Aaron Pettinari
Il processo sarà in abbreviato. Davanti al Gup, nel procedimento su Scotto e Rizzuto, la Procura generale mette in evidenza depistaggi
Trentuno anni di attesa. Tanto è passato da quel 5 agosto 1989 in cui l’agente di polizia Nino Agostino è stato ucciso assieme alla moglie, Ida Casteluccio. Il prossimo 27 novembre, finalmente, si terrà un primo processo, seppur in abbreviato, per il capomandamento di Resuttana (già detenuto dal 1987) Nino Madonia, accusato di duplice omicidio aggravato, per poter dare giustizia ai familiari e a tanti italiani onesti che si sono stretti attorno a loro in questa richiesta di verità.
Lo ha stabilito il gup di Palermo Alfredo Montalto nel corso dell’udienza preliminare di oggi, svoltasi nell’aula bunker dell’Ucciardone, dopo la richiesta del capomafia di essere giudicato con il rito alternativo.
Diversamente è proseguita l’udienza preliminare nei confronti di Gaetano Scotto (boss dell’Acquasanta indicato da diversi collaboratori di giustizia come ponte tra Cosa nostra e i servizi segreti deviati), accusato anch’egli dell’omicidio, e Francesco Paolo Rizzuto. Quest’ultimo, amico di Agostino, secondo gli inquirenti, avrebbe assistito al delitto e conoscerebbe particolari importanti per risalire agli esecutori. In tutti questi anni non solo sarebbe rimasto in silenzio ma, quando è stato sentito dagli investigatori, non avrebbe raccontato tutto, mentendo. Ed è per questo motivo che la Procura generale lo ha indagato per favoreggiamento aggravato.
In tanti anni la ricerca di verità e giustizia ha attraversato varie fasi in cui, accanto ai silenzi, si sono consumati una lunghissima serie di depistaggi.
Il sostituto procuratore generale Umberto De Giglio, presente in aula assieme a Domenico Gozzo (applicato al processo dalla Direzione nazionale antimafia), nel suo intervento, ha spiegato la necessità, vista la delicatezza e l’importanza del processo, di non limitarsi a insistere nella richiesta di rinvio a giudizio.
Dunque si è voluto “motivare in dettaglio” perché si ritiene di dover portare a processo gli indagati.
Dunque, dopo aver ricostruito l’omicidio dei due coniugi, in quattro ore di requisitoria i magistrati hanno ricordato una serie di scandalosi eventi che hanno attraversato l’intero caso.
Tra i primi l’informativa di Arnaldo La Barbera che classificò fin da subito l’omicidio come “delitto passionale” per una presunta vendetta da parte dei familiari di una ex fidanzata di Agostino.
Un atto sicuramente significativo se si considera che lo stesso La Barbera è anche colui che, secondo i giudici della Corte d’Assise di Caltanissetta del processo Borsellino quater, avrebbe avuto un ruolo determinante nel depistaggio della strage di via d’Amelio, con la costruzione del falso pentito Vincenzo Scarantino. Insomma, uno che, a leggere le carte, sembrerebbe essere esperto nel “settore”.
E in questo senso non appare un caso la richiesta fatta allo stesso picciotto della Guadagna, di autoaccusarsi anche del delitto Agostino.
Ma questo non è nulla paragonato a ciò che accadde nelle ore immediatamente successive all’agguato. Dalla casa dell’agente scomparvero, infatti, carte importanti che lo stesso custodiva dentro l’armadio. A testimoniarne l’esistenza è un biglietto fuoriuscito dal suo portafogli quando il padre, Vincenzo, il giorno del delitto lo lanciò contro il muro. Nello stesso c’era scritto di andare a cercare dentro l’armadio del poliziotto nel caso in cui gli fosse successo qualcosa.
L’esistenza di questi documenti emerge anche da un’inquietante dichiarazione di Guido Paolilli, l’ex poliziotto in passato indagato per favoreggiamento in concorso aggravato (inchiesta poi archiviata dalla Gip di Palermo, Maria Pino, per avvenuta prescrizione, ndr).
Era il 21 febbraio 2008 quando in televisione andò in onda un servizio durante la trasmissione “La Vita in diretta” in cui Vincenzo Agostino rammentò la vicenda del biglietto trovato nel portafogli del figlio.
A quel punto il figlio di Paolilli, che assieme a lui seguiva la trasmissione, gli chiese cosa ci fosse in quell’armadio e lo stesso, inconsapevole di essere oggetto di un’intercettazione ambientale, rispose: “Una freca di cose che proprio io ho pigliato e poi ne ho stracciato”. Paolilli, però, ai magistrati negò sempre di aver pronunciato quelle parole e che se ciò fosse avvenuto il riferimento sarebbe stato a delle carte che il figlio dello stesso, appena sposato, teneva in casa.
Sempre Guido Paolilli fu colui che scrisse ed inviò, al dirigente della Squadra Mobile, un verbale in cui si attesta che nel corso delle indagini erano state “effettuate tre perquisizioni presso quella abitazione (di Agostino, ndr) e, solo nel corso della terza, durante la quale a differenza delle altre partecipava anche lo scrivente (Paolilli, ndr), in uno stanzino venivano rinvenuti 6 fogli su cui l’Agostino aveva scritto di proprio pugno, tra l’altro, di temere per la propria incolumità”.
Cosa contenessero quei 6 fogli rinvenuti durante la perquisizione non è dato a sapersi.
Ed è per questo motivo che sorge un quesito: che siano quelli a cui Paolilli faceva riferimento nell’intercettazione ambientale? E se sì, sono quelli che ha “stracciato”?
Ugualmente sono stati evidenziati i contatti tra l’ex poliziotto e l’ex Sisde Bruno Contrada.
Altro tema della requisitoria è stato la reticenza portata avanti per anni da Elio Antinoro, che all’epoca dirigeva il Commissariato San Lorenzo. E’ proprio lì che Agostino prestava ufficialmente servizio nel 1989.
Come si legge nella richiesta di arresto dello scorso febbraio, che fu poi respinta dai giudici, per Scotto e Madonia, il Commissariato di San Lorenzo era diventato “un laboratorio che operava a cavallo della mobile linea di confine tra attribuzioni istituzionali delle Forze di Polizia e organismi di Intelligence”. Le indagini hanno evidenziato l’esistenza di una squadra di investigatori, di cui Agostino faceva parte, “che venivano investiti di compiti peculiari extra ordinem entrando in tal modo in relazione con personaggi e confidenti utilizzati dal medesimo Antinoro”. “Tra questi – scrivevano allora i magistrati – vi erano non solo individui appartenenti al mondo della criminalità comune e mafiosa, ma anche soggetti come Alberto Volo – con il quale l’Agostino entrò in relazione – il quale aveva rapporti con esponenti mafiosi (in particolare Salvatore Davì uomo d’onore della famiglia di Partanna Mondello), gravitava nel mondo dei servizi segreti deviati e aveva avuto comprovati rapporti con soggetti della destra eversiva, tra i quali Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, protagonisti della strategia della tensione attuata anche con la strage di Bologna del 2 agosto 1980 per la quale sono stati entrambi condannati con sentenza definitiva”.
La Procura generale, rispetto ad Antinoro, ha anche evidenziato come lo stesso abbia “continuato a restare reticente su quanto a sua conoscenza in ordine alla reale attività extra ordinem svolta dall’Agostino e da altri poliziotti in servizio al Commissariato da lui diretto”.
L’udienza è stata rinviata al 13 novembre, giorno in cui potrebbe prendere la parola il pg Domenico Gozzo che dovrebbe concludere formalizzando la richiesta di rinvio a giudizio. Il gup ha comunque altre date (16, 23 e 30 novembre) entro cui dovrebbero parlare anche le altre parti, a partire dalle difese degli indagati.
Intanto la giornata di oggi resterà comunque nella storia. E il motivo lo ha spiegato via social Flora Agostino, sorella del poliziotto ucciso, oggi presente in aula insieme al padre Vincenzo e all’avvocato Fabio Repici: “Non è stato per niente facile oggi ascoltare il Pm durante la sua attenta ed accurata requisitoria, soprattutto nella ricostruzione del momento dell’eccidio. Ho chiuso gli occhi e mi sono ritrovata a quel maledetto 5 Agosto 1989 rivivendo quei momenti, gli spari, il grido di Ida, Nino che si accasciava a terra esanime, il suo sangue nella mia maglietta… e senza che me ne accorgessi avevo la mascherina bagnata di lacrime… e poi il mio pensiero è andato alla mia mamma che non ha potuto assistere all’inizio di quello che si speri diventi un processo…”. E poi ancora, ricordando la mamma morta nel febbraio 2019: “Il pubblico ministero nella requisitoria ha nominato mia madre in relazione ad alcuni fatti, mi è sembrato di averla accanto”.
“‘Qui giace Schiera Augusta, mamma dell’agente Antonino Agostino. Una mamma in attesa di giustizia anche oltre la morte'” è scritto nella lapide della “madre coraggio”.
La ricerca della verità sul delitto e le “menti raffinatissime” che non ne hanno permesso il raggiungimento passa da questo processo. E la speranza, per la famiglia e gli italiani onesti, è che possa essere davvero la volta buona.