di Angelo Ruggeri
Per capire l’attuale fase, occorre domandarsi le ragioni di una deriva tanto rapida e profonda come quella che ha portato dal “caso italiano” di democrazia avanzata e movimento operaio più forte dell’occidente all’attuale situazione di rapido sgretolarsi sia della democrazia che del movimento operaio. Le ragioni stanno nella rincorsa della destra messa in campo dalla sinistra, sopratutto dall’interno dell’ex-PCI e dallo stesso presidente del Centro Riforma dello Stato Pietro Ingrao, che a partire soprattutto dalla proposta di dare vita ad un “governo costituente”, hanno accolto il metodo della destra “migliorista” del PCI di accettare il confronto sul terreno dei contenuti del Psi di Craxi, Amato e Giugni, dopo aver accettato come referente il principale ispiratore teorico della nascita del nuovo corso craxiano del Psi, cioè Norberto Bobbio.
Da allora, processi già avviati da tempo, hanno subito una accelerazione inaudita, di cui sono simbolo, per un verso, l’appoggio alla trasformazione aziendalistica delle FS, la proposta dell’introduzione dei manager e dell’azienda sanitaria, la cancellazione del diritto di sciopero nel pubblico ma di fatto anche nel privato, la privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico; per un altro verso la mozione ingraiana al 17° Congresso del PCI nell’ ’86 in cui si proponeva la revisione del sistema elettorale proporzionale e l’introduzione di un sistema politico fondato sull’“alternanza di governo”, l’accettazione dell’abolizione del voto segreto in Parlamento e della riforma della Presidenza del Consiglio e, in contemporanea (Congresso Cgil ’86) l’avvio di meccanismi di concertazione e collaborazione di classe sulla base di politiche di “democrazia economica” anche queste teorizzate e diffuse dal Centro di riforme dello Stato dopo che erano state per molti anni solo patrimonio di settori sindacali cattolici e di quelli socialisti e craxiani della Uil e della Cgil.
La contemporanea parabola in ascesa progressiva prima e poi in rapida caduta della democrazia e della forza del movimento operaio e sindacale, sta ad indicare l’osmosi quarantennale tra principi fondativi e ispiratori della Carta costituzionale, natura e forma dello Stato e crescita della democrazia sociale nel paese, anche in virtù del riconoscimento pieno della lotta e della dialettica di classe operata dalla Costituzione, sulla base del riconoscimento del diritto di sciopero che è il più nuovo dei diritti costituzionali anche personali, introdotti dalla Costituzione, come possibilità di risposta del soggetto più debole verso il soggetto più forte. Come risposta non debole, ma forte, perché organica a tutta una serie di relazioni istituzionali.
La lotta di classe c’e sempre stata, ovviamente: si tratta di vedere però se tutte le parti vengono abilitate o no, altrimenti la parte dominante mantiene essa sola l’esclusiva. In Italia ciò, unico paese, è stato legittimato finanche a livello costituzionale al punto tale che la Corte costituzionale nel ’74 ha riconosciuto come legittimo lo sciopero politico per le trasformazioni sociali e istituzionali.
Così richiamandosi alla Costituzione fin dai tempi in cui il sindacato lottava non per la “democrazia economica”, ma per fare entrare la Costituzione – quindi la democrazia politica-economica-sociale – in fabbrica, tutto il processo, anche nella fase più acuta di forza e tenuta delle forze autoritarie legate alla DC, è stato sempre di movimento politico e sociale di massa, mai di chiusura istituzionalista. Intendendo con ciò che ogni atto introdotto persino dai governi centristi, pur nella loro riduttività legata agli interessi di classe dei partiti di governo, erano però sempre legati e talvolta determinati alla sollecitazione politico-sociale di una sinistra social-comunista, che all’inizio di ogni legislatura, rivendicava l’attuazione della Costituzione anche con la presentazione di progetti di legge.
Tutto ciò era esattamente conforme alla natura e al carattere della Costituzione italiana e alla natura delle modalità con cui nella fase costituente prima e alla Costituente poi, essa è stata definita partendo dalla forma dello stato e non dalla forma del governo. Per capire come mai si è giunto a tutto ciò che vediamo oggi, occorre innanzitutto mettere fuoco che cosa è la questione dello stato per la sinistra. E per fare questo occorre partire dalla base della Costituzione, per capire innanzitutto, cosa significhi “cultura istituzionale” e quale matrice c’è dietro di essa. Perché la matrice di una cultura istituzionale, in quanto tale è, per sua natura, di “destra”, perché lo stato l’ha costruito la borghesia e questa “cultura istituzionale” e quella della borghesia.
Quando come Bobbio si dice che non esiste una teoria marxista dello stato, si dice il falso, perché non si vuole considerare che una teoria politica come quella marxista non è “giuridica” e “istituzionale” solo in quanto vi è in essa la consapevolezza che la “cultura dello stato” è borghese. E’ una cultura di destra, perché lo stato è nato dentro una cultura borghese, per cui si parla di “statalismo” come posizione culturale di sinistra, mentre lo “statalismo”, storicamente, nasce come posizione culturale di destra. Tanto che i processi di sviluppo di queste culture sono sempre stati governati dalla cultura borghese e in particolare dai giuristi a cui è stato delegato questo compito. E il caso classico di questo è la costituzione di Weimar, che è stata fatta interamente dai giuristi in base a teorie giuridiche e non da forze e sulla base di teorie sociali e politiche. Perché quando l’ideologia dominate è quella borghese, la borghesia affida ai giuristi la consacrazione tecnica – nelle sue più svariate forme – di una soluzione che rimane però sempre nel campo degli interessi delle classi dominanti. Pertanto le varie forme che si criticano come “ingegneria istituzionale” è prova di una possibile varietà di soluzione tecniche in funzione però di una sola forma di potere, di soluzione univoca e in una sola direzione : il governo dall’alto. La Costituzione italiana invece è stato il frutto di un lavorio politico e non tecnico, in base ad uno scontro e incontro su questioni di teoria sociale e politica su quale “forma di stato”. Forma di stato che vuole dire che il carattere sociale e i rapporti tra le classi sono la condizione dell’organizzazione del potere e quindi anche della forma di governo, da determinarsi non in base a teorie giuridiche, ma politiche e sociali. Fino al punto che alla Costituente si discuteva se doveva essere “socialista” e si è deciso di superare non solo lo stato fascista, ma anche quello di democrazia liberale, istituendo uno stato di democrazia sociale. Perché superare la Costituzione liberale, poteva essere un aspetto parziale e insufficiente se non si fosse tenuto conto delle caratteristiche nuove del capitalismo, non solo come capitalismo monopolistico, ma del capitalismo monopolistico “privato” e di “stato”.
26-5-1994