di MOWA
«…una corda tesa tra l’uomo e il superuomo» (Also sprach Zarathustra -1883-85, Friedrich Wilhelm Nietzsche)
Non è sufficiente scandalizzarsi per le varie e innumerevoli sortite di alcuni esponenti politici che richiamano, in modo elogiativo (e distorto), i periodi più bui della Storia mondiale quale quello del nazifascismo.
Ed è fortemente scorretto ignorare quanto avvenuto nei periodi precedenti, in tal modo le nuove generazioni non hanno memoria di quanto accaduto. I giovani, quindi, non hanno gli strumenti per comprendere la gravità dei crimini commessi dai nazifascisti sugli esseri viventi, le sevizie, le torture, gli esperimenti clinici… sino alla soppressione fisica, una crudeltà efferata compiuta sul genere umano che è insita in tale cultura. In tal modo, questa prassi negativa, ha svicolato ciò che, invece, dovrebbe essere rigettato con convinta energia sia nelle istituzioni che nella società nel suo complesso. La passività e la non reazione hanno permesso comportamenti non democratici delle forze dell’ordine che usano pestaggi violenti nei confronti di chi rivendica un diritto civile, [1] e frange sempre più consistenti di facinorosi si sono sentiti autorizzati a scaricare sia le proprie frustrazioni contro altri fino ad arrivare a “risolvere” le controversie con accoltellamenti che la propria insicurezza esistenziale contro le “femmine” senza limiti d’età.
Qualcuno potrà chiedere cosa c’entri il nazifascismo con questi esempi di violenza ma, si sa benissimo che c’è molta più relazione di quanto non sembri, infatti la visione patriarcale, ed il ruolo subordinato (se non assente e/o succube) del lato femminile nella struttura culturale di tali paradigmi porta a comportamenti di supremazia. Basti ricordare cosa scriveva Ferdinando Loffredo nella sua Politica della famiglia nel 1938:
“La indiscutibile minore intelligenza della donna ha impedito di comprendere che la maggiore soddisfazione può essere da essa provata solo nella famiglia, quanto più onestamente intesa, cioè quanto maggiore sia la serietà del marito. (…) Il lavoro femminile crea nel contempo due danni: la «mascolinizzazione» della donna e l’aumento della disoccupazione maschile. La donna che lavora si avvia alla sterilità; perde la fiducia nell’uomo; concorre sempre di più ad elevare il tenore di vita delle varie classi sociali; considera la maternità come un impedimento, un ostacolo, una catena; se sposa difficilmente riesce ad andare d’accordo col marito (…); concorre alla corruzione dei costumi; in sintesi, inquina la vita della stirpe”. [2]
Allora, la cultura nazifascista non risparmiò chi si frapponva alle politiche persecutorie compresi gli uomini di fede, come nel caso di Don Minzoni che, infatti, venne ucciso “dalla violenza fascista e dalle complicità pavide di chi non la contrastò”, come scritto su Famiglia cristiana, in occasione dell’omelia del Presidente della Conferenza episcopale pronunciata ad Argenta, il 25 agosto 2023, in occasione della celebrazione per il centenario dell’assassinio del sacerdote massacrato a botte dai fascisti il 23 agosto del 1923,
“Fascismo, che assume colori diversi, sistemi e burocrazie di ogni totalitarismo e diversi apparati, significa il disprezzo dell’altro e del diverso, l’intolleranza, il pregiudizio che annienta il nemico, il razzismo raffinato o rozzo che sia, la violenza fisica che inizia sempre in quella verbale e nell’incapacità a dialogare con chi la pensa diversamente. Minzoni lo affrontò senza compromessi, opportunismi, convenienze.” [3]
E’ la cultura della sopraffazione, per usare le parole del presidente della Cei, il cardinale Matteo Maria Zuppi, vescovo di Bologna che afferma: il “fascismo (…) significa sempre il disprezzo dell’altro, del diverso, l’intolleranza, il pregiudizio, il razzismo raffinato o rozzo che sia, la violenza fisica che inizia sempre con quella verbale” e questo lo abbiamo visto nel massacro del Circeo, quando, in via Pola, il 29 settembre 1975, tre giovani studenti neofascisti della Roma bene – “bravi ragazzi dei Parioli”, Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira – sequestrarono, stuprarono e torturarono, per un giorno e una notte, Donatella Colasanti (17 anni) e Rosaria Lopez (19 anni). Sopravvisse solo Donatella Colasanti che potè denunciare le brutalità che lei e l’amica subirono. [4]
Ma potremmo ricordare, anche, un altro episodio avvenuto a Milano, il 9 marzo 1973, quando l’attrice e attivista di sinistra, Franca Rame venne rapita da cinque uomini, fatta salire a forza su un furgone e stuprata per ore. La magistratura, indagando, scoprì che tale azione era stata pianificata negli ambienti dell’estrema destra, con lo scopo di colpire la compagna di vita di Dario Fo, perché impegnata politicamente e collaboratrice di Soccorso Rosso; l’attrice si era anche esposta, in modo considerevole, sul caso Pinelli. Una donna che non ha mai avuto remore nel denunciare le responsabilità dei fascisti negli anni ’70. [5]
Una pericolosa cultura, quella nazifascista, che abbraccia il mondo metafisico considerandosi al di là della realtà empirica, tanto da riconoscersi nella formulazione filosofica nietzschiana in cui l’uomo impone ordine e armonia. Una “volontà di potenza”, dunque, come esaltazione della forza e della sopraffazione.
L’esatto contrario dei piccoli passi fatti, negli ultimi due secoli, verso la democrazia, grazie, anche, a movimenti di liberazione come quelli comunisti, femministi, ecc. che, attraverso lotte ed impegno quotidiano erano riusciti a conquistare una maggiore stabilità e pace nel Mondo pretendendo l’utilizzo di una maggiore diplomazia per risolvere i conflitti. Mentre, invece, oggi…
Note
[1] https://www.altalex.com/documents/news/2017/06/26/cedu-caso-diaz
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