Foto: Genova 1910 partenza per l’America del Nord di una nave carica di emigranti italiani
di MOWA
A scanso di equivoci diciamo, da subito, che sono imperdonabili le posizioni sostenute da diverse parti riguardanti quelle persone che o per la fame o per la guerra cercano rifugio in altri paesi nella speranza di trovare serenità ed un futuro più sereno per sé e per i propri cari.
In quel crogiolo di retorica e di demagogia si insidia la peggior perfidia di chi sulla pelle di queste persone trova modo di farsi strada in politica o peggio ancora guadagnando denaro.
Si vuol sostenere questo perché tutti parlano retoricamente di persone che fuggono dalla guerra e dalla fame ma nessuno parla dei veri motivi che hanno scatenato l’una e prodotto l’altra (o entrambe), motivi che hanno un nome ed un cognome: multinazionali, holding, corporate, profitto, capitalismo… insomma, imperialismo.
Imperialismo che sta assumendo connotati sempre più corrispondenti a quello che diceva Lenin il secolo scorso nel saggio “L’imperialismo – Capitale finanziario e oligarchia finanziaria”:
“Una parte sempre crescente del capitale dell’industria non appartiene agli industriali, che lo utilizzano. Essi riescono a disporne solo attraverso le banche, le quali, nei loro riguardi, rappresentano i proprietari del denaro. Gli istituti bancari devono d’altronde fissare nell’industria una parte sempre crescente dei loro capitali, trasformandosi quindi vieppiù in capitalisti industriali. Chiamo capitale finanziario quel capitale bancario, e cioè quel capitale sotto forma di denaro che viene, in tal modo, effettivamente trasformato in capitale industriale…”
Molti non potrebbero capire il passaggio con quanto anticipato all’inizio ma se lo approfondiamo con quello che il sistema capitalistico ha spacciato come unica via di sviluppo potremmo comprenderne meglio il senso e, per fare ciò, citiamo di nuovo Lenin:
“Il “sistema della partecipazione” non soltanto serve ad accrescere enormemente la potenza dei monopolisti, bensì permette anche di manipolare ogni sorta di loschi e luridi affari e di frodare il pubblico, giacché formalmente, davanti alla legge, le “società madri” non sono responsabili per le “società figlie”, considerate “indipendenti”, e per mezzo di esse possono far ciò che vogliono. Togliamo il seguente esempio dal fascicolo del maggio 1914 della rivista Die Bank.
“La Società anonima per l’industria dell’acciaio per molle di Kassel, fino a poco tempo fa era ritenuta una delle imprese più redditizie della Germania. La sua cattiva amministrazione condusse le cose a tal punto che i dividendi caddero dal 15% a zero. L’amministrazione, senza che gli azionisti ne sapessero nulla, aveva fatto un prestito di sei milioni ad una sua ” società figlia”, la Hassia, Il cui capitale nominale non ammontava che a poche centinaia di migliaia di marchi. Di questo prestito, che costituiva quasi il triplo del capitale azionario della “società madre”, non v’era traccia nel bilancio di quest’ultima; e contro tale occultamento non si poteva sollevare la minima eccezione giuridica, sicché esso poté essere continuato per due anni, non violando nessuna disposizione del codice di commercio. Il presidente del Consiglio di amministrazione, che firmò sotto la sua responsabilità i bilanci falsi, era ed è presidente della Camera di commercio di Kassel. Gli azionisti furono messi a conoscenza del prestito fatto alla Hassia soltanto quando esso già da lungo tempo era risultato un “errore” [l’autore avrebbe dovuto mettere questa parola tra virgolette] e quando le azioni della Società dell’acciaio per molle, in seguito alla vendita fattane da coloro che erano a conoscenza della cosa, ebbero perduto, nelle quotazioni, circa il cento per cento.
“Questo esempio caratteristico di equilibrio nei bilanci, che è consueto nelle società per azioni, lascia intendere perché mai le amministrazioni delle società per azioni, in generale, si incaricano di affari rischiosi, a cuor leggero, assai più dei privati imprenditori. La moderna tecnica della estensione dei bilanci non solo rende loro agevole di occultare ai comuni azionisti gli affari rischiosi intrapresi, ma permette inoltre ai principali interessati di sottrarsi alle conseguenze di un esperimento fallito col vendere a tempo le loro azioni, mentre il privato imprenditore sopporta sulla propria pelle le conseguenze di quel che fa …
“… I bilanci di molte società per azioni rassomigliano a quei noti palinsesti medioevali, nei quali si deve prima cancellare la scrittura visibile per poter decifrare i segni che stanno sotto di essa e che formano il vero contenuto del manoscritto …
“… Il mezzo più semplice, e quindi più spesso adoperato, per rendere impenetrabile un bilancio consiste nello scindere un’azienda unitaria in più parti sotto forma di costituzione o aggregazione di “società figlie”. Sono così evidenti i vantaggi offerti da tal sistema per i più svariati scopi -legali e illegali- che ormai si possono considerare come eccezioni le società, alquanto cospicue, che non lo abbiano accolto”. Come esempio di una grandissima società monopolistica che adopera tale sistema, l’autore cita la famosa A.E.G. (Allgemeine Elektrizitäts-Gesellschaft, Società Generale per l’Elettricità), di cui si parlerà ancora in seguito. Nel 1912 si ammetteva che questa A.E.G. partecipasse a 175-200 società, naturalmente dominandole, e abbracciasse un capitale complessivo di un miliardo e mezzo di marchi…”
Rimarcava Lenin, nel suo saggio, il parassitismo e la putrefazione del capitalismo con lucida (e straordinaria contemporaneità) analisi del fenomeno imperialistico:
“…la base economica più profonda dell’imperialismo è il monopolio, originato dal capitalismo e trovantesi, nell’ambiente generale del capitalismo, della produzione mercantile, della concorrenza, in perpetuo e insolubile antagonismo con l’ambiente medesimo. Nondimeno questo monopolio, come ogni altro, genera la tendenza alla stasi e alla putrefazione. Nella misura in cui s’introducono, sia pur transitoriamente, i prezzi di monopolio, vengono paralizzati, fino ad un certo punto, i moventi del progresso tecnico e quindi di ogni altro progresso, di ogni altro movimento in avanti, e sorge immediatamente la possibilità economica di fermare artificiosamente il progresso tecnico. Un esempio. In America un certo Owens inventò una macchina che avrebbe rivoluzionato l’industria delle bottiglie. Ma il cartello tedesco dei fabbricanti di bottiglie compra il brevetto di Owens e lo mette in un cassetto, impedendone così l’applicazione. Certamente, in regime capitalistico nessun monopolio potrà completamente e per lungo tempo escludere la concorrenza del mercato mondiale (questo costituisce tra l’altro una delle ragioni della stupidità della teoria dell’ultra-imperialismo). Certo la possibilità di abbassare, mediante nuovi miglioramenti tecnici, i costi di produzione ed elevare i profitti, milita a favore delle innovazioni. Ma la tendenza alla stagnazione e alla putrefazione, che è propria del monopolio, continua dal canto suo ad agire, e in singoli rami industriali e in singoli paesi s’impone per determinati periodi di tempo.
Il possesso monopolistico di colonie, particolarmente ricche, vaste ed opportunamente situate, agisce nello stesso senso.
Ed ancora. L’imperialismo è l’immensa accumulazione in pochi paesi di capitale liquido, che, come vedemmo, raggiunge da 100 a 150 miliardi di franchi di titoli. Da ciò segue, inevitabilmente, l’aumentare della classe o meglio del ceto dei rentiers, cioè di persone che vivono del “taglio di cedole”, non partecipano ad alcuna impresa ed hanno per professione l’ozio. L’esportazione di capitale, uno degli essenziali fondamenti economici dell’imperialismo, intensifica questo completo distacco del ceto dei rentiers dalla produzione e dà un’impronta di parassitismo a tutto il paese, che vive dello sfruttamento del lavoro di pochi paesi e colonie d’oltre oceano. ”
Infatti, Lenin, evidenziava che:
“Lo stesso dice Engels anche nella prefazione alla seconda edizione (1892) della Situazione della classe operaia in Inghilterra.
Qui sono svelati chiaramente cause ed effetti. Cause: 1) sfruttamento del mondo intero per opera di un determinato paese; 2) sua posizione di monopolio sul mercato mondiale; 3) suo monopolio coloniale. Effetti: 1) imborghesimento di una parte del proletariato inglese; 2) una parte del proletariato si fa guidare da capi che sono comprati o almeno ,pagati dalla borghesia. L’imperialismo dell’inizio del XX secolo ha ultimato la spartizione del mondo tra un piccolo pugno di Stati, ciascuno dei quali sfrutta attualmente (nel senso di spremerne soprapprofitti) una parte del ” mondo” quasi altrettanto vasta che quella dell’Inghilterra nel 1858; ciascuno di essi ha sul mercato mondiale una posizione di monopolio grazie ai trust, ai cartelli, al capitale finanziario e ai rapporti da creditore a debitore; ciascuno possiede, fino ad un certo punto, un monopolio coloniale (vedemmo che dei 75 milioni di chilometri quadrati di tutte le colonie del mondo, ben 65 milioni, cioè l’86 % sono nelle mani delle sei grandi potenze; 61 milioni, cioè l’81 % appartengono a tre sole potenze).
La situazione odierna è contraddistinta dall’esistenza di condizioni economiche e politiche tali da accentuare necessariamente l’inconciliabilità dell’opportunismo con gli interessi generali ed essenziali del movimento operaio. L’imperialismo, che era virtualmente nel capitalismo, s’è sviluppato in sistema dominante i monopoli capitalistici hanno preso il primo posto nell’economia e nella politica; la spartizione del mondo è ultimata, e d’altro lato in luogo dell’indiviso monopolio dell’Inghilterra osserviamo la lotta di un piccolo numero di potenze imperialistiche per la partecipazione al monopolio, lotta che caratterizza tutto l’inizio del XX secolo. In nessun paese l’opportunismo può più restare completamente vittorioso nel movimento operaio per una lunga serie di decenni, come fu il caso per l’Inghilterra nella seconda metà del secolo XIX; ma invece in una serie di paesi l’opportunismo è diventato maturo, stramaturo e fradicio, perché esso, sotto l’aspetto di socialsciovinismo, si è fuso interamente con la politica borghese…”
In quest’altro passaggio di Lenin troverete la risposta a quello che nessun politicante odierno (Renzi, Salvini, Letta, Monti, Merkel, Hollande, Cameron, Rutte, Michel, Passos Coelho, Rajoy, Obama, Luttwak, McCain, ecc.) vuole realmente risolvere sia sul versante della fame che delle guerre:
“Una delle particolarità dell’imperialismo, collegata all’accennata cerchia di fenomeni, è la diminuzione dell’emigrazione dai paesi imperialisti e l’aumento dell’immigrazione in essi di individui provenienti da paesi più arretrati, con salari inferiori. Secondo Hobson l’emigrazione inglese è scesa da 242 mila persone nel 1884 a sole 169 mila nel 1900. L’emigrazione della Germania raggiunse il punto culminante nel decennio 1881-1890, con 1.453.000, e nei due decenni successivi scese a 544 e 341 mila. Invece crebbe il numero dei lavoratori accorsi in Germania dall’Austria, dall’Italia, dalla Russia, ecc. Secondo il censimento del 1907 vivevano allora in Germania 1.342.294 stranieri, di cui 440.800 lavoratori industriali e 257.329 lavoratori della terra In Francia i lavoratori delle miniere sono “in gran parte” stranieri: polacchi, italiani, spagnuoli. Negli Stati Uniti gli immigrati dall’Europa orientale e meridionale coprono i posti peggio pagati, mentre i lavoratori americani danno la maggior percentuale di candidati ai posti di sorveglianza e ai posti meglio pagati. L’imperialismo tende a costituire tra i lavoratori categorie privilegiate e a staccarle dalla grande massa dei proletari…”
E, dopo tutto ciò, non sono esclusi, ulteriori, sciacallaggi su queste persone che vorrebbero trovare solo serenità dove qualche Stato alza la posta del disagio (inesistente per le quantità numeriche) per avere altri soldi (come avvenne per “Roma criminale”)… e magari, anche, qualche chance politica in più con chi si è coperto gli occhi con “fette di salame” e non vuol vedere, invece, cosa generi il disastro.
Gramsci sosteneva correttamente che:
“solo la classe lavoratrice può salvare la società umana dall’abisso di barbarie e di sfacelo economico verso il quale la spingono le forze esasperate e impazzite della classe proprietaria, e può farlo organizzandosi in classe dominante per imporre la propria dittatura nel campo politico-industriale”
Cosa stiamo aspettando ancora?