di Aaron Pettinari
I familiari chiedono un risarcimento da 50mila euro
Un risarcimento danni da 50mila euro. E’ quanto chiedono i familiari dell’agente Nino Agostino, ucciso il 5 agosto 1989 insieme alla moglie, incinta, Ida Castelluccio a Villagrazia di Carini, all’ex poliziotto Guido Paolilli, indagato per favoreggiamento in concorso aggravato nel 2008, procedimento poi archiviato, e di nuovo nel 2010, con lo stesso esito.
Con il suo agire la ricerca della verità su quel delitto ha subito un danno incommensurabile. Adesso però Vincenzo Agostino e le sue figlie, Flora e Nunzia, cercano un briciolo di giustizia rispetto ad un uomo che si è salvato solo grazie alla prescrizione. Giovedì, dunque, porteranno Paolilli, oggi in pensione, davanti al giudice del tribunale civile di Palermo Paolo Criscuoli.
Un’azione decisa in concerto con il legale, Fabio Repici, che da anni si batte proprio affinché si arrivi ad un processo quantomeno contro i boss Nino Madonia e Gaetano Scotto, su cui indaga la Procura generale dopo l’avocazione dell’inchiesta qualche tempo addietro.
Che Paolilli abbia commesso un vero e proprio “furto di verità” è scritto nero su bianco nel decreto di archiviazione del Gip Maria Pino: “Le risultanze istruttorie dimostrano come l’indagato (Guido Paolilli, ndr) abbia contribuito alla negativa alterazione del contesto nel quale erano in corso di svolgimento le investigazioni inerenti all’omicidio di Antonino Agostino e Ida Castelluccio”.
E poi ancora si legge che “la condotta accertata ed ascrivibile a Paolilli integra gli elementi costitutivi del reato” di favoreggiamento aggravato. Il Gip ravvisa quindi “plurime e gravi anomalie riscontrate in ordine ai tempi, alle modalità ed agli esiti delle perquisizioni effettuate dagli investigatori presso l’abitazione di Altofonte dell’agente Agostino”.
Su tutte spicca la nota intercettazione ambientale del 21 febbraio 2008 nella casa di Montesilvano (Pe) dello stesso Paolilli. Mentre in televisione andava in onda un servizio della trasmissione “La Vita in diretta” durante la quale il padre di Nino, Vincenzo Agostino, parlava del biglietto trovato nel portafoglio del figlio – dove era scritto “se mi succede qualcosa guardate nell’armadio di casa” – contemporaneamente il figlio di Paolilli (intercettato) domandava al padre: “Cosa c’era in quell’armadio?”. “Una freca di carte che proprio io ho pigliato e poi ho stracciato”, gli aveva risposto senza tergiversare.
“Come ufficiale di polizia giudiziaria – ha dichiarato oggi a La Repubblica l’avvocato Repici – Paolilli avrebbe dovuto preservare e portare a conoscenza dell’autorità giudiziaria ogni reperto utile all’accertamento della verità sul delitto e sulla sua causale. Invece, l’attività di depistaggio ha cagionato enormi danni ai familiari di Nino Agostino, che non hanno mai smesso di chiedere verità e giustizia sull’assassinio del proprio congiunto”.
Sempre nel decreto di archiviazione del Gip, infatti, viene evidenziato come lo stesso Paolilli “non ha offerto interpretazioni alternative” su quella “gravissima affermazione” ed anzi, “con dichiarazioni palesemente irricevibili”, ha negato davanti ai pm, nonostante l’evidenza dei fatti, di averla mai resa (“Non è possibile… non è possibile.. E che cosa dovevo stracciare… Io ho detto ste cose a mio figlio?… Non l’ho detto caspita.. non c’era nessuna carta… io non ho stracciato niente”).
Quel precedente nel caso Ustica
Per dare ancora più forza all’atto di citazione, Repici ha ricordato la sentenza del tribunale di Palermo sul depistaggio nel caso del disastro di Ustica: in quell’occasione, il giudice parlò chiaramente di un “vero e proprio diritto alla verità, oltre che quello immediatamente conseguente del diritto a ottenere giustizia”.
E per quei fatti i ministeri della Difesa e dei Trasporti, furono condannati a risarcire i familiari delle vittime, per “la dimostrata attività di ostacolo e di depistaggio posta in essere, nel corso degli anni, allo scopo di impedire una rapida e veritiera individuazione delle effettive cause del disastro, con occultamento di prove significative e di indizi essenziali alla scoperta della verità”.
Un principio che può valere anche in questo caso. In attesa che, dopo gli approfondimenti compiuti dalla Procura generale, vi possa essere finalmente un processo che restituisca verità e giustizia per Nino, Ida e quel bimbo mai nato.
13 Gennaio 2020