Il professore parla di legge sulla diffamazione e campagne sui social: “Il sospetto è che si voglia limitare il pluralismo”
di Silvia Truzzi
Con Gaetano Azzariti, costituzionalista della Sapienza, abbiamo messo in fila un po’ di fatti: la legge sulla diffamazione in discussione al Senato, la relazione della presidente della Camera che vuol proporre soluzioni contro “razzismo e fenomeni d’odio” e il tentativo di controllare le “fake-news”.
Professore, è giusto mettere limiti all’informazione e alla libertà di espressione?
Facciamo una premessa. La rete è un tubo nero dentro cui passa di tutto. Da un lato Laura Boldrini ha ragione quando osserva che dentro questo tubo nero scorrono razzismo e fenomeni d’odio. Dall’altro, però, dobbiamo dire che ci passa anche quella che una volta chiamavamo “controinformazione”: un bene cui non si può rinunciare. Si tratta di sostenere l’informazione plurale e impedire le degenerazioni. Il controllo però non può mai essere dall’alto, cioè governativo o dei poteri economici. Mi pare che purtroppo si vada in questa direzione, ma il rischio è sacrificare la libertà di esprimersi in modo non conformista.
Un emendamento della nuova legge prevede la possibilità di chiedere l’eliminazione dei contenuti ritenuti diffamatori e ricorrere al Garante della privacy. Nella prima versione, almeno, ci si appellava al giudice.
Sono contrario alla supplenza giudiziaria. La querela è una misura pensata per il singolo. Tu scrivi una cosa falsa di me e io ti querelo perché l’autorità giudiziaria è l’unica titolata ad accertare il fatto senza occuparsi della sua rilevanza politica. Invece di sottrarre poteri alla magistratura, bisognerebbe metterla nelle condizioni di svolgere celermente il proprio compito. La legge nel suo complesso è largamente inadeguata per la filosofia che esprime, cioè è il tentativo di controllare l’informazione.
Delle sanzioni alle querele temerarie, non previste da questa legge, che pensa?
I casi di cui ha parlato il Fatto, giornalisti o blogger querelati “temerariamente”, hanno in comune una cosa: hanno tutti avuto ragione dopo anni. Quando si è cominciato a parlare della querela temeraria da giurista ero perplesso. Mi sembrava la riduzione di un diritto: perché se uno si sente diffamato deve rischiare di rimetterci dei soldi? Poi ho ragionato sulla realtà che è fatta dei casi di cui avete scritto ieri. Sono spesso grandi gruppi, con capacità economiche importanti, a chiedere danni milionari, non il povero cristo che si sente diffamato. I grandi gruppi, i politici, quando si sentono diffamati hanno a disposizione tutta la stampa per dare la loro versione. Bisognerebbe incrementare il contraddittorio: è già previsto il diritto di rettifica e sarebbe giusto che venisse usato meglio. Soprattutto a tutela dell’individuo: il valore costituzionale da proteggere è la dignità della persona. Cosa diversa dall’immagine di una società per azioni. Bisogna tutelare in primo luogo Mario Rossi, non i potenti.
Nessuna delle iniziative prese – dalla legge sulla diffamazione alle intercettazioni – sembra essere ispirata da Mario Rossi…
Proprio per questo garantire il contraddittorio è fondamentale! Il diritto di replica non prevede la rimozione dei contenuti, solo la versione dell’altra parte. Ho meno sensibilità verso i politici o gruppi economici, non perché non li ritenga degni di protezione ma perché hanno molti strumenti. Il blogger o il giornalista di una piccola testata, che potere ha? Bisogna sostenere l’informazione non veicolata dai grandi mezzi di stampa. Con un confine rigoroso, che però già c’è nella normativa vigente: il falso. Se tu scrivi il falso, io ti denuncio e vieni condannato. Si tratta di adottare misure per rendere veloce il processo e altre per limitare le degenerazioni.
Come?
Si potrebbe estendere la titolarità del diritto di replica, oggi in capo al singolo, anche ad associazioni. Se scrivo una frase di violento razzismo, quindi contraria ai principi costituzionali, perché non dare a un’associazione il diritto di replica? Sarebbe un modo per evitare la censura, bilanciando però le opinioni violente e chissà, magari, educando chi legge.
Unendo i puntini, il disegno che ne esce è il tentativo di arginare un malessere sociale in crescita?
L’idea di controllare dall’alto l’informazione è un’illusione. Non si riuscirà mai a eliminare completamente le fake-news, ammesso che se ne trovi una definizione. Meglio sarebbe poterle confutare allargando le possibilità e i mezzi di comunicazione. Siccome l’obiettivo è irraggiungibile, può venire il sospetto che il vero obiettivo sia la limitazione del pluralismo informativo.
26 luglio 2017