di MOWA
È di queste ore la notizia che Gianfranco Fini è stato indagato per il reato di riciclaggio “di oltre 7 milioni di euro. A tanto ammontano, secondo la guardia di finanza, i profitti illeciti accumulati da Sergio e Giancarlo Tulliani, suocero e cognato di Gianfranco Fini, insieme a Elisabetta Tulliani, moglie dell’ex presidente della Camera...”. Una carriera, quella di Gianfranco Fini, all’insegna del presentarsi al mondo come “l’uomo qualunque”, “senza pretese”, quello che capita, accidentalmente, nelle varie occasioni politiche, quindi per puro caso, e che (sempre per puro caso), poi, ottiene meriti, incarichi e riconoscenze. Una ripetizione pedagogica dell’attività politica che, probabilmente, si trascina, anche, nella sfera sentimentale. Infatti, la sua involontaria attività politica inizia nel 1968 (appena sedicenne) quando si giustificò per essere stato coinvolto incidentalmente in tafferugli contro chi manifestava fuori da un cinema dove veniva proiettato il film, a favore dell’intevento imperialista nel Vietnam, “Berretti verdi”. Lui, a chi glielo chiedeva rispondeva, sornione, di non avere precise opinioni politiche ma che gli piaceva molto John Wayne. Eludendo, con ciò, la circostanza di aver avuto scontri fisici con altre persone di segno politico opposto. La famiglia di Fini ha origini “ingombranti”, che vengono da lontano. Non sono, infatti, una novità le responsabilità politiche del padre di Gianfranco Fini, Argenio (detto Sergio) come volontario della Repubblica Sociale Italiana nella Divisione San Marco e della madre Erminia Marani, figlia di Antonio uno degli artefici, dopo la guerra, della costruzione del MSI, il partito che divenne, per Gianfranco Fini, il trampolino di lancio per tutta la carriera politica passando, prima e per desiderio di Giorgio Almirante, come segretario nazionale del Fronte della Gioventù. Tanto era inseguito dalla casualità Gianfranco Fini che, persino, la laurea in pedagogia fu conseguita (cita Wikipedia) senza aver frequentato i corsi. Di fronte alla scelta, invece, di avere un impiego come dirigente di partito per le convinzioni politiche (e con una probabile incertezza di continuità) preferì la tessera di giornalista per continuare a collaborare, sia come redattore, alla testata del Secolo d’Italia che come direttore di Dissenso, il quindicinale del movimento giovanile del MSI. Poi, per l’ex presidente della Camera, Gianfranco Fini, si aprirono ulteriori anni di casualità, tanto da diventare il delfino ufficiale del timoniere del MSI, Giorgio Almirante, che lo aveva designato pubblicamente come suo successore politico; un segretario di partito che, oltre ad essere stato un trucidatore di partigiani, si verrà a sapere, poi, fu un “cliente economico” del massone Licio Gelli e che a pag. 84, del libro “Mercanti di parole: storie e nomi del giornalismo asservito al potere” di Mario Guarino viene descritto così:
“…Il più importante editore, Berlusconi – che nel 1994 e in seguitò affermerà, riuscendo a farsi credere, di essere lui “il nuovo” in politica – fin dagli anni ’70 è dunque immmerso in trame politiche, bancarie e massoniche. Nel dicembre 1976 aveva finanziato – pare con il denaro di Gelli e per puntellare il governo Andreotti – la scissione del MSI. Il partito dei giornalisti Almirante e Fini (a quei tempi politicamente già in forte ascesa) si spacca e perde 17 deputati e 8 senatori. Quando il leader degli scissionisti – il giornalista-deputato Raffaele Delfino – incasserà il denaro del contributo pubblico ai partiti, e lo rimborserà a Berlusconi, da questi si sentirà dire: <<È il primo politico che me lo restituisce>> (il che, se vero, presuppone che altri siano stati precedentemente finanziati dal Cavaliere). La notizia verrà rivelata dal senatore Giovanni Pellegrino (Presidente della Commissione stragi), molti anni dopo, ossia nel maggio 1997 e in seguito confermata dallo stesso Delfino in un suo libro. Certo è – come si evince dalla Relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona (doc. XXIII n. 2, pag. 121) – la P2 avrebbe finanziato pure Giorgio Almirante. Il segretario dell’MSI, nella seconda metà degli anni ’70, avrebbe infatti percepito denaro dalla loggia gelliana. A rivelarlo è il deputato missino Giulio Caradonna, uno dei quattro deputati della Fiamma affiliati alla Loggia P2 (tessera n. 2192). Il Movimento sociale italiano è stato finanziato dalla P2. Almirante aveva chiesto una mano a Gelli, e lui gliel’ha data, facendogli avere dei soldi. Un anno prima che scoppiasse la caciara sulla P2 [maggio 1981, N.d.A.], Almirante mi ha chiesto di fissargli un appuntamento con Gelli, sosteneva che poteva essere molto utile al partito. Si sono incontrati nella stanza 126 dell’Hotel Excelsior, a Roma […], Gelli mi ha riferito che Almirante gli aveva chiesto dei soldi e che lui glieli aveva dati […].” [R. Santoro, L’Europeo 2 novembre 1994] Secondo Caradonna, si trattava di 1 miliardo di lire pervenuto al segretario missino attraverso un massone di Perugia. Il denaro – confermerà Gelli nel libro La verità – gli verrà restituito. Su Berlusconi c’è altro…”
Ma Gianfranco Fini, del sodalizio tra Almirante ed il massone Licio Gelli, non ne sapeva proprio nulla? E in tutti questi anni di attività istituzionale non ha mai fatto rivelazioni sull’ingerenza della massoneria con l’ex MSI? Gianfranco Fini non ha mai spiegato (men che meno quando era Presidente della Camera, nostante avesse giurato fedeltà alla Costituzione italiana), gli intrecci delle organizzazioni della destra politica (anche di dove aveva militato) con le trame golpiste dei vari Junio Valerio Borghese… che fecero tremare le Istituzioni democratiche con la strategia della tensione e dove perirono persone innocenti. Quindi, ci aspettiamo qualcosina di più in cambio del suo casuale inciampo nell’ultima vicenda giudiziaria.