di MOWA
“…i tre slogan sulla facciata del Ministero della Verità:
LA GUERRA È PACE
LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ
L’IGNORANZA È FORZA”“…Gran parte delle convinzioni e dei comportamenti che gli vengono richiesti non sono esplicitati con chiarezza: ove ciò avvenisse, ne risulterebbero smascherate le contraddizioni intrinseche al Socing. Se è un ortodosso nato (in neolingua: un buonpensante), saprà in ogni circostanza, senza neanche stare a riflettere, qual è l’opinione giusta o il tipo di emozione richiesta. In ogni caso, un a sofisticata pratica mentale, avviata già nell’infanzia e che si può immaginare concentrata attorno alle parole in neolingua stopreato, nerobianco e bipensiero, lo rendono refrattario e inetto ad approfondire troppo un qualsiasi argomento.”
“1984”, George Orwell alias di Eric Arthur Blair, 1949
In una recente intervista ad uno dei responsabili di Wikipedia è risultato che se si dovessero pubblicare su supporto cartaceo le informazioni di questa “enciclopedia” ci vorrebbero 15mila volumi.
Impressionante, ma… ci si è mai chiesti chi siano i “filtri” di questa mastodontica realtà?
Domanda non casuale perché, alcuni mesi fa, abbiamo provato a pubblicare, due, tre righe (qui la parte, in esteso, dei concetti) per modificate alcune “leggerezze storiche” riportate sulla pagina della storia del Partito Comunista Italiano (PCI) mettendo, anche, i dovuti riferimenti ad una pubblicazione libraria che fatica ancora oggi, nonostante, l’abbondante documentazione, ad essere fonte d’interesse per i media nazionali ed internazionali. Fortunatamente esistono altri modi per portare a conoscenza delle persone le pubblicazioni letterarie anche attraverso incontri, magari con gli autori stessi, presso associazioni, librerie, sedi di partito… e, vista la serietà dello scritto in questione, il c.d. door to door la richiesta da parte dei lettori ha ripagato gli autori delle fatiche per le ricerche fatte e del libro sono state fatte diverse ristampe.
Libro scritto da chi appartenne a quel partito per decenni, sino alla sua fine, che svela/ricostruisce, quindi, di prima mano, i retroscena di un’organizzazione tutt’altro che statica ma, dando, in particolar modo, indicazioni e documentazione (foto, inserti di giornale, atti della Polizia di Stato…) su strani episodi occorsi ad alcuni segretari e di quanto, questi, fossero osteggiati dall’interno da chi era, sicuramente, eterodiretto da avversari politici sino a volerne, anche, la distruzione.
Tutto ciò, però, al momento, passa in secondo piano rispetto alla gravità, da parte dei “filtri” di Wikipedia, dell’aver aver cassato, inspiegabilmente (dopo un po’ di tempo), la notizia sulla pagina informatica, nonostante (ripetiamo!), le citazioni bibliografiche e giornalistiche.
Ecco, allora, le prime osservazioni.
Chi, dell’establishment informatico, stabilisce se una notizia corrisponde al vero se non ci sono riscontri?
E quando ci sono i riscontri, perché eliminarli dalle pagine di internet?
Qual è la regola per stabilire che una notizia corrisponda a veridicità visto che non si conoscono i criteri per la pubblicazione e, spesso, gli autori stessi dei testi?
L’impressione che ne deriva è che, in un mondo globalizzato, vi sia, da parte di una ristretta oligarchia, la necessità di tenere tutto, rigorosamente, sotto controllo e, dunque, di far passare, solo, quello che i gestori ritengono più asservibile e conveniente a chi detiene il potere, un po’ come la “neolingua” del Ministero della Verità (Miniver, in neolingua), del romanzo di George Orwell, dove lo scopo era quello di costruire un meccanismo capace di creare classi sociali prive di memoria storica, incapaci di progettualità alternativa a quella fornita dal sistema.
Ecco, allora, palesarsi il rischio di ciò che viene affermato da un prestigioso studio fatto dal Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America) su quanto alcuni motori di ricerca possano aiutare pagine di internet a scapito di altre e che ciò possa influire, persino, sui comportamenti elettorali. Algoritmi al servizio del potere. Input e output che, attraverso una relativa approssimazione, pre-assegnano (induzione?) agli internauti determinate conclusioni. A questo punto, i grillini, internet-dipendenti, dovrebbero meditare su questo dato e rivedere alcune loro convinzioni.
Infatti, si è dimostrato che nelle pagine Web associate a risultati di ricerca di alto-ordinati, su un’analisi di ~300 milioni di click sul motore di una sola ricerca, il 91,5% di questi scatti fossero fatti sulla prima pagina dei risultati di ricerca, con un 32,5% di proseguimento di lettura della pagina stessa, a fronte di un 17,6% di coloro che aveva cliccato la seconda pagina proposta. Lo studio ha anche riferito che l’elemento di fondo sulla prima pagina dei risultati ha attirato 140% di click in più rispetto al primo elemento nella seconda pagina.
Quindi, il “50 per cento dei nostri scatti [click ndr] vanno in cima ai due elementi, e oltre il 90 per cento dei nostri scatti vanno ai 10 elementi elencati nella prima pagina dei risultati; poche persone guardano altre pagine dei risultati, anche se spesso si contano a migliaia, il che significa che probabilmente contengono un sacco di buone informazioni. Google decide quale dei miliardi di pagine web che sta per includere nei risultati di ricerca, e decide anche il modo di classificarli. Come decide queste cose è un profondo, oscuro segreto – uno dei segreti meglio custoditi del mondo, come la formula della Coca-Cola”, asserisce lo psicologo, ricercatore presso l’American Institute for Behavioral Research and Technology in California (autore di 15 volumi, oltre ad essere l’ex redattore capo di Psychology Today) Robert Epstein, nell’anteprima del suo libro: “Il nuovo controllo mentale”.
Vale, a questo punto, attenerci a una regola di buon senso: diffidare di chi non si conosce e non fornisce l’origine della fonte dello scritto e ritornare a dar campo alla documentazione attendibile sia storica che scientifica. Storici, scienziati e molti altri ci saranno, giustamente, riconoscenti. Sapremo almeno fare scernimento tra uno studioso e l’altro.
Un libro, un’enciclopedia, un dizionario hanno autori, collaboratori facilmente riconoscibili ma questo tipo di “enciclopedia” online, invece, come lo potremmo definire?
Quest’occultamento dei dati fatto passare come finta trasparenza è sinonimo di una subdola dittatura mascherata da innovazione ed, in verità, ricalca il desiderio (di secoli) da parte del potere di dominare il mondo e i suoi abitanti. Ricordate la “neolingua” del Ministero della Verità di Orwell? Per qualcuno, corrisponde al vero, che “in guerra (e quella culturale è una di queste) la prima a morire è (sia) la verità”, noi sosteniamo che, invece, ci sia vita per tutti, basta essere onesti (anche, intellettualmente).
L’umanità ha già un sacco di problemi per conto proprio per aggiungerne altri come la privazione del riconoscimento di chi siano i “filtratori”, gli autori o i consulenti di “enciclopedie online, collaborative e gratuite” e, secondo noi, Rodotà sbaglia quando sostiene che l’eccessiva trasparenza sia sinonimo di dittatura perché sono, invece, i misteri e gli occultamenti a nascondere la progettualità di come si vuole un mondo, invece, di un altro e non il contrario. Tutto questo è ben inserito nell’impianto della nostra Costituzione sociale e meno liberale di quanto la pensasse Rodotà quando agevolò i potenti con la legge sulla privacy ostacolando le classi proletarie ad avere un minimo di accesso informativo sulle disuguaglianze.
Usiamo noi questa volta uno slogan pubblicitario:
“Diffidate gente. Diffidate! Perché la fiducia è una cosa seria.”