di MOWA
“Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società.”
(Pier Paolo Pasolini, 1962)
Il nostro paese non ha saputo cogliere l’occasione di diventare un importante soggetto politico internazionale capace di defascistizzarsi completamente, nonostante, la riscossa del popolo contro un regime totalitario (come quello mussoliniano) con la Resistenza ma, anzi, sta subendo i contraccolpi di questa “leggerezza” valutativa complessiva.
Dimostrazioni di tale analisi sono sotto gli occhi di tutti e si stanno concretizzando, giorno dopo giorno, nelle forme e nei metodi che contraddistinguono la cultura fascista: clientelismo, prepotenza, fandonie, vittimismo, soprusi, deresponsabilizzazione, antistato… Esempi tipici della più alta esposizione fatta e vissuta sulla pelle dei nostri genitori, nonni, zii, amici… nel ventennio del secolo scorso.
Come ci raccontano molti libri di storia con la “S” maiuscola nel secolo scorso il ventennio fu la fiera delle concessioni esclusive agli “amici” del regime che sono andate dalle ruberie dei gerarchi fascisti sino ad arrivare ai vari podestà dislocati nelle diverse località della penisola. I fascisti, infatti, si erano procurati sin dall’inizio risorse economiche (grazie al sostentamento economico di moltissimi industriali e la complicità di logge massoniche), tanto da pianificare la tecnica della carota e del bastone: carota perché sostenevano un bugiardo vittimismo addossando responsabilità oggettive ad altri e, dall’altra bastone, perchè colpivano soggetti politici (cooperative, partiti, movimenti o semplici democratici) con brutalità tale da arrivare anche agli omicidi (clamorosi, ma non unici, furono quelli di Giacomo Matteotti e dei fratelli Rosselli) che smascheravano la loro truffaldina manfrina.
Negli ultimi decenni, da che praticamente è stato distrutto il P.C.I. (dei tempi di Gramsci, Togliatti ad Enrico Berlinguer e Alessandro Natta), le remore dei partiti nel conservare un’etica e una morale della politica si sono, ormai, lasciate andare. Non si contano più i processi giudiziari terminati con condanne a parlamentari, consiglieri, assessori… sino a ingigantire il ruolo delle varie formazioni criminali nelle Istituzioni: come d’altronde c’erano nel ventennio mussoliniano.
La questione morale sollevata dal dirigente politico comunista Enrico Berlinguer era tanto criticata perché smascherava, in ogni dove, le brutte pratiche della cosa pubblica e avrebbe distrutto quel tessuto connettivo carsico tra malaffare e Stato, tra la corrutela di piccolo e grande cabotaggio nelle maglie della burocrazia che, spesso, andava a legiferare non per il buon andamento del Paese ma per ostacolare rendendo “indispensabile” e oliabile il ruolo e la “funzione” del legame tra burocrazia-funzionario-politico per far andare avanti le “cose”… Magari, con il ritorno di un voto nelle campagne elettorali. E, tutto ciò, aveva un prezzo che si manifesta(va) con l’ungimento di mazzette o committenze ad hoc nei lavori da eseguirsi; saltando, in questo modo procedure come economicità, competenze, professionalità, ecc. e, non ultimo, democraticità e trasparenza.
Non c’è giorno, infatti, che non si legga sulle cronache dei giornali delle intromissioni di parenti (o similari) che prendono sic et simpliciter l’involontaria nomina per qualche Fondazione o Ente autonomo voluto dalla tal Regione e buggerando cittadini ignari che hanno pagato onestamente le tasse e che si sentono doppiamente raggirati proprio da quegli strilloni che hanno vinto le elezioni perché si annunciano come antitasse e antistato.
E oggi, come allora, per sviare l’attenzione dei più si creano storytelling di distrazione di massa.