di Silvia Truzzi
Enfin, a succedere a Carlo De Benedetti alla presidenza di Gedi – la società nata dalla fusione di Repubblica-Espresso e Stampa-Secolo XIX – sarà il figlio Marco: la decisione ha trovato d’accordo anche i fratelli Edoardo e Rodolfo. Ieri in Borsa il titolo della società non ha praticamente avuto oscillazioni: circostanza singolare, vista l’entità di una notizia non smentita. Il mercato, secondo gli osservatori, aveva già digerito un cambio negli assetti di potere del gruppo.
La società sarà guidata da Monica Mondardini, amministratore delegato di Cir e il cambio al vertice sarà ufficializzato oggi, durante il consiglio di amministrazione, dopo settimane in cui le voci di un addio dell’Ingegnere si sono fatte sempre più insistenti: come abbiamo raccontato ieri, si era ipotizzato l’arrivo di Ezio Mauro, per vent’anni direttore di Repubblica, apprezzato dalla famiglia e dalla redazione, per la quale continua a essere un punto di riferimento anche doopo l’arrivo di Mario Calabresi. Per garantire continuità al processo di fusione però doveva esserci un De Benedetti. Dunque, tutto resta in famiglia. Ma, appunto, quale famiglia?
LA DOMANDA è meno maliziosa di quanto a prima vista non appaia, visto che a breve si perfezionerà il matrimonio tra i due gruppi: allora si scopriranno le carte e si capirà quali sono i rapporti reali.
Quando la fusione fu annunciata, la mappa dell’azionariato vedeva la Cir al 43%, Exor al 5% circa, la famiglia Perrone (Il Secolo XIX) al 5% (altri azionisti Fca all’11% circa e il restante 36% costituito da flottante). I numeri continueranno a essere questi? Oppure la famiglia Agnelli, in tempi anche piuttosto rapidi, conterà di più, come molti sospettano? Vero che le azioni si pesano, dunque può darsi che gli Agnelli avranno più d’una voce in capitolo anche con una partecipazione residuale. Però, però: non è un segreto che in questi mesi le preoccupazioni di Carlo De Benedetti per la sua Repubblica siano aumentate. Il giornale soffre un calo di copie che va oltre il fisiologico, anche a causa di un panorama politico in cui è difficile orientarsi e far da bussola ai lettori. Prima di Repubblica, è la sinistra a essere in crisi esistenziale, tra la difficoltà di governare, scelte sbagliate (vedi il referendum), fratture. La linea politica, che era tracciata con decisione da Mauro, oggi è molto più sbiadita: forse per questo – oltre che per la stabilità dei conti – si è parlato di un avvicendamento alla guida del quotidiano di largo Fochetti. Molti nomi sono girati: da Massimo Giannini, editorialista di punta del giornale, a Carlo Verdelli, ex direttore editoriale delle news Rai, fino (addirittura) a Maurizio Molinari, direttore della Stampa succeduto proprio a Calabresi.
CHE PERO’ era ed è l’architrave del matrimonio tra le due famiglie: John Elkann lo stima molto, senza di lui l’operazione potrebbe saltare. Il suo nome non è in discussione e il recente qcquisto di Sergio Rizzo, firma storica del Corriere della Sera che diventerà vicedirettore di Repubblica, confermerebbe il rafforzamento della direzione di Mario Calabresi.
Un ciclo si chiude e l’addio dell’Ingegnere simbolicamente significa parecchio: è lui in persona ad aver incarnato per decenni la figura dell’editore, appassionato di politica e d’informazione, è sempre stato lui a gestire le faccende di Repubblica. Ora – da ultimo mercoledì durante la chiusura dei festeggiamenti per i 150 anni della Stampa – si afferma con insistenza che il futuro dell’editoria (dei libri come dei giornali) passa per le fusioni. “Nel rispetto delle singole individualità”, è la frase che ricorre sempre, come a esorcizzare lo spauracchio dell’omologazione. Dove contano i numeri e i pareggi nei bilanci: ma questo è un mestiere dove conta moltissimo anche la qualità delle persone, la capacità di intercettare i cambiamenti, mettersi in connessione sentimentale con i lettori. Vedremo se la nuova, Terza, Repubblica saprà farlo.
23 giugno 2017