di MOWA
«Mai come in questo momento – che è indicativo di una “crisi storica fondamentale” – si pone un problema di ricerca e di uso della “verità”, ricordando che per Gramsci “nella politica di massa dire la verità è una necessità politica”, per una analisi nella quale la questione dei “rapporti di forza” viene miopemente ed interessatamente fatta coincidere con le esigenze del “troppo” (e quindi “superficiale e meccanico”) realismo politico, mentre l’elemento decisivo di ogni situazione è la forza permanentemente organizzata e predisposta di lunga mano che si può avanzare quando si giudica che una situazione è favorevole (ed è favorevole solo in quanto una tale forza esista e sia piena di ardore combattivo).»
(Salvatore d’Albergo, costituzionalista, La democrazia politica economica e sociale tra potere finanziario e “globalizzazione dell’economia”)
Le politiche comunitarie hanno portato a considerevoli scambi per lo sviluppo economico dei e tra i vari Stati che compongono l’Unione Europea ma non per questo le autonomie decisionali determinate dalle varie Costituzioni che formano il Continente devono essere compresse, modificate ed uniformate.
A molti sembrerà una banalità se non fosse che, da diverso tempo a questa parte, le direttive hanno assunto una fisionomia di verticalizzazione impositiva dall’alto verso il basso (con il termine di: dotata “efficacia vincolante”) che contrasta con quelle anzidette Costituzioni degli Stati che danno vita alla stessa Unione Europea.
Una autentica violenza sulla storia dei vari Stati che compongono l’Unione Europea perché abbruttiscono gli usi, i costumi, le tradizioni (a volte ottenute con sofferenza) e creano un banausico espediente (avrebbe detto Benedetto Croce) con il solo scopo di illudere l’esistenza di una Costituzione europea repubblicana, che non c’è (e, spesso, non voluta per volontà degli stessi politici che la amministrano), per far passare concezioni e interpretazioni poco attente ai bisogni reali dei vari Stati sovrani che la formano. Un modo, poco elegante, di forzosa uniformità culturale dall’alto e, sovente, non condivisa da prerogative sociali molto distanti tra loro.
Quindi, non ci si deve scandalizzare se, poi, vi sono paesi che vogliono esaltare la propria “atipicità”, come avvenuto con il paese ungherese che ha deciso, in piena e legittima autonomia, di non applicare le indicazioni sui c.d. distinti concetti di «sesso», «genere», «orientamento sessuale» e «identità di genere».
La cosa che, invece, dovrebbe scandalizzare gli abitanti dell’Unione Europea è questa realtà che mette in ginocchio l’economia con le assurde concorrenze produttive di milioni di persone visto che sono stati modellati Paesi con sistemi fiscali differenti e, poi, ipocritamente il mainstream europeo prende decisioni contro l’evasione fiscale quando si hanno in “casa” i c.d. “paradisi” o, peggio ancora, si realizzano mostri come la Direttiva Bolkestein (Direttiva dell’Unione Europea 2006/123/CE), che legittima disparità di trattamento salariale tra un paese e l’altro agevolando gli imprenditori più scaltri “invitati” in questo modo a delocalizzare altrove. Un dumping poco sociale che vorrebbe agevolare la vendita all’estero di una merce a prezzi inferiori di quelli praticati sul mercato interno, con l’intento di impadronirsi dei mercati esteri e che produce, nella realtà, effetti deleterei come per le centinaia di aziende italiane come la GKN, la Whirlpool, la Henkel, la Sematic, la Sicor, ecc.
Un’Europa dei ricchi – con addirittura monarchie – e poco dei popoli (altro che complottismo!), così realizzata come confermato dai dati, aumenterà a dismisura il divario tra chi ha già e chi, invece, avrà sempre meno, con il rischio di esacerbare gli stati d’animo di chi fatica a raggiungere fine mese e che vorrebbe dare dignità alle proprie fatiche per nulla ripagate dall’iniquità di un sistema (masso)capitalistico imperfetto sotto ogni profilo.
Le esigenze di introdurre (pardon) ripristinare i precetti delle Costituzioni dei vari Stati servono, ad esempio, per l’Italia, a non farsi calpestare sulle libertà dell’articolo 21 che recita:
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria [cfr. art.111 c.1] nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
Articolo della Costituzione che è in netto contrasto con il diritto del c.d., oblio formulato dall’Unione Europea e che i giornalisti, giuristi, politici… ben consapevoli, si sono appiattiti ad accettare come “regola” che non solleva la idiosincrasia valoriale. Un oblio che arrecherà danni agli archivi storici (digitali o meno – ma ben concentrate nelle proprietà dei padroni come le testate giornalistiche) che saranno monchi, ai più, di dati significativi per una effettiva ricostruzione più fedele e dettagliata. Paradosso delle richieste all’oblio fatte sia ai giornalisti o a chi si interessa di aspetti sociologi… su internet riguardano in prevalenza nomi di chi è coinvolto in scandali finanziari, detenzione di armi, disastri ambientali e così via, dando a ben capire chi sono i reali fruitori della norma.
Un’Europa così congeniata a tutto vantaggio dei ricchi o dei suoi lacchè non può che far presagire sciagure di carattere socio-economico e, come la Storia ci insegna, una volta introdotto il germe della disperazione tra i popoli presentare una figura che catalizzi tali disagi e che proponga soluzioni forti e dispotiche. Lo si è visto in Germania con la Repubblica di Weimar e in Italia dopo la Prima Guerra Mondiale dove, dopo aver intontito il popolo attribuendogli la responsabilità della crisi del Paese, spuntò fuori dal cilindro il peggio che la Storia potesse esibire e il resto lo si conosce.
Oggi quel fenomeno di disagio economico, cavalcato nelle piazze d’Europa da lacchè (prezzolati) reazionari, per le pessime e poco oculate scelte sul problema sanitario per via del coronavirus sta dando i suoi frutti con un “inaspettato” consenso aiutato, anche, da una riprovevole informazione unidirezionale che, intanto, omette la crescita delle dismissioni produttive nel Continente e diventata strumentalmente bersaglio, in quelle stesse piazze di coloro che fruiscono della cassa di risonanza.
Necessita una difesa di classe del mondo dei lavoratori con un soggetto politico all’altezza di tale compito se vogliamo evitare l’ennesima guerra, che sia a bassa o alta intensità.
Foto di Mika Baumeister
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