di MOWA
“Il mio atteggiamento deriva dal sapere che a battere la testa contro il muro è la testa a rompersi e non il muro.” (Antonio Gramsci)
Scrivo con tristezza queste poche righe in ricordo di una persona che, dal profondo Sud, ha cercato un riscatto sociale raggiungendo l’”opulente” Nord e, quando tutto questo sembrava ottenuto, ha cessato, invece, di essere tra noi per colpa di altri. Travolto da un suv e trascinato per circa duecento metri il 12 gennaio 2012 con una morte che l’ha raggiunto dopo una lenta, lentissima, agonia. Non interessa, ora, sapere da quale zona arrivasse il conducente ma perché, ancora oggi, si fatica ad accettare un iter giudiziario controverso che, ormai, dura da 8 anni.
Infatti, non si riesce a capire come possa essere, a volte, ingiusta la giustizia che si accanisce con spregiudicato cinismo contro un figlio del popolo che aveva voluto uscire dagli schemi dei luoghi comuni di molte persone che preferiscono girare le spalle ai disagi che la società produce verso quelli meno “fortunati” perché cresciuto tra onesti tra i molti che, invece, non lo sono affatto. Nato in una terra piena di quel sottoprodotto culturale del “stai bene tu e che gli altri si fottano”, il vigile Nicolò Savarino era di altra pasta, di altra caratura morale ed etica, come ricordano i famosi romanzi del commissario Montalbano di Camilleri. Infatti, per chi ha avuto il piacere e l’onore di conoscerlo (come chi scrive), si può commentare, senza cadere nella volgare retorica, usando solo parole di stima che si accompagnano alla serietà del suo modo di affrontare la quotidianità senza astio e con una mano protesa verso chi è meno fortunato, con l’intento di dare un’altra occasione di riscatto per stare meglio.
Una persona gioviale e pacata che sapeva miscelare bene tra l’essere un educatore civico delle norme (ottimo biglietto da visita della pubblica amministrazione locale) e quella capacità del disbrigo delle pratiche burocratiche in cui incorre ogni cittadino nella sua città.
Quindi, un mix bilanciato tra la serietà e la dovuta autorevolezza (che non sfociava, però, in quello che molti altri suoi colleghi confondevano con autoritarismo), che lo facevano distinguere per umanità con quella mano sempre pronta ad aiutare e, nei limiti del possibile, a trovare la soluzione. Un vigile buono che aveva scelto di schierarsi, anche sindacalmente, non verso un sindacato rigidamente di categoria ma con quello con più aperture verso un mondo equo e contro le ingiustizie sociali.
Un vigile che aveva un decoro culturale che sentiva nel profondo e, quindi, a tutto tondo. Una vita spezzata, troncata in modo tragico perché trascinato con la sua bicicletta di servizio per quel dovere istituzionale che gli era stato insegnato e che calzava a pennello, come un guanto sulla sua persona.
Una persona tanto stimata da tutti i colleghi che ha fatto breccia nelle menti dei cittadini su come si possa fare un lavoro tanto canzonato in modo dignitoso sapendo esaltare il rispetto e la serietà, tanto da ottenere (con non poche difficoltà – ecclesiali in questo caso) il funerale nel Duomo di Milano come si confà alle celebrità. E l’anonimo vigile Nicolò Savarino lo era e, forse, molto più di altre.
Un funerale che aveva raccolto rabbia da chi voleva maggior esibizione di forza muscolare, verso chi (la maggioranza), invece, pretendeva più vicinanza delle istituzioni con i suoi concittadini, come una voce unica e sola, come ci aveva insegnato Nicolò con la sua mano protesa in aiuto verso i meno fortunati.
Un modello proposto da Nicolò che viene offeso nello stravolgimento delle sentenze perché diventano paragonabili a quelle sentenze che i potenti si sono fatti fare su misura in spregio a chi meritava giustizia e, invece, questa è stata calpestata. Una giustizia che produce i suoi demoni di immoralità come coloro che conoscono tizio o caio per farsi raccomandare in un posto che non gli spetta…