanze da questi personaggi.
Non ci affidiamo ad uno Stato che, nella figura dell’attuale presidente della Regione, Renato Schifani, è stato indagato per fatti di mafia ed è attualmente imputato in un processo giudiziario per rivelazione di segreto d’ufficio.
Non ci affidiamo ad uno Stato che, nella figura dell’attuale Ministro della giustizia, Carlo Nordio, sulla scia di quanto già fatto dalla Cartabia, sta distruggendo i più importanti pilastri del nostro sistema di giustizia e della legislazione antimafia, garantendo impunità a politici e colletti bianchi: riforma delle intercettazioni, abrogazione del reato di abuso d’ufficio, limitazione della portata del reato di traffico di influenze, rimodulazione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, per non parlare dei bavagli sempre più grandi nei confronti dei giornalisti. Eppure lei, professore Visconti, è docente di diritto penale, queste cose dovrebbe saperle.
Non ci “affidiamo” ad una Presidentessa del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha dichiarato il lutto nazionale per la morte di un finanziatore della mafia come Berlusconi e che in questi giorni, durante l’anniversario della strage di Via D’Amelio, ha deciso di scappare da Palermo per paura delle contestazioni: non “da parte della mafia” (come lei afferma), ma da parte dei cittadini e dei giovani.
Non ci affidiamo ad uno “Stato” che, nei governi che si sono succeduti, non ha mai voluto aprire gli archivi dei servizi segreti sulle stragi, da Portella della Ginestra in poi; uno “Stato” che ha depistato indagini, oscurato prove e si è avvalso più volte della “facoltà di non rispondere” a processo. Non si tratta, come lei afferma, di un’antimafia “nichilista” e il nostro non è un approccio “cameratesco”. Conoscere quei “super sistemi criminali”, per quanto possa essere scomodo a certi poteri, non ha assolutamente “effetti negativi” sulla nostra formazione. Al contrario, è il diritto che professori come lei ci negano di conoscere questi fatti, che costituisce un “vulnus” per il nostro percorso formativo.
Se ha tempo di leggerle, ci sono sentenze, come quella del processo ‘Ndrangheta stragista, in cui sono riportati fatti e dichiarazioni di collaboratori di giustizia e di ex massoni accuratamente riscontrate, che dimostrano l’esistenza di questi “sistemi criminali” e distruggono la narrativa tradizionale e anti-storica delle mafie come organizzazioni separate l’una dall’altra e ancorate ai propri territori.
Questa lettera è per farle sapere professore che i giovani e gli studenti conoscono la storia, ma quella vera, scomoda e fastidiosa: non la storia che ci viene propinata con concetti retorici e astratti di “legalità”, o con passerelle istituzionali all’interno delle nostre scuole e università.
Per questo motivo vogliamo ascoltare e confrontarci con magistrati come Nino Di Matteo, il quale si è occupato di decine e decine di processi, e giornalisti come Saverio Lodato, al quale Giovanni Falcone in persona parlò di quelle “menti raffinatissime” subito dopo il fallito attentato all’Addaura nel 1989. Al netto delle opinioni personali, Di Matteo e Lodato rappresentano due voci autorevolissime nel racconto della storia delle stragi, delle vite dei nostri martiri, delle indagini e dei processi antimafia, così come nella loro esperienza professionale e umana. La sua volontà di squalificarli agli occhi degli studenti ci sembra un tentativo di grande bassezza morale.
In ogni caso stia certo, professore, che nei nostri spazi continueremo a mobilitare le nostre coscienze e il nostro pensiero critico, indipendentemente dal pensiero di altri professori, dirigenti scolastici, rettori o capi di dipartimento che possano pensarla come lei: difendendo il nostro diritto a sviluppare le nostre idee e invitando le persone che per noi rappresentano veramente quello “Stato” a cui vogliamo affidarci.
Proprio sulle parole espresse dal dottore Di Matteo in uno dei nostri incontri, sulla necessità di “contrapporre al muro di gomma del silenzio il chiasso del dibattito e dell’approfondimento”, come giovani continueremo a parlare di questi temi e a creare occasioni di confronto. Se per lei professore Visconti questa si chiama “antimafia della fuffa”, allora noi la rivendichiamo in pieno!
Le firme
Il testo è sottoscritto, oltreché da noi ragazze e ragazzi di WikiMafia – Libera Enciclopedia sulle Mafie, anche dai seguenti studenti e studentesse (elenco in corso di aggiornamento):
- Marta Capaccioni, Università degli Studi di Palermo
- Andrea La Torre, studente dell’I.S.S. Mario Rutelli di Palermo
- Noemi La Spada, studentessa del liceo scientifico statale “Benedetto Croce”
- Claudio Pecoraino, studente del Liceo Regina Margherita di Palermo
- Antonino Albano, studente dell’I.S.S. Mario Rutelli di Palermo
- Davide Bonfigli, Università degli Studi di Perugia
- Jamil El Sadi, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”
- Beatrice Boccali, Università degli studi di Palermo
- Asia Centofante, Università Politecnica delle Marche
- Fiona Iacobellis, liceo delle scienze applicate E.Torriceli
- Sonia Tabita Bongiovanni, Università degli studi di Palermo
- Irene Nespeca, liceo delle scienze umane A. Giglielmotti Civitavecchia
- Laura Bonomi, Liceo Guglielmotti Civitavecchia
- Giada Trotta, Università degli Studi di Torino
- Karim El Sadi, Università degli studi di Palermo
- Sofia Capaccioni, Università degli Studi di Macerata
- Thierno Mbengue, Università degli studi di Palermo
- Alessandro Versace, Università Della Calabria
- Saverio Solimani, studente dell’Università di Pisa
- Rosanna Bonfiglio, studentessa dell’Università degli studi di Messina
- Simone Basta, studente dell’I.I.S “Giustino Fortunato” di Rionero in Vulture
- Stefania Simonetti, studentessa del Liceo Giosuè Carducci di Nola
- Alessandra Legrottaglie, studentessa dell’Università degli studi di Bari “Aldo Moro”
- Francesco Lo Monaco, studente dell’I.S.S. Mario Rutelli di Palermo
- Giulia Cannella, studentessa dell’I.S.S. Mario Rutelli di Palermo
- Linda Funaro, Università degli studi di Firenze
- Dennis Pinzone, Università degli studi di Palermo
- Giorgio David Almendras País, I.S.S. Francesco ferrara di Palermo
- Luca Napoli, Università degli Studi di Napoli Federico II
- Simona Maggio, Università degli Studi di Palermo
- Chiara Mariagrazia Bellantone, Liceo Classico Tommaso Campanella (RC)
- Salvatore Di Lorenzo, studente dell’I.S.S. Mario Rutelli di Palermo
- Pietro Calligaris, Accademia di Belle Arti di Palermo
- Lucia Sgarbossa, Università degli studi di Venezia
- Andrés González, Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano
- Paco De Nuzzo, Università degli studi di Roma Tor Vergata
- Simeon Taormina, studente dell’I.S.S. Mario Rutelli di Palermo
- Giuseppe Amato, studente del Liceo Regina Margherita di Palermo
- Alessandro Taormina, studente dell’I.S.S. Mario Rutelli di Palermo
- Marta Napoli, studentessa del Liceo Regina Margherita di Palermo
- Giulia Corrao, studentessa dell’istituto Kiyohara-Parlatore di Palermo
- Mattia Gueli, studente dell’I.S.S. Mario Rutelli di Palermo
- Francesca Marcimino, studentessa dell’I.S.S. Mario Rutelli di Palermo
- Jacopo Re, Collettivo Studentesco del Liceo Brunelleschi di Afragola
23 Luglio 2023