di MOWA
Il Fascismo conviene agli italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi, rassicura la loro inferiorità. Il Fascismo è demagogico ma padronale, retorico, xenofobo, odiatore di culture, spregiatore della libertà e della giustizia, oppressore dei deboli, servo dei forti, sempre pronto a indicare negli ‘altri’ le cause della sua impotenza o sconfitta.
Il fascismo è lirico, gerontofobo, teppista se occorre, stupido sempre, ma alacre, plagiatore, manierista. Non ama la natura, perché identifica la natura nella vita di campagna, cioè nella vita dei servi; ma è cafone, cioè ha le spocchie del servo arricchito. Odia gli animali, non ha senso dell’arte, non ama la solitudine, né rispetta il vicino, il quale d’altronde non rispetta lui.
Non ama l’amore, ma il possesso. Non ha senso religioso, ma vede nella religione il baluardo per impedire agli altri l’ascesa al potere. Intimamente crede in Dio, ma come ente col quale ha stabilito un concordato, do ut des. È superstizioso, vuole essere libero di fare quel che gli pare, specialmente se a danno o a fastidio degli altri. Il fascista è disposto a tutto purché gli si conceda che lui è il padrone, il padre.
[Ennio Flaiano Don’t Forget, 1976 –Scritti postumi, Milano, Bompiani 1998]
Le mille e più forme del modo di concepire la vita della cultura fascista sono ben descritte nello scritto di Ennio Flaiano che, magistralmente, conclude con la sintesi di cosa sia concretamente:
“Il fascista è disposto a tutto purché gli si conceda che lui è il padrone, il padre”.
Questa palingenesi della cultura del fascista ci serve per cercare di spiegare come, quel mondo, sia fatto di soprusi e abusi, e sia capace di mutare e di adattarsi camaleonticamente a seconda del periodo storico e, nel contempo, creare difficoltà ai contemporanei che non sanno più dare una giusta valutazione e fisionomia di siffatto fenomeno.
La cultura pre e post-fascista, si è formata, anche con i futuristi, e poi, con gli avanguardisti (usati con le nuovissime generazioni da Mussolini) che sono stati una delle chiavi per imprimere quella svolta che mirava a conquistare il potere. E, non importava se per ottenere ciò, molte menzogne vennero raccontate, molte sovrastrutture ideologiche furono aggiunte a verità scomode di quella che fu, realmente, quella cultura: odio, crudeltà, privazioni, ruberie, connubio con i malviventi, megalomania, millanteria…
Un cesto pieno di cattivi propositi diventati per il popolo italiano – e non solo – un incubo ventennale e che, ancor oggi, si promuove con le stesse tecniche e le stesse dinamiche: bugie, ruberie, connubio con i malviventi, megalomania… a profusione.
Ma la cultura fascista non può reggersi solo su quanto detto sopra, aveva ed ha bisogno (per proporsi come nuovo o di nuovo – per quello che non è) di galoppini o di minimalisti del fenomeno come lo sono stati molti movimenti o partiti negli anni del periodo post bellico.
Emblematici sono stati gli interventi delle Istituzioni per chiudere le avvenute ricostituzioni del partito fascista – come negli anni ’70 – con: Avanguardia nazionale, Ordine nuovo… ma con infelici esiti nella pletora di quel substrato ideologico disseminato ovunque nella società tanto da avere, addirittura, influenzato – per non dire infiltrato – in quegli anni (?) soggetti come il Partito Radicale che venne messo in forte difficoltà quando, diversi attivisti, fecero uscire un libercolo dal titolo “La rosa rubata” [1] [2] che spiegava per filo e per segno gli artefici di ciò e a beneficio dei neofascisti di allora (nomi e cognomi inclusi).
Storia di un partito che da quel congresso bolognese, in poi, ha mutato radicalmente il suo raggio d’azione libertario tanto da diventare un crogiolo di equivocità che, ancor oggi, affiorano in tutta la loro (poco chiara agli elettori), strategia politica.
Ultimo episodio di poca trasparenza interna – contrariamente a quanto sbandierato ai quattro venti – è l’avere avuto in posizione dominante all’interno tal Antonello Nicosia. Scrivono le cronache di costui
Nel decreto di fermo a carico di Nicosia i magistrati sottolineano che l’ex trafficante di droga (condannato a 10 anni e 6 mesi nel 2006 in appello, pena scontata all’italiana visto che era già in giro dal 2009) aveva rapporti di natura anche politica con Michele Capano, già tesoriere dei Radicali Italiani e avvocato di boss di prima grandezza come Filippo Guttadauro. Nulla di illecito. Però gli episodi descritti dai pm di Palermo Francesca Dessì e Calogero Ferrara, e dall’aggiunto Paolo Guido, dovrebbero essere una buona occasione di riflessione politica. [3]
Di fronte a ciò, è legittimo chiedere ai radicali, come ha fatto il giornalista Marco Lillo del Fatto Quotidiano ad Emma Bonino, se
“Secondo lei, visti i rapporti con Nicosia, l’avvocato Capano dovrebbe lasciare i radicali?
«E perché? I Radicali non espellono nessuno».
Neanche se si provasse che uno dei vostri iscritti favorisce un mafioso?
«Ma come si permette!» (clic).”
Come può rifugiarsi la senatrice radicale dietro quel comportamento poco chiaro e, men che meno, libertario con un “clic”?
Un “clic” del telefono della senatrice che potrebbe dare adito a tutto (visto che, già in passato, quella formazione politica era stata coinvolta in altre vicende poco nobili e riportate in un documento degli investigatori sul problema specifico e dal titolo dall’oggetto eloquente: “Partito Radicale e droga”.
Una stranissima coincidenza con un’altra questione portata avanti nell’operazione Blue Moon:
“operazione sotto copertura fatta dai servizi segreti dei paesi del blocco occidentale all’inizio degli anni settanta, nell’ambito della Guerra Fredda, finalizzata a diffondere l’uso di droghe pesanti, in particolare l’eroina, tra i giovani attivisti dei movimenti giovanili di contestazione, in modo da renderli dipendenti e distoglierli dalla lotta politica.”
Domande lecite dei giornalisti al Partito Radicale. Un partito che ha fatto cultura nel nostro paese e che è stato tra i primi a sostenere la strana tesi di avere la doppia tessera e superare le barriere di ingresso in altri partiti, da quello – sostiene Rita Bernardini – non violento, transnazionale e transpartitico (Prntt) dove è allocata lei (Bernardini), Turco, D’Elia (l’ex terrorista di Prima linea), e scisso con quello dell’associazione Radicali italiani (Ri) di Magi, Bonino, Cappato. Una tesi transpartitica che, stranamente, coincide un pochino con quello di
“superare quelle che erano questioni ideologiche legate ai partiti, quindi legate alle vecchie opposizioni fascismo/antifascismo, comunismo/anticomunismo, per cercare di avere un respiro più ampio”
ma che sono scritte sulla rivista Orion del nazista, ex terrorista, Maurizio Murelli, il teorico della cultura e tecnica evoliana dell’infiltrazione.
Poi, bisogna ricordare la rilevanza delle informazioni fornite da Elio Ciolini, ambiguo personaggio legato al mondo dei servizi segreti, ad ambienti massonici e dell’eversione nera il quale rivelò l’esistenza del piano prima ancora dell’omicidio Lima, in cui
“aveva esordito con un «avete visto cosa è successo?» Dichiarava di aver appreso del piano in una riunione tenutasi a Sissak (Ex-Jugoslavia) alla quale avevano partecipato «alcuni esponenti della destra internazionale tra cui un americano e un austriaco. Il finanziamento di tale organizzazione sarebbe avvenuto con la vendita di grosse partite di stupefacenti e con la gestione di raffinerie di droga».” [2]
Uno strano cerchio che si chiude con quel vecchio documento fatto dai radicali contro i nuovi preoccupanti ingressi ne “La rosa rubata”.