Guerra di nervi, guerra diplomatica. Ma soprattutto, per ora, guerra di informazioni non confermate, come la paternità siriana del presunto attacco del 21 agosto con armi chimiche alla periferia di Damasco, oggetto delle indagini Onu. Il falso più evidente: gli Usa pretendono di intervenire militarmente in Siria dopo “due anni di inazione”. E’ vero il contrario: da almeno 15 mesi, gli Usa e i loro alleati stanno già combattendo il regime di Assad, attraverso una sanguinosa guerra segreta, che stanno perdendo. L’intervento aereo servirebbe proprio a invertirne l’esito, fornendo ai guerriglieri – come in Libia – il decisivo vantaggio dell’aviazione. Ma la Siria non è la Libia: è difesa dalla Russia e, in caso di attacco, anche dall’Iran e dalle milizie di Hezbollah al confine tra Libano e Israele. In questo quadro si inserisce la fuga di notizie incontrollate che, alla vigilia del possibile raid, parlano addirittura di prove di guerra aerea già in corso: test cruciali, per sondare le reali capacità siriane di difesa? Fra il 30 e il 31 agosto, Damasco avrebbe addirittura abbattuto un sofisticato caccia F-22 Raptor, nonché quattro missili cruise lanciati subito dopo, forse per rappresaglia.
Proprio l’ipotetico scontro aereo nei cieli siriani, oltre al clamoroso isolamento internazionale dell’America di fronte al conflitto, secondo molti blog potrebbe aver contribuito all’improvvisa frenata di Obama, convintosi a richiedere il voto del Congresso e quindi, di fatto, a rinviare l’attacco sulla Siria – che peraltro la propaganda militare di Assad ha dichiarato di non temere. Secondo voci non verificabili, attribuite per lo più a fonti siriane, due Mig-29 avrebbero individuato, inseguito e abbattuto l’F-22, avanzatissimo “caccia invisibile”, inviato forse in avanscoperta. Abbattere un Raptor? Operazione impossibile, se non con l’assistenza tecnologica russa come quella che potrebbero offrire le unità aeronavali di Mosca di stanza a Tartus, sul mare di fronte alla capitale siriana. Sul web si sprecano titoli a effetto: “Aviazione Usa sotto choc”. Anche perché l’attacco contro Assad verrebbe sferrato utilizzando gli F-16 americani con base in Giordania e gli F-15 dislocati in Iraq e in Turchia, in ogni caso velivoli non invisibili ai radar.
Idem per l’altrettanto ipotetico abbattimento dei Tomahawk, forse intercettati in volo – tutti e quattro – in teoria da batterie di missili antiaerei S-300, a meno che i russi non abbiano nel frattempo dotato la Siria di difese missilistiche ancora più efficaci. La diffusione di queste voci, attualmente prive di riscontri attendibili, tende evidentemente a rafforzare la convinzione che in Siria non sarebbe praticabile una “no-fly zone” come quella imposta alla Libia, dal momento che la distruzione delle difese siriane comporterebbe rischi enormi e perdite molto elevate. Il labirinto nel quale è finito Obama non è delimitato solo dalla “linea rossa” evocata come limite insuperabile – quello delle armi di distruzione di massa – ma, molto prima, dalla decisione (segreta) di muovere guerra contro Assad, armando milizie territoriali, siriane e non, reclutate e coordinate dall’intelligence e dalle forze speciali.
Si tratta di formazioni arabe, per lo più jihadiste, addestrate nelle basi in Giordania e in Turchia, equipaggiate e finanziate con l’aiuto delle dittature petrolifere del Golfo come l’Arabia Saudita, con l’obiettivo di trasformare in guerra civile l’iniziale protesta democratica contro il regime di Assad. Proprio i sauditi sarebbero giunti addirittura a minacciare Putin di colpire col terrorismo ceceno (succursale caucasica dello stragismo salafita, targato Al-Qaeda) le Olimpiadi Invernali di Sochi del 2014 se la Russia continuerà a difendere strenuamente la Siria dall’aggressione in corso. Russia che – ripetono gli osservatori più cauti – continuerà invece a mantenere un basso profilo, limitandosi ad adottare reazioni “asimmetriche” e non militari. Finora, gli unici lanci di missili ufficialmente confermati sono quelli “preliminari” di Israele, che a sua volta si prepara al peggio distribuendo maschere antigas alla popolazione e aggiustando il tiro delle sue rampe di lancio puntate verso il Golan, la Siria e l’Iran.
05/9/13