Luigi Grandolini si riabbona all’«Avanti!» e dichiara che «il Partito socialista era nel vero, avversando la guerra delle borghesie dominanti». Luigi Grandolini, in una «lettera aperta al segretario politico torinese dell’Unione socialista italiana» — prolissa e sgangherata quanto si addice all’espressione di una esulcerata coscienza in crisi — protesta indignato contro il governo ladro che non mantiene le promesse che Luigi Grandolini ha fatto al «popolo», protesta indignato contro i re, gli imperatori e i presidenti che fanno orecchio da mercante e dimostrano spudoratamente di voler rimanere al loro posto, intestardendosi nel lasciare Luigi Grandolini in condizioni tali da non poter mantenere la parola data al «popolo» che la guerra mondiale sarebbe stata l’ultima delle guerre e la pace vittoriosa — raggiunta con la resistenza e il virtuoso sacrifizio del popolo generoso ed eroico — avrebbe significato disarmo, Stati Uniti del mondo, radicale trasformazione politica economica sociale, Bengodi con salsicce e gnocchi per tutti i diseredati.
Luigi Grandolini, infine, rivendica la sua buona fede, l’interezza della sua coscienza, l’entusiasmo umanitario e idealistico, che lo spinsero ad «abbracciare» la santa causa della guerra e a propugnare l’Unione socialista nazionale contro l’internazionalismo classista del Partito socialista.
La crisi del pentimento del Grandolini individualmente vale quanto una zirlante zanzara cocchiera; e a Torino l’interventismo «rivoluzionario» non supera, in nessun altro capoccia, la statura intellettuale del ridevole Maddaleno. Ma la crisi è diffusa: tutta la «vera» democrazia italiana, «veramente» rivoluzionaria, è in crisi, e si dispera e si dibatte angosciata. Tutta l’intellettualità italiana — che aveva accettato il dolce incarico governativo di propagandare e persuadere i soldati e il popolo, che aveva promesso, che aveva giurato — è oggi in crisi. Il povero idealismo politico attende spasimoso l’approssimantesi tuffo in poco odorosi recessi.
L’idealismo politico è stato convinto di slealtà; la classe intellettuale italiana è rea confessa di millantato credito e di truffa all’americana. Aveva promesso senza avere la capacità di mantenere, aveva giurato al contadino che, arrischiando la vita o la validità al lavoro, avrebbe conquistato per i figli la pace e la giustizia sociale e la sicurezza alla vita. Perché aveva promesso? Perché aveva giurato? Quali garanzie aveva? Su quale potenza fondava la sua azione di convincimento delle anime semplici e ingenue? Ed è galantuomo chi promette senza avere il mezzo di mantenere, chi spinge alla morte un padre, affidandolo all’avvenire dei figli, e ai figli è capace solo di offrire belle parole? La classe intellettuale italiana è stata sleale, è stata disonesta, negli individui singoli; socialmente è stata piú criminosa, perché ha imbarbarito il popolo, perché ha rincrudito nel popolo la tendenza allo scetticismo e alla diffidenza antisociale. L’omaggio che la zanzara cocchiera Luigi Grandolini rende esplicitamente al Partito socialista oggi e che gli «intellettuali» idealistici democratici implicitamente rendono, non ci lusinga né ci intenerisce: esso viene da gente squalificata moralmente, politicamente e intellettualmente, da individui convinti di slealtà e di truffa, da smidollati senza nobiltà, che per rigenerarsi non sono neppure capaci di un atto eroico di sacrifizio personale quale avrebbero il diritto di pretendere da loro i ciechi e i mutilati, gli orfani dei padri, che essi, con le loro promesse sleali, hanno infervorato nell’opera vanamente gladiatoria.
Antonio Gramsci “Sotto la Mole” 23 gennaio 1919