di MOWA
L’infiltrazione è una tattica militare che consiste nell’introduzione di unità all’interno di un territorio controllato dal nemico allo scopo di effettuarvi operazioni militari. L’infiltrazione rappresenta quindi “un mezzo” per creare il presupposto di poter eseguire “lo scopo” (la missione). Esistono svariate metodologie di infiltrazione così come sono varie le tipologie di missione che si possono compiere dietro le linee nemiche all’interno delle zone occupate dall’avversario.
In generale, l’infiltrazione tende ad essere eseguita facendo in modo di non essere scoperti e sfrutta diverse modalità di ingresso nell’area nemica… (da Wikipedia)
In un mondo pervaso da disparità sociali, dove i pochi ricchi si sono impossessati dei mezzi più importanti di produzione e delle leve del potere, diventa inevitabile che, per conservare il proprio dominio, questi usino, anche, tutte le bassezze umane di cui dispongono in abbondanza.
Una di queste bassezze è la tecnica dell’infiltrazione.
L’infiltrazione permette di “mischiarsi” con gli avversari da “dominare” sia con l’intento di carpirne informazioni di prima mano, che con la possibilità di manovrare (o condurre), anche su altri fronti, le legittime richieste del soggetto preso in considerazione, con il permanente scopo di depotenziarne l’azione.
Però, per avere a disposizione risorse umane che si prestino a ciò bisogna che vi siano, o si creino, disponibilità adatte. Queste “disponibilità” si concentrano, prevalentemente, su filoni ben precisi come ricattabilità del soggetto da “attenzionare” (perché, con essa, si crea un mix indissolubile con il “ricattatore”), o pescaggio di ideologizzati già pronti provenienti da altre fazioni.
Casi strani emergono ogni qual volta si verificano episodi che hanno una sorta di “equivocità” politica.
Cosa non insolita del potere è dare risalto positivo ai soggetti che dovranno “infiltrarsi”.
Facciamo degli esempi (purtroppo di fatti accaduti) onde dare un’idea su come le cose non sempre si presentino come appaiono ma…
Negli anni ’90, in Lombardia, durante una delle vertenze più lunghe (18 mesi) della storia del mondo del lavoro e che riguardava un settore del Pubblico Impiego, si sono verificati casi di incendi di auto dell’Amministrazione comunale da parte di “ignoti”, e, addirittura, intimidazioni personali a sindacalisti da parte degli organi interni alla parte pubblica con denunce (insussistenti e archiviate d’ufficio) a carico di quelli più impegnati nella lotta; in particolare, risaltava, in quel periodo, la manomissione, avvenuta sotto casa, della vettura privata (tagliati tutti i fili dell’impianto elettrico) di un delegato sindacale che era sul fronte delle lotte. Però, dato che nessuno era a conoscenza dell’indirizzo di questo delegato (ad eccezione dell’ufficio del personale e, forse, qualche amico), in quanto trasferitosi da poco, sorsero dei dubbi. Poco dopo la manomissione dell’auto privata, vennero ritrovati volantini lungo tutta la via dell’abitazione che accusavano il sindacalista di intralcio, con le sue lotte, alla soluzione dei problemi della città.
Grande solidarietà ebbe il delegato sindacale con, nientemeno, colletta per cambiare auto.
Qualcuno fece fare due interrogazioni politiche (una in Regione e l’altra in Parlamento) per quanto accaduto.
Su quell’episodio, col tempo, però, sorsero alcune stranezze. Infatti, sembra, che i poliziotti trovarono l’auto sì danneggiata ma con le portiere chiuse a chiave. (?!)
Non si possono capire le cose se non si collegano alcune inquietanti amicizie del sindacalista con persone che avevano avuto un forte e torbido passato negli anni ’70.
Quello di un amico del sindacalista era un passato, che si “mischiava” da una parte con un padre che era nelle strutture militari atlantiche nella regione Toscana e dall’altra con millantate appartenenze giovanili alla sinistra extraparlamentare nella quale, quando riuscì ad entrare davvero, fu implicato “di striscio” nello strano archivio di un abbaino di proprietà (e probabile prestanome) del parente di un ufficiale dei servizi… così, come risultò alla Commissione parlamentare sulle stragi che indagò sui documenti ritrovati proprio in quell’abbaino che fu oggetto d’indagine del Giudice Salvini (ordinanza-sentenza Salvini) sul delitto di Sergio Ramelli. Tutto ciò come riportato dal Corriere della sera dell’ 1 luglio 2013, “l’archivio riservato e i documenti che testimoniavano contatti con le Brigate Rosse” o, da l’Unità, il 15 marzo 1987, “dettagliatissime informazioni su alcune migliata di «avversari», vero e proprio schedario messo insieme in una decina d’anni, frutto di metodici appostamenti, di controlli di tipo poliziesco…”.
Inutile dire che la predetta Commissione non riuscì ad avere la parte mancante dei documenti dell’archivio. Un archivio che, visti alcuni dei documenti ritrovati in cui si parlava in altro modo delle Brigate rosse e dei loro capi e del legame di questi con la Cia, probabilmente, partì in un modo e, poi, modificò la sua natura.
Quest’insolita amicizia, del suddetto sindacalista, riuscì ad iscriversi, anche, al PCI e ad optare per i miglioristi.
Perché, poi, iscriversi al PCI senza informare dei suoi trascorsi…
Strane amicizie, si diceva, che si sono sedute, anche in veste di sindacalista, ai tavoli delle trattative del Pubblico Impiego e che, durante una seduta di contrattazione, la controparte (nell’occasione era un ex generale dei carabinieri in pensione a presiederla e, quindi, si presume fonte ben informata), apostrofò, inspiegabilmente, con l’enigmatica frase “mi siedo di fronte al capo riconosciuto. Come direbbero i massoni in sonno”… (!?) e gli si sedette di fronte.
Cosa c’entrava la massoneria con la trattativa di una categoria del Pubblico Impiego?
Provate, ora, ad immaginare come si è conclusa la trattativa…
L’anomala amicizia, di quel sindacalista (che aveva subito danni all’auto), fece dichiarazioni di tutt’altro tono rispetto a quanto era stato deciso nelle riunioni sindacali, sollevando non poche problematiche di coesione tra i lavoratori… Anzi, si permise di apostrofare a muso duro chi provò a contrastarlo (nonostante si conoscessero politicamente da più di 20anni) dicendo “che gli erano sufficienti due centimetri per fermarlo” (!?). Solo più tardi si comprese il probabile, sinistro, segnale di minaccia.
Altro strano caso di “equivocità” politica.
Viva e brillante l’insolita carriera politica di un “leader” di un rinomato e riottoso centro sociale milanese che non ha fatto certo fatica a dimenticare quello che sosteneva tempo prima sui partiti che sedevano nelle istituzioni una volta diventato consigliere comunale, nonostante avesse, una denuncia penale (finita chissà dove?) per aver portato una piantina di mariuana ad una delle riunioni del Consiglio comunale. Una piantina che gli portò decisamente fortuna visto che la sua carriera lo ha condotto a diventare, poi, un deputato in formazioni politiche molto liberal e lontane, anni luce, dalla sua originaria militanza politica.
Si è, anche, però, scoperto che la Giunta Pisapia, prima, e, ora quella di Sala, stanno trattando con la proprietà dell’immobile del centro sociale per vararne l’acquisto a tutto favore del privato come denunciato pubblicamente da una consigliera uscente del PRC. Ironia vuole che questo “leader” sia passato precedentemente anche in quella formazione politica.
Questi sono solo alcuni degli esempi di come si “usano” le persone con finalità tutt’altro che indirizzanti verso le soluzioni dei disagi che si vivono quotidianamente e che dovrebbero condurre, come fulcro principale, verso l’unione del mondo del lavoro o una giustizia sociale a favore dei meno abbienti.
Tra i lavoratori succede spesso, troppo spesso, che ci siano soggetti che, apparentemente, si propongano come paladini dei deboli ma che in realtà siano lì, solo, per condurre verso altri obiettivi e, quando possibile, gestire sfavorevolmente le vertenze.
Quante volte ci si è trovati, sui luoghi di lavoro, soggetti che hanno portato a soluzioni paraluddiste o nichiliste?
Quante volte ci si è trovati a dover dar conto a soggetti che inducevano al culto della forza, tout court, esprimendo “il piacere della violenza per la violenza, il disprezzo per l’uomo e l’esaltazione delle minoranze dominanti”?
Tutti tratti del pensiero che ispirarono il fascismo italiano, perchè si considerò il potere di una minoranza di individui superdotati che imponeva la sua volontà alla grande “massa”.
Quante volte abbiamo sentito parole roboanti ma prive di analisi serie pronunciate da individui che desideravano combattere la decadenza della società contemporanea (includendo nel decadentismo la democrazia della nostra Costituzione) esprimendo teorie nietzschiane o evoliane e che sono state foriere di ispirazione del “terrorismo nero” italiano?
Quante volte, questi infidi soggetti si sono trincerati dietro infamanti insinuazioni su chi li aveva, giustamente, contrastati con l’intento di escludere chi aveva azzeccato gli argomenti per risolvere la vertenza?
Un paese, purtroppo, che ha prodotto, nel suo recente passato, un’infinità di “cattivi maestri” che riaffiorano, come escrementi, ogni qualvolta il conflitto di classe si fa più acuto.