di Francesco Dall’Aglio
Trump, come penso sia noto, sta impostando la sua campagna elettorale in contrapposizione totale a Biden, inclusa la politica estera (non per quanto riguarda Israele, ovviamente).
Si è già vantato varie volte di poter risolvere il conflitto in Ucraina in poco tempo e ha comunque affermato che si tratta, da parte statunitense, di una escalation pericolosa e che potrebbe portare a un conflitto mondiale.
Ieri, ospite del podcast “All-In” gestito da Chamath Palihapitiya, Jason Calacanis, David Sacks e David Friedberg (in pratica miliardari che intervistano miliardari) ha prima garantito che non ci saranno “American boots on the ground” in Ucraina (notare: American…) perché “c’è un oceano tra di noi”, che Putin non avrebbe fatto nulla se lui (Trump) fosse stato presidente, e soprattutto che gli va benissimo che l’Ucraina non entri nella NATO, perché sono vent’anni che sente dire che l’ingresso dell’Ucraina nella NATO sarebbe un problema per la Russia, che il motivo per cui la guerra è iniziata è questo, e che è tutta colpa di Biden che “ha detto tutte le cose sbagliate”.
E una di queste “cose sbagliate” era, appunto, l’ingresso dell’Ucraina nella NATO che, per lui, è il contrario di quanto andava detto – “se tu fossi a capo della Russia non saresti troppo contento”.
Trump, però, trascura di dire una cosa, fidando nel fatto che la memoria collettiva dell’elettorato è quella del proverbiale pesce rosso: al di là delle responsabilità di Biden e del suo gruppo di comando, responsabilità ben precedenti alla questione ucraina, lui e Mike Pompeo, il Segretario di Stato durante la sua presidenza, ci hanno messo il loro, anche se senza particolare entusiasmo. Nel 2018 hanno riaffermato che “un giorno” l’Ucraina sarebbe stata accolta nella NATO.
Il 31 gennaio del 2020 Pompeo ha ribadito, a Kiev, il sostegno “incrollabile” degli Stati Uniti non solo all’integrità territoriale ucraina, ma anche al suo ingresso nella NATO, e il 12 giugno dello stesso anno la NATO ha riconosciuto l’Ucraina “Enhanced Opportunity Partner”, pur premettendo che questo non è un prerequisito per l’ingresso nell’Alleanza.
Per cui è vero che è stato tiepido e non si è impegnato più di tanto, ma considerarlo addirittura un asset del Cremlino (o un genuino amante della pace, se per questo) mi pare un po’ esagerato.
22 giugno 2024