di MOWA
«La pace non è un sogno: può diventare realtà; ma per custodirla bisogna essere capaci di sognare.» (Nelson Mandela)
Nell’era moderna, i continui conflitti tra gli individui porterebbero a pensare che nulla sia cambiato rispetto alle società antiche quando vigevano culture di contadini/cittadini/soldati per i quali la guerra era parte integrante del ciclo agricolo annuale. Ancor oggi, nonostante l’estrema complessità dei mestieri e delle specializzazioni, non è stato modificato il pensiero rispetto a quello che, anticamente, era classificato come “il lavoro” in senso lato che veniva unicamente demandato ai soli schiavi perché, secondo i filosofi greci, lavorare era un’attività ignobile e inadatta all’uomo libero.
Nonostante siano trascorsi secoli e si siano aggiunte, a quelle dei nobili e dei religiosi altre classi sociali come, ad esempio, l’odierna borghesia, nulla è cambiato e la funzione degli “ultimi”, quelli che lavorano, è rimasta identica ad allora.
Inoltre, le società post-classiche, medievale e moderna, (incapaci di risolvere pacificamente i conflitti) sono arrivate ad anteporre al lavoro la guerra rompendo gli schemi di ciclicità precedenti e rendendola, di fatto, qualcosa di permanente. Questo passaggio è stato accompagnato e supportato dalle teorizazioni di molti studiosi, monaci ed intellettuali, che hanno motivato e giustificato la belligeranza di chi attaccava e depredava a proprio vantaggio popoli e paesi.
Un ruolo indiscutibilmente da dominatore quello della gestione della violenza mediante un “linciaggio” culturale in cui si fanno entrare in azione degli outsider, i cosiddetti “capri espiatori” a supporto delle proprie tesi cosa che quotidianamente avviene con un’informazione a senso unico, pro-occidente (o meglio esclusivamente filoanglofona) mediante i vari canali comunicativi in cui si propalano bugie rispetto alle altre parti del Mondo a cui viene addossata un’aggressività inesistente al solo scopo di mantenere un ingiusto dominio. [1]
In uno studio antropologico il filosofo franco-statunitense, Renè Girard, descrive questo modo di fare che chiama della “vittima espiatoria” come un meccanismo per mezzo del quale, si può usare la violenza cambiandone la direzione e sfogandosi, quindi, su un oggetto di ricambio; questo palliativo avrebbe spostato e “liberato” le persone e la società da una maggiore violenza.
Si prenda, ad esempio, quanto avvenuto con i romani che scelsero l’impero di Augusto in quanto stanchi degli anni di guerre portate avanti da Cesare che culminò con il suo linciaggio; i romani sacrificarono quella libertà, con l’Impero.
Banalizzando, probabilmente, stanchi di quegli anni linciarono Cesare e scelsero di vivere sotto Augusto che vedevano come pacificatore. L’odio di gruppo, come sosteneva l’antropologo-filosofo Girard, aveva prima, letteralmente, distrutto e “divorato” l’imperatore visto come capro espiatorio e poi lo aveva divinizzato facendolo assurgere a modello da imitare.
E quanti altri esempi di ritualizzazioni diventate cultura mitologica si potrebbero citare in tal senso: quello di Romolo, oppure, l’altro della figlia di Jefte di cui parla la Bibbia, sacrificata in maniera simile al figlio di Idomeneo nel rito greco, o, ancora, la brutta fine (fatto a pezzi e mangiato nell’orgia dionisiaca) del principe, Penteo, per mano delle invasate, dal dio Bacco (Dioniso), donne tebane che fecero scempio del suo corpo per poi, essere condannate all’esilio e trasformate, successivamente, in serpenti.
Il sacrificio, dunque, era (ed è) pratica ricorrente descritta, anche, nei riti – del capro espiatorio, come avveniva anche per gli animali sacrificati, innocenti, dalla violenza dell’uomo.
Girard sosteneva, inoltre, che la “vendetta” costituirebbe una minaccia insopprimibile per gli individui e che farebbe parte di “un processo infinito, interminabile”. Questo procedimento comportamentale secondo lui, permetterebbe agli uomini di “moderare” la loro violenza anche se non è dato come fenomeno assoluto.
E vedere come stanno andando le cose oggi in cui assistiamo (e partecipiamo) a continui conflitti per il possesso di territori, espropriazione di risorse, dominio e schiavizzazione di popoli, in cui le violenze e la supremazia di pochi si impongono sui più anche con l’uso di armi terribili e sempre più sofisticate, fa pensare che l’analisi e le teorie di Girard fossero non solo serie ma opera di chi aveva studiato a fondo l’animo umano, le sue contorsioni e i meccanismi messi in atto per raggiungere i propri scopi di ricchezza e di potere.
NOTE
[1] https://www.facebook.com/watch/?v=1167115207435077
Foto di dimitrisvetsikas1969 / 18015