di MOWA
«Per avere successo, l’austerità ebbe bisogno del fascismo: un governo autoritario che, con la forza e l’impunità politica, riuscì ad imporre la propria volontà nazionalistica.» (Clara E. Mattei, Operazione austerità. Come gli economisti hanno aperto la strada al fascismo, ed. Einaudi)
Il dibattito, di queste ultime ore, riguardo la commemorazione del 25 Aprile, vede, alcune frange reazionarie insediatesi nelle istituzioni (e i cui componenti hanno giurato fedeltà alla Costituzione) assumere una posizione che nulla ha di quell’antifascismo, prerogativa e base valoriale della Carta Costituzionale fondante per il Paese.
Questa situazione evidenzia come non si sia mai approfondito, veramente, nel periodo post-Liberazione dal nazifascismo, il dibattito su cosa sia stato il fascismo, chi lo abbia fomentato e foraggiato, quali i veri interessi in campo a discapito di alcune classi sociali e per salvaguardare il capitalismo contro chi avrebbe voluto un diverso paradigma sociale.
I fatti, attualmente, ci stanno dimostrando che, stiamo vivendo analogie con i primi decenni del secolo scorso. In tal senso si potrebbe citare il realizzato piano di pareggio di bilancio fatto mettere in Costituzione (arbitrariamente) da parte del tecnico, ed ex Presidente del Consiglio, Mario Monti, che ricalca quanto fatto dai governi liberali nel 1921-22 e che fu portato a totale compimento dal fascismo, con lo scopo di arrivare a quell’austerità funzionale alla situazione finanziaria a favore dei capitalisti, con l’obiettivo di reprimere ogni velleità di rinnovamento progressista portata avanti dalla emergente sinistra sulla scia della Rivoluzione di Ottobre che aveva visto il riscatto del proletariato.
Come anticipato nella presentazione a questo scritto, Clara E. Mattei, nel suo imperdibile libro: Operazione austerità. Come gli economisti hanno aperto la strada al fascismo, spiega come, alcune componenti della società, siano state complici nel dare man forte all’insorgere del fascismo e di come:
«Il fascismo ebbe bisogno dell’austerità per rafforzarsi. Fu il disegno dell’austerità che condusse il mondo politico internazionale e nazionale a sostenere il regime di Mussolini, anche dopo le “leggi fascistissime” del 1925-26 che lo insediarono ufficalmente come dittatore. Gli economisti liberali in Italia, Gran Bretagne e Stati Uniti non ci misero molto a osservare che un uomo forte, dotato di “pieni poteri” sarebbe stato lo strumento più efficace per salvaguardare il capitalismo italiano dai suoi svariati “nemici”.»
E, ancora:
«…l’attrazione esercitata dall’austerità fascista sul piano internazionale […] la stretta associazione che si formò tra i liberali italiani e l’autoritarismo, un legame al quale la letteratura canonica ha spesso dato poca importanza. Tra i facilitatori dell’austerità in Italia vi furono quattro economisti molto noti nel Paese, campioni del paradigma emergente dell’economia pura, diretta precorritrice dell’odierna economia neoclassica mainstream. Due di essi, Alberto de’Stefani e Maffeo Pantaleoni, furono dichiaratamente fascisti. Gli altri due, Umberto Ricci e Luigi Einaudi, si dichiaravano liberali. Questi esperti unirono le forze – e trovarono importanti basi comuni – sotto la bandierà dell’austerità. Per ciascuno di loro l’austerità ebbe un ruolo altamente funzionale a un sistema di dominazione, che al tempo stesso rafforzava.»
A questo punto del ragionamento, da parte dell’autrice, sono d’obbligo alcune domande sulla correità dei liberali (con i propri economisti) alla soppressione dello sviluppo democratico:
«La loro facilitazione dell’austerità (e di conseguenza il loro sostegno al fascismo) solleva un importante interrogativo: in quale misura le politiche di austerità raccomandate dai quattro economisti scaturivano dai principî dell’economia pure e in che misura invece furono legate alla partecipazione di quegli uomini alla lotta di classe?»
Vi è, anche, un’altra analogia con il periodo dei primi del ‘900 e si tratta del consenso, all’ascesa del fascismo, da parte delle testate giornalistiche economiche, comprese quelle strettamente teoriche (come “Il giornale degli economisti” e “la riforma sociale”), che elogiarono, in moltissimi articoli, i piani di Mussolini proprio come sta avvenendo, oggi, con l’attuale Governo di Giorgia Meloni che, nonostante, la dimostrata manifesta incapacità di fare politiche a favore del popolo viene, vergognosamente, portato in palmo di mano da quello stesso filone di seguaci liberali, proprio come allora. E, come è ben spiegato nelle prime righe del libro sopra citato quando parla di austerità popolare:
«Il capitale non è, come l’uso recente del termine suggerisce, la semplice ricchezza. Difatti l’accumulazione di capitale dipende da due pilastri fondamentali: in primo luogo che piccoli gruppi o individui possiedano i mezzi di produzione; il secondo luogo, che li usino per accumulare ricchezza assumendo lavoratori salariati. I rapporti salariali sono la relazione sociale primaria di qualunque sistema capitalistico, e si possono osservare ovunque un lavoratore ceda la propria forza lavoro al datore di lavoro in cambio di un salario; questo rapporto sociale di produzione è l’essenza del capitale. Cedendo la propria forza lavoro, il lavoratore rinuncia a ogni diritto sull’impiego e sui prodotti del suo lavoro.»
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