di MOWA
Giorgio Napolitano: argomento difficile da trattare (ma inevitabile), soprattutto dopo l’uscita del libro di F. Pinotti e S. Santachiara: I panni sporchi della sinistra – I segreti di Napolitano e gli affari del PD; dove si parla del mondo della sinistra istituzionale e nel primo capitolo dell’attuale più alta carica dello Stato.
Quel Giorgio Napolitano di cui su questo sito si è molto detto e criticato.
Dopo l’uscita del libro sopracitato abbiamo avuto la riconferma che l’analisi fatta fosse corretta: costui è uomo di poteri forti all’interno del progetto anticomunista…
Tanto allineato con questi poteri da avere in premio, da costoro, come riconoscimento per il suo operato, la massima carica repubblicana: la presidenza.
In queste parole leggerete rabbia e amarezza ma, tant’è, non si può provare altro con uno che ha imbrogliato per tanti anni i lavoratori di questo paese…
Sì. Imbrogliato e imbroglia!
Perché uno che s’iscrive a un partito (PCI), che si prefiggeva il benessere degli oppressi e lottava per una società più giusta, non può farla franca e lasciar cadere nell’oblio il suo tornaconto.
Come lo chiamereste voi uno che raggira un intero partito su quali siano i propri veri scopi?
Uno che, nel partito, assumeva posizioni favorevoli all’invasione da parte (dei già revisionati) sovietici dell’Ungheria nel 1956 solo, probabilmente, nel tentativo di alimentare la visione mondiale che i comunisti sono antidemocratici e irrispettosi della volontà popolare.
Non è stato questo, forse, un favore ai poteri forti?
Uno che aveva fatto “da sponda politica dentro il Pci alle teorie dell’operaismo negriano che tanto si erano dimostrate utili in funzione anticomunista e antimovimenti. Napolitano, il migliorista, il più deciso avversario dei comunisti legati a Enrico Berlinguer, che nella sua autobiografia Dal Pci al socialismo europeo (Editori Laterza, 2005), conferma l’esistenza di un’azione convergente tra l’area proveniente da Potere operaio e la sua in funzione antioperaia e quindi anticomunista: «Nella seconda metà degli anni ’70, il problema che ci si poneva era quello della funzione che la classe operaia era chiamata ad assolvere dinanzi a una grave crisi dell’economia e dello Stato democratico. Dedicammo a quel problema – avendo io la responsabilità specifica del partito in quel campo – una serie di iniziative, dal convegno di Padova del novembre 1977 su Operaismo e centralità operaia (relatori Mario Tronti, Aris Accornero e Massimo Cacciari), all’iniziativa del febbraio 1978 a Milano su Crisi dell’impresa e partecipazione dei lavoratori, alla VII conferenza operaia nazionale del Pci, che si tenne a Napoli dal 3 al 5 marzo 1978»...”[1]
Non sono stati, anche questi, forse, favori ai poteri forti?
Un Napolitano che sosteneva (e persegue tutt’oggi): “…a proposito il ruolo delle lotte dei lavoratori e della funzione anticapitalista della classe operaia? Che deve farsi carico della «crisi finanziaria e produttiva che ha investito una parte importante del sistema delle imprese» e afferma, per chi non aveva ben compreso «…di sostenere una linea di contenimento delle rivendicazioni e degli aumenti salariali, di spostare l’impegno e la mobilitazione verso altri obbiettivi, di rilancio e qualificazione degli investimenti, di crescita dell’occupazione nel Mezzogiorno, di sviluppo effettivo di una politica di programmazione, anche attraverso la partecipazione dei lavoratori al confronto sui programmi delle imprese»…”[2]
E questi non sono stati, forse, favori ai poteri forti?
Avremmo dovuto, come comunisti, essere più severi con tutti quelli che come lui hanno sfruttato la buona fede degli oppressi.
L’ala migliorista del PCI (Luciano Lama, Mario Alicata, Giorgio Amendola, Sandro Bondi, Paolo Bufalini. Giorgio Borghini, Gianni Cervetti, Gerardo Chiaromonte, Napoleone Colajanni, Guido Fanti, Massimo Ferlini, Lodovico Festa, Nilde Iotti, Emanuele Macaluso, Giorgio Napolitano, Edoardo Perna, Giovanni Pellegrino, Giovanni Pellicani, Michelamgelo Russo, Antonello Trombadori, Lanfranco Turci) fu un esercito di “agenti” che portò acqua al mulino dei poteri forti in modo tanto sfacciato, che oggi, non deve rendere conto a nessuno del proprio operato.
Le figure di questi miglioristi sono come i massoni che Gramsci sollecitava di studiare in quanto pericolose e antitetiche alla progettualità dei comunisti.
Difatti, nel libro ricordato sopra, a pag. 36, si parla di Giovanni Napolitano (padre di Giorgio) e di Giovanni Amendola (padre di Giorgio) e li si annovera tra i “fratelli” della massoneria.
Quella massoneria che, per “coincidenza”, si incontra nelle amicizie miglioriste di Napolitano come Gianni Cervetti, iscritto alla Loggia Giustizia e Libertà insieme a “…personaggi come Enrico Cuccia, Umberto Ortolani, [P2 tessera 1622 fascicolo 0494, ndr.]).” [3]
Quelle inquietanti presenze nel partito dei miglioristi e dei cossuttiani che imposero ad Enrico Berlinguer (dopo l’attentato subito in Bulgaria) di ribadire nelle Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile [4] che il PCI“saprebbe combattere e vincere su qualunque terreno”contro le forze reazionarie e imperialiste: «L’obiettivo di una forza rivoluzionaria, che è quello di trasformare concretamente i dati di una determinata realtà storica e sociale, non è raggiungibile fondandosi sul puro volontarismo e sulle spinte spontanee di classe dei settori più combattivi delle masse lavoratrici, ma muovendo sempre dalla visione del possibile, unendo la combattività e la risolutezza alla prudenza e alla capacità di manovra. Il punto di partenza della strategia e della tattica del movimento rivoluzionario è la esatta individuazione dello stato dei rapporti di forza esistenti in ogni momento e, più in generale, la comprensione del quadro complessivo della situazione internazionale e interna in tutti i suoi aspetti, non isolando mai unilateralmente questo o quello elemento.
La via democratica al socialismo è una trasformazione progressiva – che in Italia si può realizzare nell’ambito della Costituzione antifascista – dell’intera struttura economica e sociale, dei valori e delle idee guida della nazione, del sistema di potere e del blocco di forze sociali in cui esso si esprime. Quello che è certo è che la generale trasformazione per via democratica che noi vogliamo compiere in Italia, ha bisogno, in tutte le sue fasi, e della forza e del consenso.
La forza si deve esprimere nella incessante vigilanza, nella combattività delle masse lavoratrici, nella determinazione a rintuzzare tempestivamente – ci si trovi al governo o all’opposizione – le manovre, i tentativi e gli attacchi alle libertà, ai diritti democratici e alla legalità costituzionale. Consapevoli di questa necessità imprescindibile, noi abbiamo messo sempre in guardia le masse lavoratrici e popolari, e continueremo a farlo, contro ogni forma di illusione o di ingenuità, contro ogni sottovalutazione di propositi aggressivi delle forze di destra. In pari tempo, noi mettiamo in guardia da ogni illusione gli avversari della democrazia. Come ha ribadito il compagno Longo al XIII Congresso, chiunque coltivasse propositi di avventura sappia che il nostro partito saprebbe combattere e vincere su qualunque terreno, chiamando all’unità e alla lotta tutte le forze popolari e democratiche, come abbiamo saputo fare nei momenti più ardui e difficili».
Avremmo, forse, dovuto capire prima che uno come Giorgio Napolitano proveniente dai GUF (Gruppi Universitari Fascisti) che scriveva su uno dei loro giornali di Padova “Bo” cose terribili, in merito all’Operazione Barbarossa dei nazisti contro l’URSS, fosse troppo ideologizzato per cambiare veramente posizioni come ha fatto credere in tutti questi anni: “L’Operazione Barbarossa civilizza i popoli slavi: dato che il nostro sicuro Alleato [è] lanciato alla conquista della Russia, vi è necessità assoluta di un corpo di spedizione italiano per affiancare il titanico sforzo bellico tedesco” [5].
Si comprende meglio, forse, il suo disinvolto aplomb che denota un freddo, pragmatico calcolo per arrivare allo scopo… Come direbbe, d’altronde, l’ideatore di 007 Ian Flaming, “solo le spie più pericolose sanno tenere”.
Risponde, una volta per tutte, alle nostre domande Kissinger che, nel 2001 a Cernobbio apostrofò Napolitano dicendo: “My favourite communist” e lui replicò “Il mio ex comunista preferito!”
Note:
[1] http://iskra.myblog.it/archive/2010/08/06/biografia-di-toni-negri-prima-parte-toni-negri-potere-operai.html [2] ibidem [3] http://iskra.myblog.it/archive/2010/07/16/la-massoneria-il-vero-e-unico-partito-chiesa-della-borghesia.html [4] Rinascita 12 ottobre 1973 [5] Ferruccio Pinotti e Stefano Santachiara I panni sporchi della sinistra – I segreti di Napolitano e gli affari del PD Ed. Chiarelettere pag.41Nella foto: Giorgio Napolitano (a sinistra) e l’anticomunista Usa Henry Kissinger