di MOWA
«Il potere politico moderno è solo un comitato che amministra gli affari comuni dell’intera classe borghese.» (Karl Marx)
Mentre da una parte vi è un’ indigestione di ovazioni, da parte dei partiti odierni in Parlamento, per la rielezione del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dall’altra viene proposta la modifica del sistema elettorale con il ritorno al proporzionale anche se non quello integrale come voluto dai Padri Costituenti a rappresentazione della vera democrazia. Qualcuno dei parlamentari avanza anche l’ipotesi di mettere mano al sistema “sbagliato” del “rosatellum” che prende il nome dal suo formulatore Ettore Rosato, legge 3 novembre 2017, n. 165 (per la spiegazione si rimanda al link di WikiPedia).
Nessuno, per propria convenienza, però, ha il coraggio di dire che occorrebbe restituire dignità al dibattito sui partiti, anzitutto «rifiutando quell’”ingegneria” politicista (omologa di quella “istituzionale”) di liste, federazioni di partiti e di liste e di contenitori senza contenuti».
Spiegava molto bene, decenni fa, Angelo Ruggeri quando insisteva nel dire che in
«realtà erano già sbagliate le analisi di chi a sinistra, a partire dagli anni ‘70, ha passivamente accolto la suggestione, già allora “populista”, di rafforzare il governo e le istituzioni di vertice dello stato. Contro un “prevaricare” dei partiti che è stato attribuito ad essi in quanto tali e non inteso come “prevaricazione” delle segreterie di partito anche sulla propria base territoriale/sociale, contro l’art.49 della Costituzione.»
Tesi, tra laltro, che prende origine dalle valutazioni espresse dal costituzionalista Salvatore d’Albergo il quale vedeva, nelle modifiche istituzionali, la trappola alla democrazia e affermava che
«mistificatoria separazione tra “prima” e “seconda” parte della Costituzione, a loro volta scisse dai Principi fondamentali, non deve sfuggire il motivo per cui i gruppi di potere – invece di demonizzare le norme costituzionali sostanziali volte al controllo sociale e politico della proprietà e dell’impresa – abbiano concentrato i loro sforzi politici e culturali sugli aspetti della vita organizzata, che sono per loro natura meno immediati nell’esperienza delle masse popolari: come appunto sono le questioni “istituzionali”, riferite tradizionalmente alla forma di governo, che è l’epicentro dell’organizzazione del potere costruita storicamente a presidio del sistema capitalistico. Il richiamo di tale apparente ovvietà si rende oggi necessario per spiegare come mai da due anni viene invocata con intermittenza una fantomatica Bozza Violante, opponendola a circa un trentennio di sofisticate elaborazioni affidate a tre commissioni bicamerali e travasate in due leggi di revisione costituzionale (2001 e 2005), la seconda delle quali è stata bocciata dal voto referendario del 2006. Come mai, dopo una lunga fase di “massimalismo” sfrenato, teso a stravolgere l’intera seconda parte della Costituzione (che ha coinvolto quasi tutti i costituzionalisti, in un’orgia revisionistica contrastante con la neutralità, se non passività, degli anni della lotta per la democratizzazione), si è passati ad una fase di torbido e torpido “minimalismo”, imperniata sul ruolo più soft affidato ad un misterioso documento con cui, dal 2007, si tenta di riaprire un corso revisionista che il voto referendario (stando alle concezioni dei referendaristi a oltranza) dovrebbe ormai precludere?»
Motivo per il quale si mobilitarono a tutela dei principi costituzionali migliaia di persone con l’ APPELLO – Per una legge elettorale ispirata al principio proporzionale integrale per rilanciare il pluralismo sociale e politico necessario alla lotta contro il dominio capitalistico che sosteneva come
«decisiva la battaglia per una nuova legge elettorale ispirata al principio proporzionale “integrale” (puro, senza sbarramenti, che distorcono il principio di rappresentanza e finiscono con l’essere un maggioritario mascherato)».
Una battaglia che, purtroppo, non si concretizzò specie per responsabilità/colpa dei maggiori leader della Lega Nord (Miglio in primis) i quali giustificarono
« l’uso illegale del potere legale in base ad una concezione “decisionista” del diritto (per altro cara a certi marxisti-leninisti nostrani), quanto sopratutto dare l’idea che tale posizione culturale, sarebbe addirittura più genuinamente rispettosa della volontà popolare.»
Quindi, un piano destabilizzatore dei valori democratici e dei diritti sociali che parte da molto lontano, con una pratica ispirata a De Gaulle in “un colpo di stato tecnico e pulito” che prenderebbe, purtroppo, forma completamente a meno che non ci si decida di riappropriarsi (in modo organizzato) del futuro in prima persona. E, tanto per capirsi meglio, abbiamo l’esempio dell’avvenuta modifica del Titolo V della Costituzione che ha dato “licenza” alle Regioni di assumersi alcune competenze, prima nazionali ed uguali per tutti. Ad esempio per la sanità, con questo sistema, le regioni hanno avuto buon gioco nel “donare” liberamente soldi pubblici per le attività private (nella sola Lombardia, ad oggi, siamo al 70%), nel contempo vi è stata una notevole riduzione dell’assistenza generale che sta portando, gradualmente e cinicamente, ad una cruda realtà di depauperamento, proprio come quella raccontata nel film denuncia di Nick Cassavetes, John Q.