di MOWA
«Entrare a far parte della mafia equivale a convertirsi a una religione. Non si cessa mai di essere preti. Né mafiosi.» (Giovanni Falcone)
Si fa fatica a digerire lo sfarzoso funerale di Stato, consumato nella piazza più importante e significativa di Milano, quella del Duomo, per una persona la cui vita, sia personale che politica, ha più ombre che luci, che ha intessuto rapporti con personaggi poco cristallini del calibro del condannato in via definitiva per “favoreggiamento di Cosa nostra” [1], Marcello dell’Utri, [2] e che aveva come “stalliere”, nella sua residenza, tal mafioso, dichiarato, Vittorio Mangano. [3]
La stampa nazionale, ma meno quella estera, si è dimenticata, dell’iscrizione, di questo defunto, a quella massoneria, a “direzione” Licio Gelli, coinvolta nella destabilizzazione del paese Italia tanto da comparire, anche, nella strage di Bologna del 2 agosto 1980. [4]
Una destabilizzazione massonica che ha dato i suoi “frutti” anche con l’oblio della propria storia, tanto che i cittadini italiani (e le istituzioni) si sono fatti gabbare (obnubilata la memoria?) e hanno votato per un partito, fondato da questo signore (a cui è stato dedicato, niente meno che, un “lutto nazionale”), nonostante avesse appartenenti che sono all’indice della cronaca giudiziaria come «l’avvocato ed ex deputato e senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli (che del partito berlusconiano fu anche coordinatore in Calabria)» [5] e, come ci ricorda la cronaca, nel «Tribunale di Vibo Valentia, infatti, ci sono sì i boss della famiglia mafiosa Mancuso di Limbadi e delle altre cosche del vibonese, ma anche ex parlamentari, ex consiglieri regionali, sindaci, uomini dei servizi segreti e delle forze dell’ordine, professionisti e imprenditori. Sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, usura, riciclaggio, detenzione illegale di armi ed esplosivo, ricettazione, traffico di influenze illecite, trasferimento fraudolento di valori, rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio, abuso d’ufficio aggravato, traffico di droga.»
Non si può, quindi, dare torto a Tomaso Montanari quando alza l’attenzione su questa figura discutibile e sulla liceità del lutto nazionale sostenendo che non si dia appannaggio a chi si esprimeva dicendo «dal disprezzo della giustizia alla mercificazione di tutto (a partire dal corpo delle donne, nelle sue tv), dal fiero sdoganamento dei fascisti al governo alla menzogna come metodo sistematico, dall’interesse personale come unico metro alla speculazione edilizia come distruzione della natura. In questo, e in moltissimo altro, Berlusconi è stato il contrario esatto di uno statista, anzi il rovesciamento grottesco del progetto della Costituzione”». [6]
Destra al governo, come dichiarato convintamente qui dallo stesso signor B, [7] che, ora, lo ripaga del favore con i funerali di Stato e il lutto nazionale. A questo defunto, non importava assolutamente se, nella Repubblica antifascista nei suoi valori costitutivi, a cui aveva giurato fedeltà, fossero presenti fascisti, perché i suoi affari venivano innanzitutto e tutti: anche prima di quei poveri cittadini che lo hanno votato.
E l’odio viscerale verso i comunisti ( quelli coerenti!) da parte di questo defunto era derivato dal fatto che li vedeva, principalmente, come ostacolo alla sua rampante carriera tranne coloro con cui, come spiegato molto bene nel libro “il rosso & il nero” [8], aveva intrecciato rapporti con lo scopo di agevolare la propria espansione.
Note
[2]
Nino Di Matteo: “Per quasi un ventennio, dal 1974 al 1992 le casse della mafia palermitana sono state lautamente e costantemente alimentate dall’imprenditore Silvio Berlusconi”.
Sipario! pic.twitter.com/5yP2G0QKAL— The Baseball Furies (@DavideR46325615) June 12, 2023
[7]
I fascisti li abbiamo legittimati noi, li abbiamo costituzionalizzati noi! pic.twitter.com/fEqX4bcj7J
— Alekos Prete (@AlekosPrete) June 13, 2023