Verso la manifestazione nazionale del 27 febbraio
che si terrà contemporaneamente alle ore 15.00 in tutti i capoluoghi d’Italia
di Fosco Giannini
Venerdì 12 febbraio. Mario Draghi sale al Quirinale, scioglie la riserva e presenta la lista dei ministri. Nasce il suo governo. Solitamente, “il suo governo”, è una locuzione tendente – nella dialettica fra presidente del consiglio e ministri – a chiarire chi è il capo di un esecutivo. In questo caso, invece, “il suo governo” è un’espressione totalmente affermativa, nel senso che l’intero governo è sotto il potere di Draghi ed egli non ne è il presidente ma il “dictator”. Quali forze hanno determinato quest’esito nefasto per la democrazia italiana e, per essere meno elusivi, per il movimento operaio complessivo italiano, per “la classe”? Attraverso quali passaggi si è giunti a sottomettere il governo, il parlamento, l’intera politica, l’intero Paese al comando di Draghi? Le forze che hanno spento la luce della democrazia italiana non sono rintracciabili nel vacuo vaudeville della nostra politica: esse sono oltreconfine e oltreoceano e si svelano lungo l’asse euroatlantico Usa-Ue, Biden e Merkel-Macron. E’ decisivo collocare immediatamente e prioritariamente sia la caduta del governo Conte che la costituzione del governo Draghi nel contesto internazionale, poiché questa lettura dei fatti è – non casualmente – quella più rimossa e negata, sia dall’intero arco delle forze politiche parlamentari che dall’intero sistema mediatico. Come, infatti, tutti i cicisbei, i cavalier serventi degli USA, della NATO e dell’Ue che sostengono il governo Draghi, possono arrivare a disvelare la semplice verità, e cioè che sono state proprio queste potenze mondiali ad intervenire sul quadro politico italiano al fine di far cadere i due governi Conte, che, pur mantenendo una natura essenzialmente filo-imperialista, spostavano troppo, e “insopportabilmente” per gli USA, il loro asse commerciale verso la Russia e la Cina? E, conseguentemente, portare l’uomo di cui più hanno fiducia, Draghi, a guidare l’Italia e il nuovo Parlamento di spauriti vassalli che lo ha incoronato? I passaggi politico-“religiosi” che hanno invece permesso, in Italia, di portare a termine e concretizzare gli ordini internazionali sono stati la santificazione erga omnes di Draghi; la costituzione, dal PD alla Lega, passando per il M5S e Berlusconi, del partito unico della borghesia; la discesa in campo dell’esercito mediatico nazionale, volto ad incantare l’intero senso comune di massa; la miserrima caduta, da sacchi vuoti, di casematte sindacali e politiche un tempo di sinistra e persino comuniste. Ci riferiamo, in relazione a quest’ultima nostra “cattiva” denuncia, sia ad una parte di “Liberi e Uguali” (per il cui opportunismo non serve perdere troppo tempo, tanto esso è chiaro da tempo), sia al segretario generale della CGIL, Maurizio Landini, che alla direttrice de “il Manifesto”, Norma Rangeri. Landini, rispetto al governo Draghi, non ha trovato di meglio da dire che: primo, “Draghi è autorevole, può essere una persona utile”; secondo, “Ha consultato le parti sociali prima di fare il governo. E’ una novità importante”; terzo, “A Draghi abbiamo indicato il tema dello ius soli”. Cioè: l’uomo che, dopo la “craxiana” Camusso, avrebbe dovuto ricollocare la CGIL su posizioni di lotta e di classe non sa nemmeno riconoscere la natura reazionaria e antioperaia di Draghi e, pur indicando il tema dello ius soli, si dimentica il milione di lavoratori già ora senza più nessuna garanzia sociale, le centinaia di migliaia di operai che hanno già perso o stanno perdendo il posto di lavoro, le centinaia di migliaia di donne lavoratrici che nell’ultimo anno sono state poste fuori dalla produzione e l’intero popolo di commercianti, artigiani e piccoli e piccolissimi imprenditori già vicini al tracollo e alla miseria. Ma soprattutto si dimentica, Landini, di chi è già stato Draghi: l’uomo, cioè, che ha concretizzato uno dei più massicci disegni di privatizzazioni mai apparsi in Italia; l’uomo che sul panfilo “Britannia”, della regina d’Inghilterra, il 2 giugno del 1992, nell’incontro con i più alti rappresentanti della finanza internazionale, profilò la svendita di tanta parte del patrimonio e dell’apparato industriale italiano come cavallo di Troia per far entrate l’Italia nell’Euro; che è stato l’ispiratore della Legge Fornero; che è stato uno dei maggiori protagonisti, a nome dell’Ue, di quelle politiche dell’austerity che hanno portato alla distruzione di tanta parte del welfare europeo e che hanno introdotto, con metodo golpista, il fiscal-compact nella Costituzione italiana; che teorizza sia un deficit di bilancio buono (quello che sposta risorse verso i grandi gruppi capitalistici) e uno cattivo (quello che sostiene chi perde lavoro, chi lavoro non ce l’ha, chi è stato travolto dalla crisi). Quel Draghi che ispirava “letterine” ai governanti italiani raccomandando loro di introdurre maggiori quote di precarizzazione nel mondo del lavoro, di limitare le spese, a beneficio del bilancio, per scuola e sanità, spingendo per la loro privatizzazione; che tramava per cancellare l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori; quel Draghi che, mettendo “a valore” gli insegnamenti tratti dal suo funzionariato alla Goldman Sacks, è stato uno dei maggiori “consigliori” di quell’Ue che ha scientemente voluto (anche a mo’ di insegnamento e minaccia per altri Paesi dell’Ue che mai avessero voluto alzare la testa) quella recente tragedia greca che ha portato un popolo alla fame e tanti disperati lavoratori, pensionati, piccoli imprenditori al suicidio. Nella fase più alta della crisi greca Draghi era presidente della Banca Centrale Europea e fu proprio lui a ratificare l’esclusione della Grecia dal programma di “quantitative easing” con l’argomentazione che “ad Atene è già stato dato tanto”. Un’esclusione che portò al terzo e socialmente drammatico memorandum, un progetto di “salvataggio” da parte dell’Ue che fu pagato dalla Grecia con un’ulteriore macelleria sociale.
Non riusciamo ancora a credere come Landini abbia potuto dimenticare tutto questo.
E “la compagna” Norma Rangeri, nel suo editoriale del 13 febbraio dal titolo “Cencelli in salsa tecnica” (già il titolo dice quanto sarà fuorviante il testo, poiché, naturalmente, il problema del governo Draghi non è quello di essere stato fatto col manuale Cencelli o di quanti tecnici abbia rispetto ai politici, ma è la sua natura di classe), quali questioni mette a fuoco in relazione al governo Draghi? Appunto, il governo Draghi sarebbe “la faticosa composizione della lista dei ministri” che “partorisce un super manuale Cencelli”. Esso avrebbe “un elemento evidente di continuità con la compagine del disarcionato governo Conte…e un altro evidente elemento di discontinuità con l’ingresso dei ministri tecnici nei ruoli chiave dei due pilastri del Recovery (conversione green e digitale), oltre naturalmente alla poltrona-chiave di via Venti Settembre con Daniele Franco all’Economia. La combinazione della cassaforte ce l’ha Draghi”. E qui Norma Rangeri, dopo aver fluttuato nell’inessenziale del Cencelli, si accorge che qualcosa non va. Ma non sa mai, in nessuna riga (ma “il Manifesto” non è ancora un quotidiano comunista?) capire, di queste “distorsioni”, i motivi di fondo, non riesce nemmeno lontanamente a suggerire al lettore che Draghi prende per sé le chiavi dell’economia perché egli è il mandante diretto delle politiche neoimperialiste ed ultraliberiste dell’Ue e compone un governo agli ordini di quelle forze che gli chiedono, dopo aver fatto cadere sia il Conte 1 che il Conte 2, di riallineare l’Italia in quel fronte euroatlantico, che va da Biden al duo Merkel-Macron , un fronte che non ha gli stessi interessi strategici ma che si unisce -ora-nella doppia richiesta di schierare anche l’ Italia nella guerra politica ed economica (per adesso) contro la Russia e la Cina e di introdurre ancor più, in Italia, le politiche iperliberiste dettate da Bruxelles.
Peraltro, dopo aver notato come nel governo Draghi sia scarsissima la presenza di donne (notazione giusta, ma peccato che la direttrice – precisamente come le dirigenti e le elette del PD, in gran subbuglio unicamente per questo deficit – oltre ciò non noti l’essenziale natura reazionaria di questo governo) la “compagna” Norma Rangeri apre un varco positivo per Draghi, scrivendo: “Nell’interesse del Paese naturalmente speriamo che Draghi e la sua squadra facciano un buon lavoro…”. Come dire: la volpe è entrata nel pollaio ma speriamo che risparmi le nostre galline.
Di Varoufakis si erano innamorati in molti, all’epoca della sua lotta contro la Trojka europea, anche alcuni compagni che avrebbero poi costituito LEU e che oggi votano Draghi, anche “il Manifesto”, anche Landini. In questi giorni, avrebbero potuto ascoltare ciò che l’ex ministro di Tsipras ha dichiarato a Radio Popolare:“Draghi politicamente è al servizio dell’ordine finanziario…Ricordo bene quando egli (all’epoca presidente della Bce, n.d.r.) fu decisivo nella chiusura dei bancomat in Grecia, così da impedire che il popolo greco decidesse liberamente nel referendum in cui si decideva la posizione da tenere nei confronti di Bruxelles…Draghi è tecnicamente molto capace e ha mostrato grandi capacità di capire cosa va bene e cosa no nella logica del servizio all’ordine finanziario e all’establishment…In questo senso è il premier ideale per l’Italia, se quello che voi veramente volete è implementare le politiche di Bruxelles e Berlino… Il Recovery Fund non rappresenta un’occasione di salvezza per l’Italia: non è altro che un pacchetto di debiti… E non sarebbe la prima volta. È già successo con Mario Monti, un altro uomo intelligente il cui governo tecnico ha agito come voleva la Troika, altrimenti sarebbe arrivata la Troika vera e propria…Indubbiamente Draghi è intelligente e molto competente, molto bravo a raggiungere i suoi obiettivi. La tragedia del popolo italiano è che i suoi obiettivi sono nemici degli interessi della grande maggioranza degli italiani…Draghi non sarà autonomo, come non lo era l’ex premier Monti. Dovrà riferire a partiti che ormai sono degli zombie ma soprattutto a Bruxelles e Berlino”.
Sì, potevano ascoltarlo, “i compagni”, Varoufakis…Ma il punto è che non si può capire l’essenza reazionaria del governo Draghi se non si riconoscono le dinamiche strutturali che oggi segnano la fase internazionale, la fase storica, sovraordinandola.
La prima questione è quella (relativa alla crisi capitalistica) descritta dall’economista marxista Pasquale Cicalese, tanto lucidamente esposta che ci serve solo citarla: “La questione da considerare è che c’è una crisi capitalistica, una crisi di profittabilità, dalla fine degli anni sessanta. A partire da allora ci fu una strategia europea volta al mercantilismo, o ordoliberismo come si considera ora, che ha come punto centrale la deflazione salariale, le privatizzazioni, il ritiro dello Stato dagli affari economici. Ma ciò non vuol dire che finisce lo Stato, semplicemente è votato a favore degli attori economici piu forti, più stato per il mercato. Il Sole 24 ore scriveva che l’industria, come avevo a suo tempo scritto, ha perso meno del PIL “grazie all’export”. Draghi favorirà loro il 32% del PIL, li sommergerà di fondi pubblici mandando definitivamente a malora il resto, specie i lavoratori autonomi, i commercianti, molti professionisti e la classe operaia. Finirà l’eccezione contrattuale del pubblico, che si assoggetterà a forme estreme di sfruttamento, grazie alla digitalizzazione, e un apparato pubblico che non fornisce più servizi, ma è al servizio delle imprese. Draghi favorirà il capitale finanziario, sia nella sua forma monetaria, sia nella sua forma industriale, sia la sua simbiosi. In un contesto di crisi capitalistica che dura da 50 anni, la sua condotta la porterà ad aggravarsi, mentre le élites si arriccchiranno sempre più. Draghi vede questo, il resto può andare a malora, non serve per la sfera capitalistica. Non è una novità, è dal 1992 che va avanti questo, si sono avvicendati, facendo sempre le stesse cose. Ora hanno trovato la loro sintesi.
La seconda questione (e seconda non certamente per importanza) è la nuova fase imperialista già segnata dalla linea USA della nuova Amministrazione Biden, che accantonando rapidamente l’isolazionismo di Trump, torna a riconsegnare agli USA e alla NATO il loro ruolo di avanguardie reazionarie, attive ed egemoni sul fronte occidentale nella lotta contro la Russia e la Cina. E dunque a disfare governi (occidentali e non occidentali) non allineati, costruendone altri totalmente “amici”: è il caso della caduta di Conte e l’arrivo di Draghi.
La terza questione è proprio l’Unione europea: se non se ne comprende la natura si è condannati ad oscillare politicamente e teoricamente tra una critica (radicale o meno) e la sua accettazione come “destino storico”, sfuggendo all’unica parola d’ordine giusta per i popoli e “le classi” europee: fuori dall’Euro e dall’Ue. Si è condannati a non saper decodificare fenomeni come il governo Draghi.
La pulsione del grande capitale europeo ad unirsi in forma sovranazionale ha ormai radici temporalmente lontane. Ma tale pulsione diviene spinta spasmodica dopo la caduta dell’Unione Sovietica, quando per il capitalismo mondiale “la Storia è finita” e l’intero pianeta appare ai suoi occhi come un unico e sterminato mercato da conquistare. Anche il grande capitale europeo vuol far parte di questa conquista e per competere con gli altri poli imperialisti nella lotta di espansione ha bisogno di abbattere il prezzo della propria forza-lavoro e delle proprie merci, puntando a questo obiettivo attaverso l’abbattimento dei salari, delle pensioni, dei diritti e dello stato sociale su tutta Europa. Si dota, per ciò, di un potere indiscutibile, che basa questa propria natura dittatoriale su di un parlamento europeo privato di ogni ragion d’essere e a cui è sottratta la possibilità di legiferare e su di un Consiglio Europeo (formato non a caso solo dai capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Ue) in grado di imporre politiche iperliberiste sul piano sovranazionale su tutti gli Stati e i governi dell’Unione europea, svuotati così di senso, come uno svuotamento di senso subiscono, in questo progetto generale, le elezioni, il mandato popolare di ogni Paese dell’Ue.
Ora, in Italia: il PD è già stato eletto, da tempo, come il partito politico stesso dell’Ue (oltre che degli USA e della NATO); il M5S, che si batteva contro l’Ue e l’Euro, ha subìto la pressione dominante dell’Ue ed è stato quasi del tutto addomesticato (ma la parte “libera” che ne rimane deve fortemente interessare i comunisti e le forze anticapitaliste); Forza Italia è stata sempre filo europeista; la Lega, partito della borghesia produttiva del nord d’Italia e ormai partito della stessa, totale, Confindustria (ecco perché Giancarlo Giorgetti è allo Sviluppo Economico) ha sempre abbaiato alla luna e una sua dichiarata genuflessione a Bruxelles era solo questione di tempo.
E un’opposizione reale non è certo da aspettarsela da Fratelli d’Italia, con la Meloni già precipitatasi mesi fa negli USA a confermare il proprio atlantismo pieno e prossima ad abbandonare (poiché, come la Lega, è un partito del capitale) la sua finta critica all’Ue, una critica non certo di natura anticapitalista ma esercitata come proiezione meccanica del proprio reazionario nazionalismo ideologico.
La composizione del governo Draghi è una macchina perfetta per la lotta filoatlantica, filocapitalista e antioperaia: Luigi Di Maio agli Esteri e Lorenzo Guerini (PD) alla Difesa garantiscono la subordinazione agli USA, alla NATO e alle politiche di Biden ostili alla Russia e alla Cina; Andrea Orlando al Lavoro e Renato Brunetta alla Pubblica Amministrazione garantiscono ulteriori giri di vite contro le lavoratrici e i lavoratori (rammentiamo le violenze politiche scagliate da Brunetta contro tutti i lavoratori e le lavoratrici statali?); Luciana Lamorgese, ex prefetto, agli Interni, si metterà di traverso ad ogni tentativo di rioccupare le piazze da parte dei lavoratori; Elena Bonetti (Italia Viva) non doveva proprio andare, col suo sguardo politico conservatore, alle Pari Opportunità; il ministero della transizione ecologica, per il quale Grillo ha svenduto l’anima residua dei 5 Stelle portando il movimento a governare con l’intero arco dei suoi ex acerrimi nemici, è guidato da Roberto Cingolani, una sorta di produttivista “sansimoniano”, già fiancheggiatore ideologico della politica dell’ENI, un ministero, dunque, questo di Cingolani, davvero espressione della peggiore “greenwashing”, quell’ambientalismo di facciata utilizzato a man bassa nelle strategie di comunicazione delle più ciniche imprese ed aziende; Daniele Franco all’Economia e Vittorio Colao ad uno dei pilasti del Recovery (Innovazione Tecnologica) e Mario Draghi come loro coordinatore e capo supremo, garantiscono la massima consustanzialità alle politiche liberiste dell’Ue.
Il fronte dell’opposizione politica e sociale è sguarnito. E’ il tempo dei comunisti e delle forze anticapitaliste. Della loro unità. Per guidare le lotte e riempire le piazze.
La manifestazione indetta il prossimo 27 febbraio in tutti i capoluoghi d’Italia contro il governo Draghi da forze comuniste e anticapitaliste è l’inizio della lotta. E l’avvio del loro processo unitario. “ Cumpanis” sarà in campo, parte attiva di questa lotta e questo progetto comune.
Il 27 febbraio, nelle piazze, sarà anche rilanciata la parola d’ordine “ NO ALLE SANZIONI CONTRO CUBA E IL VENEZUELA!”