di Gianni Barbacetto
Un paradiso fiscale sull’area Expo. Questa è l’ultima ideona che Giuseppe Sala, neo sindaco di Milano, ha estratto dal cappello, assistito da quel Mr. Bean della politica che è il ministro Maurizio Martina. Un Paese serio che cosa avrebbe fatto, per risolvere il rebus del dopo Expo? Dovendo investire un paio di miliardi di soldi pubblici per fare l’esposizione su una triste area periferica stretta tra due autostrade, un carcere e un camposanto, un Paese efficiente, prima di iniziare, avrebbe pensato a come far vivere l’area dopo i sei mesi di Expo, per non buttare il denaro dei cittadini. Invece l’esposizione universale si è fatta, è finita da otto mesi e ancora non c’è un vero progetto per utilizzare quei terreni a forma di pesce al confine tra Milano e Rho.
È vero che in questi mesi sono stati annunciati con squilli di trombe diversi e mirabolanti progetti. Il presidente del Consiglio in persona ha lanciato Human Technopole, polo delle scienze della vita, della genomica e dei big data, con tesoretto di 1,5 miliardi da affidare all’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) di Genova. Il mondo della scienza, della ricerca e dell’università è insorto, chiedendo che i soldi non siano affidati a Iit e da Iit benevolmente distribuiti, ma che venga fondata un’Agenzia per la Ricerca, come in tutti i Paesi civili, o almeno un soggetto terzo, trasparente, autonomo e indipendente.
In attesa di questa “correzione”, basta guardare la planimetria del sito per rendersi conto che, comunque vada, Human Technopole occupa 30 mila metri quadri di un’area di oltre 1 milione di metri quadri: da solo, sarebbe un chiosco di bibite in un immenso centro commerciale deserto. Per far vivere davvero il polo tecnologico bisognerebbe trasferire lì le facoltà scientifiche dell’Università Statale di Milano, costruendole ex novo a Rho, insieme al campus e agli impianti sportivi, invece di ristrutturare la struggente Città Studi.
Cosa fatta, hanno scritto i giornali. Invece sarà una storia lunga e complessa. Il rettore Gianluca Vago ha provato a fare un progetto, a luglio lo presenterà al senato accademico e al consiglio d’amministrazione dell’università e infine, se approvato, manderà una manifestazione d’interesse ad Arexpo, la società pubblica che fa da sviluppatore immobiliare dell’operazione. Restano comunque aperti tempi, modi e finanziamenti di un trasferimento complesso e costoso.
Per rincuorare le truppe e disperdere i disfattisti antipatriottici, si è intanto messo in moto Pangloss, che mostra come a Rho stia per nascere il migliore dei mondi possibili. È stata diffusa la speranza che arrivino qui l’Autorità bancaria europea e l’Agenzia del farmaco, che evidentemente non vedono l’ora di lasciare la swinging London per impiantarsi nei prati di Rho-Pero.
Poi, per riempire l’area e completare il polo tecnologico, dovrebbero arrivare anche imprese private. Ibm, secondo un altro mirabolante annuncio di Renzi, e forse Nokia, Bayer, Roche. In un cubo di Rubik difficile da comporre. E allora qual è l’ideona di Mr. Expo & Mr. Bean? Incentivare l’arrivo di imprese, promettendo una “zona franca” defiscalizzata. Praticamente un paradiso fiscale tascabile, una “no-tax zone”: per chi arriverà a generare occupazione, niente Irpef, Irap, Ires, Imu, contributi Inps. Non sarà proprio il paradiso fiscale caraibico a cui sono abituate le aziende, ma le palme saranno egregiamente sostituite dall’Albero della vita. Che rifrangerà il miraggio di portare a Rho “le multinazionali che lasceranno Londra dopo la Brexit”, come ha detto quella vecchia volpe di Carlo Sangalli, presidente Confcommercio. Chiedendo anche contributi europei, aggiunge Sala, “per portare sull’area Expo le aziende che intendono investire in ricerca e sviluppo”. In attesa del meraviglioso paradiso fiscale di Rho-Pero, è bene che gli specialisti in annunci si studino bene le disposizioni dell’Unione europea che regolano la concorrenza e gli aiuti di Stato.
Il Fatto quotidiano, 1 luglio 2016