di MOWA
L’illustrazione che accompagna l’articolo de “la Repubblica”, pubblicato a seguito, ha un significato fin troppo eloquente: non sto sbirciando, ma, controllando che tutto proceda secondo copione.
Perché?
Se quello in seconda fila con la barba bianca avesse davvero sbirciato avrebbe abbozzato un’espressione più sorpresa, sarebbe stato più sulle sue ed invece, la faccia e la postura tradiscono (e per costoro non è inusuale) la sfacciataggine del gesto: il mondo deve sapere, e la foto lo testimonia, che la Massoneria, nella persona di Gustavo Raffi, era lì!
In claris non fit iterpretatio. (Nelle cose chiare non si dà adito ad interpretazioni.) Sempre, ovviamente, secondo copione.
A questo punto dobbiamo porci, e porre a tutti coloro i quali, scioccamente, sottovalutano il fenomeno di questo potere forte della borghesia, la domanda su come mai fosse presente, in una ricorrenza europea così ufficiale, il Gran Maestro della Massoneria Gustavo Raffi, visto che, solitamente, costoro amano spacciarsi per filantropi, “spiritualisti” ed al di sopra delle parti.
Che avesse perso la strada per la Loggia? Oppure, come dicono i compagni greci del KKE, la dimensione del suo Tempio ha raggiunto dimensioni tali da aver fagocitato le istituzioni europee?
O ancora, citando Cicerone: “Summus ius, summa iniura.” (Massima applicazione del diritto, massima ingiustizia.)
E… le ultime leggi economiche imposte dall’Europa agli europei sono lì a testimoniarlo!
1 dicembre 2011
LA SANTA ALLEANZA
Nella foto pubblicata da la Repubblica si vede il gran maestro del Grande Oriente d’Italia Gustavo Raffi, con barba e occhiali, alle spalle del presidente del Parlamento europeo Buzek e del presidente della Commissione Barroso
Dal nostro inviato Federico Rampini
LA SANTA Allenza delle sei maggiori banche centrali è scesa in campo con un intervento eccezionale. L’offensiva ha tamponato il collasso del credito in Europa che era ormai imminente. I banchieri centrali di Usa, Eurozona, Inghilterra, Giappone, Svizzera e Canada si sono consultati nella notte fra lunedì e martedì.
WASHINGTON
UN’OPERAZIONE che ricorda tempi bui, le fasi più drammatiche della crisi del 2008. “Pompare dollari nelle banche europee”: questo il segno dell’operazione d’emergenza. Successo pieno, nell’immediato, anche perché i tesorieri del pianeta hanno sfruttato l’effetto sorpresa. I mercati non se l’aspettavano, l’attenzione e l’attesa erano rivolte ad altri aspetti della stessa crisi: il problema del finanziamento del debito pubblico nei Paesi a rischio come l’Italia, la ricerca di nuove soluzioni come gli eurobond, il rafforzamento del fondo salva-Stati Efsf, l’eventuale contributo del Fondo monetario internazionale. Invece c’era un’altra emergenza, ancora più urgente da affrontare, ed era quella che stava assillando i banchieri centrali, la Casa Bianca, Wall Street, le agenzie di rating: i sinistri scricchiolii di cedimento dell’intera struttura del credito in Europa. Un disastro annunciato, ma la cui rapidità si stava accelerando spasmodicamente, richiedeva un tampone immediato. L’origine è la stessa: la montagna di titoli pubblici dal valore sempre più ridotto, e forse dubbio, sono una mina vagante non solo peri governi, non solo per i risparmiatori, ma prima ancora per le banche europee che di quei titoli hanno strapieni i loro bilanci. Perciò da settimane i grandi istituti americani negano prestiti alle consorelle europee. Donde una vera e propria penuria di dollari, nel sistema del credito europeo. La diffidenza era giunta a livelli parossistici: da JP Morgan Chase a Bank of America, da Citigroup a Goldman Sachs, ciascuno dei colossi americani guardava la Deutsche Bank, Bnp Paribas o Banca Intesa come dei potenziali moribondi, possibili candidati a un crac. Il “rischio controparte” veniva percepito come eccessivo, intollerabile: quindi sportelli chiusi alle banche europee. A cascata, questo rendeva impossibile alle banche europee la normale attività di finanziamento delle imprese che hanno bisogno di dollari per i loro scambi mondiali. Di più: il dollaro in quanto moneta più globale e liquida, resta la linfa vitale per tutto il mercato monetario, quel sistema di finanziamenti a brevissima scadenza senza i quali le banche si trasformano davvero in “foreste pietrificate”. A Wall Street l’eurozona veniva ormai descritta come un lazzaretto di appestati. Barack L’EURIBOR A CONFRONTO CON L’OIS La differenza tra i due tassi, espressa in punti base, è salita a 98,2 per via delle forti tensioni sui mercati Obama aveva lasciato trasparire qualcosa lunedì annunciando al vertice con l’Unione europea: «L’America farà la sua parte». La vicepresidente della Federal Reserve, Janet Yellen, aveva parlato di «momento critico», annunciando la «necessità di una cooperazione internazionale». Il colpo decisivo per precipitare i tempi dell’operazione è venuto quando Standard & Poor’s martedì ha declassato tutte le maggiori banche americane: un segnale che nonostante il rifiuto di prestare all’eurozona, non avrebbero comunque retto al contagio di una catena di default nei grandi istituti europei.
A confermare l’eccezionalità del momento è giunta anche la spettacolare inversione di rotta nella politica monetaria della Cina, con la banca centrale di Pechino che ha smesso di preoccuparsi dell’inflazione ed ha riaperto i rubinetti del credito per la seconda economia del mondo, anch’essa in preda a un pericoloso rallentamento.
E’ il remake di un film che conosciamo: “Salvare le banche. Parte II”. Fu nel dicembre 2008, dopo che il crac Lehman aveva portato al collasso sistemico del credito per un’analoga diffidenza totale tra le banche, che scattò la prima operazione di questo genere. Salvare le banche, non salvare i banchieri, sembra affrettarsia precisare il comunicato congiunto: «Lo scopo è attenuare la tensione dei mercati finanziari e quindi mitigarne gli effetti sull’offerta di credito alle famiglie e alle imprese». I sei governatori vogliono chiarire che stanno pompando liquidità per il bene di tutti. Decisivo è il ruolo della Fed: l’unica che ha il sovrano potere di stampare dollari, e quindi può risolvere la penuria nell’eurozona. Ma anche l’Invincibile Armada delle sei banche centrali ha dei limiti. La Fed deve parare le accuse della destra americana, ostile a ogni intervento di aiuti all’Europa, contraria a politiche di moneta facile che possono generare inflazione. Anche l’utilizzo dei “swap”, i prestiti che la Fed fa alla Bce perché a sua volta offra dollari agli istituti di credito ordinari, hanno un costo: pochissimo in interessi, tanto in immagine. Se nelle prossime settimane le banche europee dovessero esagerare nell’attingere al rubinetto di salvataggio, i mercati troverebbero conferma della loro fragilità. Va ascoltato il governatore della banca centrale del Giappone, Masaaki Shirakawa, quando dice che l’offensiva scattata ieri serve a «comprare tempo, perché le nazioni europee lo usino per le loro riforme economiche e fiscali».