di Antonio Piro
In questo periodo abbiamo visto andare nelle piazze bottegai, ristoratori, baristi, artigiani e anche tanti sottoproletari che vivono con i lavoretti alla giornata, portavano cartelli con scritto: vogliamo la libertà di poter lavorare.
Costoro, che fino a poco tempo fa si sentivano protetti sotto l’ombrello della borghesia, oggi si sentono minacciati e spinti verso il grande mare proletario. Ovviamente questa piccola e media borghesia è totalmente ignara di quello che gli sta succedendo, non si rende conto che l’incalzare della crisi economica sta accelerando il processo di concentrazione dei capitali in mani sempre più ristrette e sicuramente molte di queste attività verranno eliminate, mentre altre finiranno sotto gli artigli dei grossi monopoli che le compreranno a prezzi di svendita.
Sono incoscienti dei meccanismi economici e sociali che questa pandemia sta accelerando, ma la loro rabbia nasce da una consapevolezza vera e cioè che se perdono il lavoro che hanno, difficilmente riusciranno a trovarne un altro.
Infatti i dati ufficiali non lasciano scampo: si parla ormai di 14 milioni di persone che vivono sul sentiero della povertà, mentre due milioni sono i disoccupati e quasi 5 milioni sono i lavoratori part-time non per scelta ma perché costretti.
A tutto ciò si aggiungono i salari da fame che percepiscono coloro che lavorano e i milioni di lavoratori in cassa integrazione.
Si può affermare tranquillamente che i capitalisti negli ultimi 30 anni hanno difeso i loro profitti investendo pochissimo, mentre hanno abbassato di parecchio il costo della forza lavoro sia col blocco dei salari ma anche dotandosi di un mercato del lavoro estremamente flessibile, a basso costo e ricattabile.
I capitalisti sono riusciti in un vero e proprio capolavoro, produrre disoccupazione, miseria e super sfruttamento causando al contempo una sempre più accentuata guerra fra poveri. Ora si stanno preparando a licenziare liberamente e a colpire stipendi e diritti dei lavoratori pubblici, mentre quota 100 è stata già eliminata e presto lo sarà anche il reddito di cittadinanza.
Perché queste masse sfruttate e buttate nella miseria non si uniscono e si ribellano? Perché i capitalisti hanno vinto anzitutto sul piano culturale, cioè hanno portato le persone a credere che questo sistema può avere storture ed essere anche ingiusto, ma è l’unico possibile.
In questo percorso i capitalisti sono stati aiutati molto dai loro servi, per questa ragione diciamo che non ci può essere una seria lotta anticapitalista senza lottare contemporaneamente contro i suoi servi.
Dunque servono posizioni chiare e azioni coerenti, serve una unità d’azione non su una lunga lista della spesa, ma su pochi e chiari obbiettivi.
Una tassazione che faccia pagare nulla a chi non lavora, poco a chi guadagna poco e molto a chi guadagna tanto comprese le tante società e multinazionali.
Una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario per lavorare tutti meno e vivere meglio.
Stop al lavoro precario in ogni sua forma.
Drastica riduzione delle spese militari.
Investimenti pubblici in sanità, istruzione, trasporti e recupero del territorio.
Questi cinque obbiettivi potrebbero essere la cornice per riportare a sintesi e unità interessi che i capitalisti in questi anni hanno frantumato e rappresentare una esplicita alternativa alle politiche collaborazioniste dei sindacati complici.
Ma potrebbero rappresentare anche un salto di qualità per il sindacalismo conflittuale, perchè non ha più nessun senso che ognuno lavori rinchiuso nel proprio recinto.