di MOWA.
Assistere, come telespettatori, alla carrellata di ospiti politici (e non), che adottano la tecnica (una “moda”?), di evitare di rispondere adeguatamente alle domande dei conduttori è diventata, negli anni, una prassi.
Prassi e modus vivendi di malcostume culturale verso gli ascoltatori che devono subire trasmissioni televisive che sfiancano i nervi perché nelle dinamiche TV vi è una vergognosa ed irrispettosa sottovalutazione del giudizio critico di chi ascolta in quel momento al punto che il personaggio invitato estromette il vulnus del problema sottopostogli glissando, eludendo, sottacendo, sorvolando...
Ed è quanto accaduto, per l’ennesima volta, la mattina del 15 novembre 2018, all‘appuntamento quotidiano con il racconto della politica e le notizie di attualità nella mattina di Rai3, Agorà, condotto dalla valida ed energica conduttrice Serena Bortone dove alcuni interlocutori (Borghi della Lega prima e, poi, Fraccaro del M5S) si sono limitati a non rispondere adeguatamente alla domanda se fossero favorevoli o meno alla realizzazione dell’Alta velocità (c.d. TAV) rimandando la risposta a quanto scritto nel “contratto di governo” nel quale – diceva il leghista – si sostiene che andava ridiscusso, e quindi lasciando nel limbo tutti coloro che si trovano a dover affrontare il suddetto tema.
Con questo modo di fare, si trasmette a chi ascolta un senso di impotenza e in alcuni casi anche di rabbia perché invece di dare un parere su temi importanti che li ha visti anche come protagonisti in battaglie politiche lo si rinvia sine die o ad altra occasione (?).
Gli spettatori televisivi vorrebbero sapere, ad esempio, se i cinquestelle sono ancora fedeli a quanto detto in campagna elettorale agli abitanti delle valli coinvolte dall’opera dell’alta velocità o se hanno, nel frattempo, cambiato opinione e non vorrebbero che le risposte rimanessero su generici “vedremo” o così via.
Gli spettatori televisivi vorrebbero sapere, ancora, se la Lega ha/abbia fatto cambiare idea ai cinquestelle rispetto alle cartolarizzazioni degli immobili dello Stato ai privati e quali siano quelli da cedere visto che lo stesso (e sicuramente non amato dalla sinistra) Giulio Tremonti sostiene che non vi sia più nulla da cedere.
Si parla dunque di ulteriori immobili dello Stato rimasti dalle precedenti cartolarizzazioni (si badi bene) fatte dagli amministratori dei vecchi governi (Lega compresa) non tenuti con il dovuto riguardo che hanno e potrebbero dare un valore interessante se ripristinati con finalità sociali e pubbliche, ma “tanto poco interessanti” da avere speculatori privati in agguato per l’acquisto.
Un refrain di ciniche valutazioni degli odierni politici che nulla li discosta dai precedenti su opportunità, scelte e prospettive tanto da aver imparato (e migliorato – sic!) la tecnica di promettere a chiunque si faccia avanti ma subito dopo…
La dicono lunga le promesse non mantenute del ministro Di Maio che diceva di avere un occhio di riguardo per la tutela del lavoro, ipotizzando anche eventuali nazionalizzazioni delle produzioni a tutela del made in Italy, ma allora l’Industria Italiana Autobus ex Bredamenarini? oppure la Pernigotti i cui proprietari parlano di delocalizzazione in Turchia?… Per non parlare delle scarse risorse che portano al collasso i servizi sociali, o dei vari condoni dell’ultimo ddl che ha fatto, giustamente, reagire un marinaio come il comandante De Falco seguito da altri del M5S, che hanno inteso la trappola intellettuale a cui andavano incontro se non avessero fatto opposizione a quella indegna scelta. E per coerenza le persone perbene pagheranno le loro decisioni, perché il movimento le vedrà come infedeltà quando, invece, sono rispettose dei desideri di Giustizia delle persone che volevano sì un cambiamento ma in meglio e non viceversa…