di MOWA
TURIDDU
Viva il vino spumeggiante
nel bicchiere scintillante,
come il riso dell’amante
mite infonde il giubilo!
Viva il vino ch’è sincero
che ci allieta ogni pensiero,
e che annega l’umor nero,
nell’ebbrezza tenera.
CORO
Viva il vino spumeggiante
nel bicchiere scintillante,
come il riso dell’amante
mite infonde il giubilo!
Viva il vino ch’è sincero
che ci allieta ogni pensiero,
e che annega l’umor nero,
nell’ebbrezza tenera.
TURIDDU
(a Lola)
Ai vostri amori!
LOLA
(a Turiddu)
Alla fortuna vostra!
(beve)
TURIDDU
Beviam!
CORO
Beviam! Rinnovisi la giostra
(entra Alfio)
ALFIO
A voi tutti salute!
CORO
Compar Alfio, salute.
TURIDDU
Benvenuto! con noi dovete bere:
(empie un bicchiere)
ecco, pieno è il bicchiere.
ALFIO
(respingendolo)
Grazie, ma il vostro vino io non l’accetto.
Diverrebbe veleno entro il mio petto.
TURIDDU
(getta il vino)
A piacer vostro!
LOLA
Ahimè! che mai sarà?
ALCUNE DONNE
(a Lola)
TURIDDU
Avete altro a dirmi?
ALFIO
Io? Nulla!
TURIDDU
Allora sono agli ordini vostri.
ALFIO
Or ora?
TURIDDU
Or ora!
ALFIO
Compare Turiddu, avete morso a buono…
(con intenzione)
C’intenderemo bene, a quel che pare!
TURIDDU
Compar Alfio! lo so che il torto è mio:
e ve lo giuro nel nome di dio
che al par d’un cane mi farei sgozzar,
ma… s’io non vivo, resta abbandonata…
povera Santa!… lei che mi s’è data…
(con impeto)
Vi saprò in core il ferro mio piantar!
ALFIO
Compare, fate come più vi piace;
io v’aspetto qui fuori dietro l’orto.
(esce)
entra Lucia)
TURIDDU
Mamma, quel vino è generoso, e certo
oggi troppi bicchieri ne ho tracannato…
vado fuori all’aperto.
Ma prima voglio che mi benedite
come quel giorno che partii soldato…
E poi… mamma… sentite…
s’io… non tornassi… voi dovrete fare
da madre a Santa, ch’io le avea giurato
di condurla all’altare.
LUCIA
Perché parli così, figliuol mio?
TURIDDU
Oh! nulla! È il vino che mi ha suggerito!
Per me pregate iddio!
Un bacio, mamma… un altro bacio… addio!
(l’abbraccia ed esce precipitosamente)
LUCIA
(disperata, correndo in fondo)
Turiddu?! Che vuoi dire?
(entra Santuzza)
LUCIA
Santuzza!…
SANTUZZA
(getta la braccia al collo di Lucia)
Oh! madre mia!
(si sente un mormorio lontano)
DONNE
(gridando da molto lontano)
Hanno ammazzato compare Turiddu!
Sì, il brano della Cavalleria rusticana del livornese Pietro Mascagni ben si adatta a descrivere come i conflitti, dovuti a questioni di cuore o d’affari, possano portare, se non corretti, a tragiche conclusioni.
È di questi giorni, infatti, la notizia delle indagini sulla CPL Concordia, vi si scorge il malaffare e, anche qui, come nell’opera della Cavalleria rusticana (che descrive una realtà meridionale), l’attore è il vino, o meglio, ne è parte in causa. Allegoria, il vino, di un conflitto, sia nella partitura scenica che nella vita reale, però, in quest’ultimo caso, nelle cooperative in questione, non verrà rifiutato ma diventerà, per qualcuno, elemento di un vantaggioso baratto.
Noi, come molti altri, abbiamo sempre sostenuto che già “…prima del 1993 il PCI lanciò la questione morale come valore fondamentale perché la corruzione aveva incrinato tutti i partiti dell’arco costituzionale e aveva messo all’indice (anche nello stesso PCI), quei soggetti politici che pensavano di fare soldi “in barba” alle persone che nelle piazze urlavano nuovi bisogni e diritti nel mondo del lavoro.
È a questo punto che si devono fermare i ricordi e ci si deve chiedere perché, nonostante, vi fossero politici del più grande partito d’Europa, il PCI (Enrico Berlinguer in testa), ad esigere una serrata discussione sul principio irrinunciabile della questione morale, altri, al suo interno […], fecero scelte così avventate e impudenti da pregiudicare la serietà di tutti quelli che vi appartenevano.”
Dobbiamo chiedere conto a questi avventurieri senza idealità e bandiera che riconoscono, solo, il suono del tintinnio delle monete, costoro, infatti, devono pagare per i loro misfatti.
Un conto salato per quanto arrecato a una popolazione che chiedeva (e chiede) di uscire dal tunnel della crisi provocata da un sistema sbagliato su tutti i fronti (partendo dalla concorrenza tra i lavoratori al posto della sinergia) e che avrebbe avuto bisogno di un consolidamento delle teorie comuniste, invece, costoro hanno contribuito a smantellare l’unico soggetto politico capace di risistemare il disastro: il PCI. Anzi, dopo averlo smantellato, hanno contribuito, anche, a dissolvere la parte sociale della Costituzione e, alcuni di loro, ci hanno portato, addirittura, a fare guerre oltre i confini del nostro paese.
Che dire, quindi, di quest’intervento della magistratura?
Ben venga e ben gli sta!
L’ironia della sorte vuole che non siano stati gli oppressi (che hanno pagato lo scotto di quei loschi traffici) a chiedere di metterli sulla picca ma gli stessi (la borghesia) che, prima, li hanno plasmati a loro immagine e somiglianza e, ora che non servono più, si divertono di metterli alla gogna.
Una soluzione (l’unica) per evitare il declino sarebbe quella di ricostruire (ed in fretta) quel soggetto che si diceva prima ma, questa volta, epurato da squallidi figuri. Un partito con una struttura organizzativa solida, che ripristini un sistema di democrazia interna capace di sopportare le devianze che la borghesia mette regolarmente in campo pur di inquinare… L’unico, al momento che si conosca, che abbia saputo reggere a tutto questo è stato il centralismo democratico.
Non ci sono, purtroppo, scorciatoie per evitare di diventare, quello che lo scrittore umoristico O. Henry (William Sidney Porter) chiamava “Repubblica delle Banane” il governo-fantoccio dell’Honduras, perché autoritario, ignorante, corrotto, incapace ed asservito ad interessi stranieri (solitamente gli USA). Governo quello dell’Honduras che era di continuità fascista e aveva prodotto una “non-cultura” piccolo-borghese, clericale, opportunista e parassitaria… e visto chi ci rappresenta, oggi in Italia, siamo già sulla “buona” strada.