di Gianni Barbacetto
Nella Milano semideserta e ancora un poco afosa di metà agosto sono successi, in 48 ore, due fatti di cronaca che è utile leggere insieme. Lunedì 12, una donna è stata aggredita in largo La Foppa, uno dei centri della movida milanese, da un trentenne originario del Bangladesh che l’ha quasi sgozzata con un coccio di bottiglia. Martedì 13, una colf filippina di 55 anni è morta precipitando sulla strada dalla finestra del quarto piano di cui stava pulendo i vetri.
Il primo fatto ha occupato le pagine dei giornali, i servizi dei telegiornali e le pagine del web. Michela, una signora milanese che aveva appena comprato il pane in un negozio di largo La Foppa, è stata all’improvviso assalita alle spalle da Rinku Chandra Deb, senza alcun motivo. Scelta a caso tra la gente. Massacrata con una bottiglia rotta. Sono stati i passanti a salvarla: hanno bloccato Rinku e chiamato autoambulanza e polizia. L’uomo è regolare, ha residenza in Italia, è incensurato. Non stava tentando uno scippo. È stato colto da un raptus violento. Già nelle ore precedenti aveva avuto uno scontro con un giovane eritreo ed era stato portato prima in questura e poi all’ospedale Fatebenefratelli per un controllo medico che però aveva rifiutato.
Reazioni immediate della destra milanese: “L’aggressione è l’apice di una lunga serie di pesanti fatti di cronaca con protagonisti gli stranieri. Ormai tutti i quartieri della città sono insicuri”, protesta Silvia Sardone, ex pasionaria di Forza Italia e ora europarlamentare della Lega. “Dal centro alle periferie, c’è da avere paura. L’episodio è sintomatico della sfrontatezza che ormai gli immigrati hanno a Milano. Gli stranieri stanno facendo sprofondare la città nel caos”, aggiunge Riccardo De Corato, Fratelli d’Italia.
Pochi articoli e nessun servizio tv, invece, per Marilou Reyes, venuta dalle Filippine a lavorare a Milano. Era da anni la collaboratrice domestica della famiglia di un avvocato che abita davanti al palazzo di Giustizia milanese. Mandava i soldi alla famiglia nel suo Paese d’origine. Era salita su una scaletta a tre gradini per lavare i vetri di una finestra. Forse non si è accorta che le ante erano solo accostate, di certo ha perso l’equilibrio ed è precipitata sul marciapiede, dopo un volo di oltre dieci metri. Sul davanzale, lassù, è restato il flacone del detersivo.
Marilou è morta sul lavoro, è una delle tante vittime di quel fenomeno pudicamente chiamato delle “morti bianche” che non fanno scandalo, non fanno neppure notizia. Poco importa che fosse nata nelle Filippine e non in Italia: a chi muore sul lavoro non si rimprovera né si premia l’origine o la nazionalità. Di certo, senza la moltitudine di stranieri e straniere che lavorano nelle nostre case, fanno le pulizie nei nostri uffici, le baby sitter ai nostri bambini, le badanti ai nostri vecchi, Milano, il Nord, l’Italia intera si fermerebbe.
Al folle del Bangladesh, invece, si rimprovera eccome l’origine. La sua pazzia improvvisa – che sarebbe stata verosimilmente allo stesso modo drammatica e criminale anche se fosse stato un cittadino italiano – diventa motivo di campagna politica contro gli stranieri, contro la “sfrontatezza degli immigrati”, contro l’insicurezza che fa “sprofondare la città nel caos”. Due pesi e due misure: per i politici che fanno propaganda e cercano di trasformare la paura in voti; e anche per l’informazione, che batte il tamburo sulle aggressioni e non vede le morti tanto “bianche” da essere invisibili.
Il Fatto quotidiano, 14 agosto 2019