Crescono, stando al bollettino Inail, le patologie professionali e gli infortuni sul lavoro con esito mortale. Nei primi nove mesi del 2018 i casi di infortunio denunciati all’Inail sono stati 469.008, in diminuzione dello 0,5% rispetto all’analogo periodo del 2017. Non è solo questione di numeri che possono talvolta diminuire o aumentare, infortuni, malattie e morti sul lavoro continuano a provocare stragi di uomini e donne, anno dopo anno. Alle statistiche poi dovremmo sempre prestare attenzione visto che il parametro di confronto delle ore effettivamente lavorate nel corso dell’anno, della forza lavoro realmente attiva non sempre viene preso in esame prima di valutare se una voce, qualunque essa sia, presenta un segno positivo o negativo.
Per esempio nei primi 9 mesi dell’anno 2018 gli infortuni denunciati nella gestione Industria e servizi risultano in lieve calo (dai 375.499 del 2017 ai 373.670 casi del 2018), come del resto in agricoltura (-2,4%) o tra gli statali (-0,1% ) . Da questi dati potremmo dire che il numero degli infortuni è in calo rispetto all’anno precedente, poi gli stessi numeri potrebbero essere rapportati alle Regioni di Riferimento e scopriremmo che nel frattempo sono state chiuse decine di aziende con perdita di centinaia , forse migliaia , posti di lavoro con una costante diminuzione delle ore lavorate che poi restano, con la forza lavoro, il parametro dirimente da prendere in esame prima di parlare di aumento o diminuzione della forza lavoro.
Se allora guardiamo ai territori si comprende che le denunce di infortunio diminuiscono soprattutto laddove sono diminuite le ore lavorative mentre nel Nord est sono in aumento e nel Nord ovest diminuiscono di poco, meno dello 0.01%.Troppo poco allora per parlare di inversione di tendenza o giustificare tagli alle spettanze Inail da parte delle imprese, per esempio molte lavorazioni pericolose sono ancora oggi scaricate su lavoratori exracomunitari che vantano l’incremento dei decessi, delle malattie e degli infortuni con un piu’ 8% alla voce infortuni.
Se poi guardiamo alla età anagrafica, gli infortuni aumentano tra gli under 30 e gli over 60 a dimostrare che poco si investe in prevenzione e sicurezza per i giovani e si costringe ormai la forza lavoro anziana a prestazioni gravose determinando aumento dei rischi per la salute e la sicurezza (questi dati sono la risposta migliore agli assertori dell’innalzamento dell’età pensionabile)
Le morti sul lavoro sempre nei primi nove mesi di quest’anno aumentano dell’8,5% in un solo anno. Si muore soprattutto in estate quando, guarda caso, i controlli Inail e della direzione territoriale del lavoro si fanno piu’ radi anche per gli organici inadeguati di queste realtà preposte al controllo.
Qualcuno potrà obiettare che l’aumento delle morti è legato ad eventi eccezionali come gli incidenti stradali che hanno visto protagonisti i braccianti in Puglia o al crollo del Ponte Morandi a Genova, certo che questi episodi hanno avuto il loro peso ma il caporalato nella raccolta dei pomodori è cosi’ diffuso, per anni impunito, che prevedere morti nel trasporto della forza lavoro ammassata come bestiame su camioncini non è una ipotesi remota.
Senza entrare nel merito delle statistiche e non annoiare il lettore proviamo a sviluppare un ragionamento: morti e infortuni non diminuiscono, il fenomeno è endemico e numerose malattie professionali non sono state ancora riconosciute come tali. I lavoratori extracomunitari sono spesso carne da macello, costretti a lavorare in condizione cosi’ precarie che malattie e infortuni non sono incidenti di percorso ma la conseguenza di prassi a dir poco disumane. Gli infortuni e le malattie non fanno distinzioni etniche e religiose, sono maggiori in alcune province e in taluni ambiti lavorativi , colpiscono i giovani o gli anziani per motivi diversi, i primi perchè senza formazione e addestramento o cosi’ impauriti di perdere il lavoro che accettano ritmi massacranti, i secondi ormai troppo logorati da anni di lavoro\sfruttamento per sostenere ritmi intensi.
Nel 2018 sono tornare a crescere le malattie professionali, almeno quelle già protocollate dall’Inail e riconosciute come tali , anche in questo caso sarebbe importante guardare alle singole patologie e alla loro collocazione geografica giusto per comprendere che i danni all’ambiente e all’uomo derivanti dall’uso di sostanze pericolose sono una piaga mai debellata come dimostrano le decine di siti inquinati che da lustri attendono di essere bonificati. Sulle singole malattie il ragionamento da fare sarebbe ancora piu’ lungo, basti ricordare che patologie osteo muscolari, legate al sistema nervoso o all’udito denotano non solo l’assenza di dpi(dispostivi di protezione individuali) ma anche processi lavorativi ripetuti e senza controllo nonchè l’insorgere di fenomeni sempre piu’ diffusi come depressioni e stati di ansia legati alla pressione padronale nei luoghi di lavoro.
Alla luce di queste considerazioni, chi puo’ allora pensare a ridurre il contributo delle imprese all’Inail? Magari potremmo aprire un dibattito sull’utilizzo di questi soldi ma gli sconti alle imprese si tramutano sempre in aumento dello sfruttamento, libertà di licenziamento, crescita di patologie, infortuni e morti sul lavoro. E’ bene ricordarlo agli smemorati di turno.
Sindacato Generale di Base