Su “Il Giornale” Riina veniva definito “complice” del magistrato
di Aaron Pettinari*
Vittorio Sgarbi, ex assessore regionale alla Cultura in Sicilia ed oggi deputato, è stato condannato a 6 mesi di reclusione per aver diffamato, su “Il Giornale”, il sostituto procuratore nazionale antimafia, Antonino Di Matteo. A tre mesi, per omesso controllo, è stato invece condannato il direttore del quotidiano Alessandro Sallusti. E’ questa la decisione del giudice monocratico di Monza, Francesca Bianchetti. E se la pena detentiva per entrambi è stata sospesa, con il riconoscimento delle attenuanti generiche, dovranno comunque risarcire i danni al pm, da liquidarsi in sede civile.
L’accusa nei confronti di Sgarbi traeva origine da quanto messo nero su bianco nella rubrica “Sgarbi quotidiani”, pubblicata nel gennaio 2014.
Un articolo in cui il noto critico andava ben oltre il “diritto di critica” o di “opinione”. “Gli unici complici che ha Riina sono i magistrati che diffondono i suoi pensieri – scriveva allora – Se Riina è reso inoffensivo dallo Stato che lo ha arrestato, perché dobbiamo ritenerlo pericoloso e potente anche in carcere? Perché dobbiamo alimentarne la leggenda? Riina non è, se non nelle intenzioni, nemico di Di Matteo. Nei fatti è suo complice. Ne garantisce il peso e la considerazione”. Ed ancora insinuava: “c’è qualcosa di inquietante nella vocazione al martirio (del magistrato ndr)”.
Parole incresciose in un momento storico in cui erano emersi i contenuti delle parole che il Capo dei capi aveva espresso durante il passeggio con il compagno d’ora d’aria al carcere Opera di Milano, Alberto Lorusso.
“Di questo processo – diceva il boss corleonese, oggi deceduto – questo pubblico ministero di questo processo, che mi sta facendo uscire pazzo, per dire, come non ti verrei ad ammazzare a te, come non te la farei venire a pescare, a prendere tonni. Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono. Ancora ci insisti? Minchia… perché me lo sono tolto il vizio? Me lo toglierei il vizio? Inizierei domani mattina”.
E poi ancora. “Ed allora organizziamola questa cosa. Facciamola grossa e dico e non ne parliamo più”. Dal canto suo Alberto Lorusso risponde affermativamente con la testa. Riina insiste: “Perché questo Di Matteo non se ne va, ci hanno chiesto di rinforzare… gli hanno rinforzato la scorta, e allora se fosse possibile… ad ucciderlo… un’esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo partivamo la mattina da Palermo a Mazara, c’erano i soldati poverini a fila indiana a quel tempo”. “Ecco perché incominciamo da Di Matteo – proseguiva l’anziano boss – , perché in questi giorni Di Matteo, Di Matteo perché Di Matteo tutte, tutte, tutte le cosa le impupa lui. Perché… perché lui pensa ma se questo è Riina ma questo è così freddoso, così terrificante, ma così malvagio… questo, ci macina a tutti e ci mette a tutti sotto i piedi, a tutti… minchia”.
La difesa di Sgarbi, rappresentata dall’avvocato Marco Milani, ovviamente durante la discussione ha cercato di sminuire il significato delle considerazioni espresse dal critico d’arte come se non vi fosse alcun attacco “personale” o “denigratorio”. Ma come si può ritenere una semplice “critica” l’affermazione per cui “Riina non è, se non nelle intenzioni, nemico di Di Matteo. Nei fatti è suo complice”?
Anche recentemente l’ex assessore regionale si era reso protagonista di affermazioni deliranti nei confronti del magistrato ribadendo che “Di Matteo ha tratto beneficio dalle minacce di morte ricevute dal carcere da Totò Riina. Ha cavalcato l’onda per fare il martire”. E come dimenticare i ripetuti attacchi contro lo stesso Processo trattativa ed i magistrati che hanno sostenuto l’accusa (oltre a Di Matteo i pm Francesco Del Bene, Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia) dichiarando che “Il Tribunale di Palermo non può processare lo Stato” e che nel comportamento della Procura “ci sono profili eversivi”? Affermazioni fatte proprio mentre era in corso la requisitoria dei magistrati.
Il processo contro Sgarbi e Sallusti ha avuto inizio lo scorso 24 gennaio con l’esposizione da parte dello stesso Di Matteo dei motivi che lo portarono alla querela. Il pm aveva rilevato che il titolo stesso dell’articolo, “Quando la mafia si combatte solo a parole”, riferito alla sua persona offendeva la propria dignità di uomo e di magistrato. In quell’udienza Di Matteo aveva anche ricordato le vicissitudini successive a quelle minacce di Riina, a cominciare dalle Commissioni speciali per la Sicurezza convocate sia a Roma che a Palermo, non certo su sua iniziativa. Da allora vi fu un potenziamento della scorta con tanto di assegnazione (seppur dopo un lunghissimo iter) del bomb jammer.
Anche l’accusa ieri, durante la discussione, ha ribadito quanto esposto da Di Matteo, aggiungendo che il mezzo della stampa è stato usato al solo scopo di attaccare il Magistrato (“E’ stato indicato un uomo delle istituzioni beffardamente come complice di Cosa Nostra. Si è intaccata anche l’autorevolezza della Magistratura, offeso il sistema giudiziario. Non si può invocare la libertà di pensiero e di critica, una serie di allusioni tramuta il fatto storico attribuendo al Pubblico Ministero fini personali, per ottenere visibilità. Non si può mai prescindere dal fatto reale”).
Considerazioni giustamente condivise dal giudice che ha condannato Sgarbi e Sallusti anche concedendo a Di Matteo, difeso dall’avvocato Roberta Pezzano, una provvisionale immediatamente esecutiva di 40 mila euro.
In questi anni Di Matteo ed i colleghi del “pool trattativa” hanno subito attacchi mediatici in continuazione. Nonostante questo hanno condotto il processo, conclusosi lo scorso 20 aprile con le condanne in primo grado degli imputati accusati di “attentato a Corpo politico dello Stato”. Almeno in parte questa sentenza rende onore a chi, contro tutto e tutti, ha proseguito e prosegue il proprio percorso nella ricerca della verità su quegli anni bui.
* con la collaborazione di Bruna Bovo
18 Maggio 2018