Intervista al colonnello Antonio Di Stasio, Comandante Provinciale dei Carabinieri di Palermo
di Aaron Pettinari
Una mafia “viva”, nonostante gli arresti, capace di rinnovarsi concentrandosi in particolare nello sviluppo dei propri “business”. E’ questo il quadro tracciato dal colonnello dei Carabinieri Antonio Di Stasio, ormai da due anni alla guida del Comando Provinciale dei Carabinieri di Palermo, ovvero uno dei più impegnati a livello nazionale nel contrasto alle mafie. Analizzando le inchieste più recenti Di Stasio evidenzia anche il “ritorno” al controllo del traffico di stupefacenti e la capacità della mafia, sempre costante, di condizionare l’economia legale.
Colonnello Di Stasio sono trascorsi due anni dal suo insediamento a Palermo. Cosa significa essere il Comandante Provinciale dei Carabinieri di Palermo?
Un’esperienza professionale unica e un impegno a tutto tondo, continuato sul solco egregiamente tracciato dai miei predecessori. Poco più di due anni in cui il Comando Provinciale di Palermo ha continuato ad operare con efficacia e professionalità. E’, quindi, motivo di orgoglio essere il Comandante di Carabinieri, uomini e donne, che ogni giorno si contraddistinguono per la loro preparazione, motivazione e spirito di abnegazione, nonché per le loro capacità di fronteggiare, con successo, le diverse situazioni operative, spinti da quei grandi valori, propri del patrimonio etico e morale dell’Arma.
E’, inoltre, un grande privilegio lavorare in una terra dove ogni anno si commemorano i Capitani Basile e D’Aleo, il Colonnello Russo, il Generale e Prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa e i 506 militari dell’Arma che, dal 1861 ad oggi, hanno sacrificato in Sicilia la loro vita nell’interesse supremo della Patria e per la tutela del bene pubblico.
E’, infine, una grande responsabilità essere parte di un più ampio sforzo corale di tutte le Istituzioni, quotidianamente indirizzato alla tutela di meravigliosi cittadini di un capoluogo di Regione connotato da diverse problematiche sociali, ma anche capitale della cultura 2018, città unica nel suo genere e ricca di storia, con i suoi monumenti, le sue bellezze artistiche e paesaggistiche.
In questi anni non sono mancati gli arresti, poi c’è stata la morte degli storici padrini (su tutti il boss corleonese Totò Riina) e resta evidente la ricerca di nuovi affari. La mafia 2.0, così come l’hanno chiamata gli analisti, si trova ad affrontare una serie di problematiche nell’intero territorio siciliano e nazionale. A Palermo qual’è la situazione di fronte ad un fenomeno che sta cambiando pelle?
Storicamente la mafia, attraverso la sua struttura radicata, ha influenzato e condizionato il tessuto sociale, amministrativo ed economico, inquinando il Paese grazie ad una ramificazione garantita dalle famiglie e dai mandamenti.
Il controllo del territorio ha portato nei fatti a scontri sanguinari e faide decennali. Ma, oggi, come infatti emerge dalle indagini, la principale preoccupazione per tutti i mafiosi è la tutela delle ricchezze accumulate: aspetto che, nella mentalità criminale, è ritenuto addirittura prioritario riguardo alla durezza della vita in carcere da parte degli affiliati.
La mafia trae dalle attività criminali – tra cui il racket delle estorsioni, l’usura, il traffico di stupefacenti, il pizzo sugli appalti pubblici, la gestione dei centri scommesse e il controllo delle slot machine o delle sale bingo – risorse finanziarie che investe nei circuiti dell’economia legale, tentando così di “pulire” il denaro ricavato.
L’economia mafiosa altera l’economia legale, modificando i principi e le regole del libero mercato e della concorrenza leale, e sfrutta strategicamente la globalizzazione offrendo beni e servizi a prezzi vantaggiosi, grazie – da una lato – alla disponibilità di importanti somme di denaro e – dall’altro – utilizzando la sua forza intimidatrice. Inoltre, forte del suo controllo del territorio, aumenta il suo giro d’affari (anche con la corruzione), condiziona appalti e impone ora la logica della mazzetta, talaltro influenzando l’andamento economico-fiscale di imprese o aziende.
In passato i vecchi padrini hanno provato più volte a riorganizzare la Cupola ripiegando poi in una sorta di Direttorio. Oggi come si gestisce il potere tra i mandamenti?
Le più recenti attività investigative hanno evidenziato la necessità per cosa nostra di consolidare la sua infiltrazione territoriale e di riaffermare le sue peculiari caratteristiche di “compattezza e rappresentatività”, soprattutto in considerazione del perdurare della sospensione della Commissione Provinciale di Palermo, l’organo deliberativo centrale che non opera più dall’arresto di Salvatore Riina e che, neanche dopo la sua morte, avvenuta il 17 novembre 2017, sembra avere riacquisito una operatività formale.
In tale contesto – segnatamente nel capoluogo – le ultime investigazioni hanno confermato la necessità di definire un vertice decisionale più informale, realizzando una “struttura operativa” con a capo i più influenti fra i reggenti dei mandamenti, in grado di relazionarsi anche con gli esponenti delle famiglie nella provincia di Palermo e nella restante parte dell’Isola.
La morte di Bernardo Provenzano e soprattutto di Salvatore Riina e la recente scarcerazione di importanti capimafia potrebbero far mutare gli equilibri interni dell’associazione stessa. L’organizzazione mafiosa vive, infatti, una situazione di transizione che potrebbe condurre a un nuovo apparato dirigenziale non ancora emergente, ma con lo scopo di emulare i suoi predecessori.
All’interno di questa riorganizzazione che ruolo occupano le donne negli affari di Cosa nostra?
Negli ultimi anni si annovera anche un maggiore e più incisivo coinvolgimento delle donne negli affari di cosa nostra.
Donne che non sono più semplici messaggere, ma ricoprono ruoli sempre più rilevanti e di derivata leadership nelle diverse famiglie di Cosa nostra.
Le indagini hanno dimostrato come le mogli di boss si siano trovate costrette dagli eventi a sostituire, in tutto e per tutto, i mariti detenuti. Si tratta di un cordone ombelicale che lega gli storici rappresentanti ai parenti ancora attivi sul territorio, ai quali viene demandato il compito di orientare le scelte sui capi operativi. Sono valutazioni fondamentali per l’organizzazione mafiosa, che determinano anche le strategie di aggressione del territorio e le scelte sulle fonti di reddito che servono ad incrementare le casse mafiose, soprattutto per il mantenimento delle famiglie dei detenuti, assicurando a quest’ultimi maggiore serenità nel loro regime detentivo.
Numerose sono le donne che favoriscono le attività delittuose dei congiunti, risultando – al posto dei mafiosi che non possono comparire – proprietarie di quote o addirittura intestatarie di società e imprese per lo più usate per il riciclaggio del denaro sporco, nonché di immobili acquistati con denaro illecito o di esercizi commerciali.
Ci sono, poi, donne che ricoprono un ruolo attivo negli affari della famiglia mafiosa, svolgendo compiti criminali in prima persona, tanto da essere definite “madrine” a pieno titolo. Sono soprattutto le donne appartenenti a famiglie storiche di cosa nostra, cioè nate e cresciute in quell’ambiente e sposate con mafiosi di rango e coscientemente partecipi delle attività dei congiunti.
A riprova, la recente indagine del Comando Provinciale Carabinieri di Palermo, denominata Talea, ha mostrato come Mariangela Di Trapani, moglie di Salvino Madonia ristretto in regime di 41 bis, avesse assunto un ruolo di primissimo piano, tanto da imporre Giovanni Niosi quale capo del mandamento del quartiere di Resuttana.
In questi anni uno dei temi che è sempre riaffiorato è la mancanza delle denunce da parte di imprenditori e commercianti che pagano il pizzo. Spesso le denunce arrivano solo dopo che gli organi inquirenti hanno già svolto attività di indagine. Perché, secondo lei ancora non si riesce a rompere questo schema?
La pratica dell’estorsione continua a caratterizzare l’attività di cosa nostra palermitana direttamente connessa con la capacità di intimidazione dell’organizzazione. Essa rimane quindi affermazione del controllo delle famiglie mafiose sul territorio.
Riguardo al fattore economico, anche le indagini più recenti registrano una costante diminuzione della rimuneratività di tali condotte criminali.
E’ indiscutibile come le denunce e le collaborazioni degli imprenditori possano fortemente ed efficacemente contribuire a scalfire l’affermazione del potere mafioso, e come tanto, ancora oggi, si deve fare.
Ad ogni modo, posso sicuramente affermare che nelle operazioni del 30 ottobre 2017 nel territorio del comune di Bagheria (Pa), del 10 novembre 2017 nello storico quartiere di Borgo Vecchio di Palermo e del 5 dicembre 2017 nei quartieri cittadini di San Lorenzo e Resuttana, molti commercianti hanno collaborato con la magistratura e con l’Arma dei Carabinieri denunciando gli estorsori che esigevano il pagamento del pizzo.
Al contrario, la stessa collaborazione non si è, invece, registrata nel caso dell’operazione Falco del 21 novembre 2017, condotta dal R.O.S. Carabinieri di Palermo nel quartiere palermitano di Santa Maria di Gesù.
Al riguardo, è comunque importante sottolineare la vivacità del tessuto sociale odierno che, con l’aiuto delle Istituzioni tutte e con il sostegno delle associazioni antiracket, si adopera affinché si abbatta il muro dell’omertà. Un segno culturale che attesta un tangibile cambiamento. Pertanto, nel ricordare le parole che il Giudice Paolo Borsellino riportava nel suo libro Oltre il muro dell’omertà (“È normale che esista la paura in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio”), sento il dovere di ringraziare, ancora una volta, quegli imprenditori e commercianti che si affidano allo Stato, continuando a denunciare gli estorsori.
Negli ultimi anni le famiglie mafiose palermitane sono tornate ad investire nel settore del traffico di stupefacente; in che maniera?
Anche le casse della criminalità organizzata hanno risentito fortemente gli effetti della crisi economica. La chiusura di molte attività commerciali, l’edilizia civile ferma al palo, le opere pubbliche e le gare d’appalto, sempre più difficili da controllare e influenzare, hanno portato Cosa nostra in seria difficoltà economica.
Durante le intercettazioni è frequente ascoltare i mafiosi lamentarsi della mancanza dei “picciuli” (denaro), la cui ricerca è una necessità primaria, un pensiero fisso, quasi un’ossessione. Servono molti soldi per mantenere le famiglie dei detenuti, per pagare le spese legali e così via. Il mercato degli stupefacenti è sicuramente il business privilegiato che, permette di rimpinguare le casse di Cosa nostra. Ma nel tempo sono cambiati i canali e gli interlocutori.
Negli anni 80’ la “cupola” faceva affari con gli americani; all’epoca ogni famiglia aveva una propria raffineria con tanto di chimici che trasformavano la morfina in eroina. Oggi non è più così.
La Spagna, il nord Africa e l’asse con Napoli sono solo alcune delle strade percorse dalla mafia. Inoltre, anche per effetto delle richieste del mercato, l’eroina è quasi scomparsa dalle strade, il prezzo della cocaina (che era la droga “d’elite”) è sceso notevolmente diventando accessibile a chiunque … Ancora, registriamo una costante crescita di piantagioni di cannabis “fai da te” grazie ad un microclima che ne garantisce la giusta combinazione di sole e umidità; coltivazioni “indoor”, poi, realizzate in ogni luogo chiuso possibile, anche in anfratti di passaggio come nel quartiere “Zen 2” dove nel passaggio di servizio tra un edificio e l’altro sono state realizzate e scoperte delle serre artigianali corredate di tutto punto.
E infine, si annota, soprattutto negli ultimi tempi, la diffusione a Palermo del crack, una droga tornata attualmente di moda dopo la sua ascesa negli anni ’80. Uno stupefacente molto pericoloso, sintetizzato e ottenuto dalla cocaina, ma dagli effetti devastanti: subito dopo le prime inalazioni le conseguenze sono intense e dalla durata di pochi minuti; da una sensazione di forza ed energia, di eccitazione e vitalità, si passa velocemente ad una fase di depressione e apatia, fino ad arrivare a stati paranoici portando così il soggetto ad una dipendenza e assuefazione psicofisica.
Quali strumenti normativi sarebbero necessari per favorire il vostro lavoro? Quali sono le difficoltà che si possono incontrare sul piano investigativo?
Per quel che concerne la prima domanda, richiamo una recente intervista al Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Generale di Corpo d’Armata Giovanni Nistri, nella quale si auspica un aumento della potenzialità investigativa anche attraverso l’accesso a nuove banche dati come quella dell’Agenzia delle Entrate, fermo restando, nel caso specifico, la competenza della Guardia di Finanza, come polizia economica.
Inoltre, nell’ampio panorama delle misure dirette a contrastare la penetrazione criminale nelle attività economiche, con specifico riferimento agli appalti pubblici, un ruolo assai rilevante è svolto dalla documentazione antimafia, disciplinata dal decreto legislativo n. 159 del 2011 e successive modifiche.
L’informazione antimafia, nello specifico, è una misura amministrativa posta a salvaguardia della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica amministrazione. E’, infatti, interesse dell’Amministrazione poter verificare “affidabilità” e “moralità” delle imprese con le quali stipula rapporti contrattuali.
Invero, l’Autorità Prefettizia, mediante l’informativa antimafia, esprime in via preventiva un motivato giudizio concernente il possibile pericolo di infiltrazione mafiosa all’interno dell’impresa e permette di interdire qualsivoglia rapporto con la P.A. ovvero l’ottenimento di qualsiasi sussidio, beneficio economico o sovvenzione.
L’informativa interdittiva ha lo scopo di anticipare il momento in cui la Pubblica Amministrazione può intervenire in sede di autotutela amministrativa, al fine di evitare eventuali ingerenze della criminalità organizzata nell’attività d’impresa. Le informative prefettizie, infatti, hanno ad oggetto la verifica dell’esistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate.
Un altro strumento nella lotta a Cosa nostra è sicuramente rappresentato dall’aggressione dei patrimoni mafiosi.
Il contrasto alla criminalità organizzata non può prescindere dall’individuazione e dalla sottrazione dei patrimoni, perché la loro disponibilità dà grande potere agli affiliati.
Ma è soprattutto il Controllo Integrato del Territorio, avviato dall’Arma dei Carabinieri in sinergia con le altre forze di polizia, a produrre importanti risultati operativi nel campo sia della prevenzione, sia della repressione. I dati finora raccolti permettono senza dubbio di confermare l’efficacia di questa formula di cooperazione che, da un lato, ha permesso di ottimizzare e razionalizzare le risorse e, dall’altro, di conseguire dei risultati di rilievo nel campo della lotta per la legalità.
L’importante è, comunque, non allentare mai la presa, essere perseveranti e continuare a monitorare le strategie mafiose ovvero quelli che possono essere gli indici di mafiosità all’interno di un territorio. Iniziare, progettare e compiere il primo passo non è semplice, ma la difficoltà maggiore è essere costanti: “Non chi comincia, ma quel che persevera”.
22 Ottobre 2018