a cura di Raffaele Simonetti
La traduzione, su Forum Palestina, dell’articolo di Amira Hass apparso su Haaretz il 3 marzo col titolo: Israeli soldier’s needless killing of Palestinian activist: punishable by death? scritto a seguito dell’uccisione del 24enne militante del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina Muataz Washaha avvenuta il 27 febbraio a Birzeit.
In questa pagina di Facebook un breve video (in arabo) con drammatiche scene dell’operazione, avvenuta sotto l’obbiettivo di diverse videocamere, e un’intervista al padre del giovane.
In italiano ne ha riferito il 28 febbraio Palestina Rossa in: Palestinese giustiziato a Birzeit.
L’ANSA ne ha riferito il 27 febbraio in un pezzo che riferisce della pubblicazione di un rapporto di denuncia di Amnesty, e quindi precedente a questa uccisione:
Mo:Amnesty a Israele,”cinico disprezzo vita in Cisgiordania”
L’uccisione senza motivo da parte dei soldati israeliani di un attivista palestinese: punibile con la morte?
di Amira Hass
Un’unità d’elite spara a bruciapelo a un attivista palestinese dozzine di volte. Aveva ricevuto un mandato di comparizione e non si era presentato. Quale dovrebbe essere la pena?
Se l’indicazione era di provocare una escalation, l’occupazione del villaggio di Bir Zeit lo scorso giovedì da parte dell’unità antiterrorismo Yamam e della brigata di fanteria Nahal è stato sicuramente un passo nella giusta direzione. Le forze armate israeliane hanno ucciso Muataz Washaha, un attivista ventiquattrenne del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Venerdì il suo funerale è stato come lava incandescente che sobbolliva cercando di uscir fuori da una crepa.
Se lo scopo era mettere in difficoltà i dirigenti dell’Autorità palestinese e incrementarne la conflittualità, l’attacco- da parte di 200 soldati, un ufficiale del servizio di sicurezza Shin Bet di nome Alon, dozzine di jeep e due scavatrici – è stato un incredibile successo.
Gli ufficiali superiori dell’autorità palestinese sono stati saggi a non andare al funerale di massa, durante il quale il personale della sicurezza palestinese si è messo a gridare:” Basta con i traditori”, “Basta con i negoziati”, “Basta con la collaborazione tra servizi di sicurezza”. Questi erano alcuni degli slogan più moderati.
I partecipanti al corteo funebre chiedevano:”Dov’erano i servizi di sicurezza palestinesi quando i nostri nemici hanno invaso il nostro villaggio e ucciso Washaha?” e “Fino a quando i dirigenti palestinesi si scuseranno dei propri privilegi materiali di cui godono in cambio del mantenimento dello status quo?”
Se l’anonimo genio che sta dietro l’attacco voleva dimostrare che i palestinesi -musulmani o cristiani, religiosi o laici- sono un popolo unico sotto il tallone israeliano, ha avuto successo. La famiglia Washaha è una delle sei famiglie originarie di Bir Zeit. E’ una delle due famiglie che lo hanno fondato: le altre quattro sono cristiane.
Durante il corteo funebre, che ha sfilato davanti a moschee e chiese, non c’era modo di sapere di distinguerli. Il cimitero in cui Washaha è stato sepolto è vicino al centro del vecchio villaggio. La vecchia casa di pietra della sua famiglia è ancora lì, prova evidente delle profonde radici e del naturale attaccamento a quel posto.
Se il brillante stratega che sta dietro quest’operazione avesse pensato di distruggere, in cinque ore, i risparmi di una vita di una famiglia di lavoratori palestinesi, accumulati in trenta o quarant’anni, lo dovrebbero proporre per una importante onorificenza. Quando il centro del villaggio è diventato sovrappopolato, le famiglie, compresa la Washaha, hanno costruito case sulle loro terre nei dintorni del villaggio.
Il razzo anticarro leggero sparato dalle eroiche truppe israeliane ha colpito l’appartamento di Tha’er Washaha, il fratello di Muataz. Ha distrutto tutto quello che c’era dentro. L’appartamento si trovava a un piano recentemente aggiunto alla piccola casa che la famiglia ha costruito decenni fa.
Una ruspa dell’esercito ha buttato giù le pareti che il razzo non aveva ancora distrutto. Andando verso la casa, la ruspa ha sradicato un albero. Una seconda ruspa è avanzata lentamente verso la piccola casa vicina dove i familiari del fratello vivevano con i loro bambini.
Difesa dai valorosi e ben armati soldati israeliani, la ruspa ha distrutto i muri per la gloria dello Stato di Israele mentre la famiglia stava lì vicino a guardare. Le colonne portanti della nuova costruzione sul tetto dimostrano che Muataz Washaha stava per sposarsi ed aveva iniziato a costruire la sua casa sopra l’appartamento dei suoi genitori. Allora i nostri eroici soldati hanno sparato delle granate nella casa, che l’hanno incendiata e riempita di fumo.
Implorare di parlare con Washaha
Se i nostri bravi ragazzi volevano dimostrare che i media israeliani sono leali ed obbedienti, hanno potuto verificare che è proprio così. I portavoce militari hanno parlato di un “individuo ricercato che si è barricato dentro” in modo da far pensare che avesse costruito una fortezza e che si fosse circondato di esplosivi. Ciò è assolutamente inesatto. Tha’er Washaha ha raccontato ad Haaretz di aver implorato Alon, l’ufficiale dello Shin Bet che lo aveva arrestato nel passato per la sua militanza, di avere il permesso di entrare e convincere suo fratello ad uscire. Alon glielo ha negato. La loro madre ha raccontato ai giornalisti che anche lei ha chiesto ad Alon il permesso di parlare con suo figlio, e le è stato rifiutato.
“Le truppe sono entrate con la forza nell’edificio ed hanno trovato il suo corpo”- questa è la versione del portavoce dell’IDF [esercito israeliano]. E’ falso. Quando l’appartamento ha preso fuoco, i pompieri palestinesi si sono avvicinati alla casa, sfidando i soldati, che cercavano di impedirglielo. Due pompieri hanno spento il fuoco da fuori. Poi sono entrati con i nostri fucili puntati contro di loro- per spegnere le fiamme che non potevano raggiungere da fuori.
In base a quanto dicono i pompieri, i soldati hanno minacciato di sparargli se fossero uscite tre persone invece di due. Dentro la casa i pompieri hanno trovato Washaha sano e cosciente. Egli gli ha detto che non aveva intenzione di lasciare la casa a nessun costo.
I pompieri se ne sono andati e sono arrivate le truppe di Yamam, vestite di nero, con il volto coperto. I dintorni hanno risuonato degli spari provenienti da dentro la casa.
Quando le forze di Yamam, Nahal e dello Shin Bet se ne sono andate, i membri della famiglia sono corsi dentro la casa. Il luogo era ora pieno di grida strazianti. L’unità d’elite della polizia ha sparato a Washaha dozzine di colpi a bruciapelo, con pezzi di cervello che coprivano la stanza, per non parlare delle sue gambe, braccia e dita che erano quasi staccate dal corpo.
Egli aveva ricevuto un mandato di comparizione dallo Shin Bet e non si era presentato. E’ un crimine così grave da essere punito con la morte? Forse l’ufficiale dell’intelligence era stato ingiuriato? Washaha aveva progettato un attacco terroristico contro Israele, dicono gli israeliani. In base al manuale di buona condotta dei media israeliani, tutto quello che le fonti della sicurezza dicono sui palestinesi è vero.
Nel codice israeliano delle leggi non scritte, “intenzioni terroristiche” non provate sono sufficienti per essere puniti con la morte. In ebraico, “attacco terroristico” è la frase magica che esenta gli israeliani dal chiedersi perché un arresto necessita di così tante truppe con la fanfara, e una fine così letale.
(traduzione di Amedeo Rossi)
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Anche l’articolo di Gideon Levy, come quello della Hass, è apparso su Haaretz il 3 marzo sotto l’ironico titolo: The most moral army in the world e menziona anche l’uccisione di Muataz Washaha.
La traduzione italiana è su NENA-News e l’immagine che la correda è eloquente.
ISRAELE: L’esercito più morale del mondo
di Gideon Levy – Ha’aretz
Seminare paura nei villaggi e far capire chi comanda: questo l’obiettivo dei raid notturni effettuati dall’esercito israeliano in tutta la Cisgiordania, i quali spesso finiscono con un’uccisione. Gideon Levy tratteggia la figura dell’esercito di quella che ormai sempre meno sentiamo chiamare “unica democrazia mediorientale”
Roma, 17 marzo 2014, Nena News
L’esercito più morale del mondo ha lanciato un missile anti-carro contro una casa in cui un giovane ricercato palestinese si stava nascondendo. L’esercito più morale del mondo ha guidato un bulldozer fin sul tetto della casa e l’ha distrutta. L’esercito più morale del mondo ha usato dei cani per cercare tra le macerie. L’esercito più morale del mondo ha usato una trivella che chiamano “pentola a pressione”assolutamente disgustosa, che ha inventato per i propri scopi.
E’ successo lo scorso giovedì a Bir Zeit, in Cisgiordania. I soldati dell’esercito più morale del mondo sono arrivati la mattina presto per un’altra “di quelle operazioni di detenzione”, come altre che si susseguono tutte le notti e di cui raramente si viene a sapere qualcosa. Si tratta di seminare paura nel mezzo della notte nei villaggi, invadendo le case di persone -inclusi i bambini- che dormono profondamente, perquisendo e distruggendo brutalmente. Qualche volta, come giovedì scorso, il tutto è finito con un’uccisione. Tutto questo accade in un momento in cui gli attentati terroristici palestinesi sono molto ridotti.
Qualche volta queste operazioni si svolgono per una reale necessità, ma allo stesso tempo a volte si tratta di operazioni di routine per mantenere in esercizio la capacità di intervento delle truppe e per dimostrare chi eserciti l’effettivo potere sovrano sugli abitanti. L’esercito israeliano ha inventato un nome rassicurante per queste operazioni: lo ”strumento del caos”, cioè prendere d’assalto una comunità di civili con lo scopo di creare panico e paura, e sconvolgere le loro vite – come una volta sono state descritte dall’organizzazione per i diritti umani Yesh Din durante un processo in un tribunale militare.
A Bir Zeit è toccato a tre ragazzi palestinesi, membri del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, un’organizzazione non particolarmente attiva. Nonostante quanto si sono affrettati a dichiarare i corrispondenti dell’esercito, come sono soliti fare, secondo i quali “era intenzione dei tre [ragazzi] realizzare un attentato terroristico nel prossimo futuro” – sì, l’esercito più morale del mondo è un esercito che riesce persino a prevedere le intenzioni– sembra discutibile che questi ragazzi meritassero la morte.
Nonostante ciò l’esercito israeliano ha ammazzato Muataz Washaha, che aveva rifiutato di arrendersi, sostenendo che avesse un fucile- un assassinio con un’ispezione superficiale senza alcuna giustificazione e Israele si è bevuta questa storia con uno sbadiglio. Questo è il modo in cui agisce l’esercito più morale del mondo, e come crede di dover agire. Non c’è altro modo per arrestare un giovane [palestinese] che ammazzarlo con un missile anti-carro e poi distruggere la casa della sua famiglia.
Fortunatamente, esattamente lo stesso giorno, è stata resa pubblica un’opinione molto autorevole sulla reale moralità dell’esercito israeliano: Amnesty International ha pubblicato un rapporto, denominato “Trigger Happy” [Grilletto facile], in cui viene dimostrato l’evidente disprezzo dei soldati dell’IDF per la vita palestinese manifestato con l’uccisione di dozzine di cittadini palestinesi, bambini compresi.
Secondo l’organizzazione si tratterebbe di omicidi intenzionali, eventualmente considerabili come crimini di guerra.
Ovviamente quest’opinione non è riuscita a spezzare l’entusiastica convinzione dei cittadini israeliani circa l’indiscussa moralità del loro esercito. “Vai in Siria” è una risposta frequente. Il ministro degli esteri e l’esercito hanno spiegato che Amnesty International soffre di: “una totale mancanza di comprensione delle sfide sul terreno d’azione.”
E in verità, che cosa ha capito Amnesty? Alla fine della scorsa settimana, il regime militare che governa in Myanmar (Birmania) ha vietato per ragioni analoghe le attività dell’organizzazione Medici Senza Frontiere sul proprio territorio. Se potesse, anche Israele impedirebbe il lavoro di Amnesty e di gruppi simili.
Ma un cittadino rispettabile non ha bisogno di Amnesty International per sapere. Solo due giorni fa, l’esercito israeliano ha ucciso una donna sul confine con Gaza a Khan Younis, dopo aver messo in pratica un altro protocollo contro di lei – “Il Protocollo per tenere lontano”. L’uccisione di manifestanti vicino alla recinzione che strangola la Striscia di Gaza ” è di routine – cosa c’è da segnalare? E’ esattamente come sparare sui pescatori.
Anche in Cisgiordania sparano e uccidono i manifestanti, quelli che tirano pietre, bambini e giovani.
E’ così che è stato ammazzato a Jalazun il bambino Wajih al-Ramahi circa due mesi fa. Due settimane fa, B’Tselem – Il centro di informazione israeliano per i diritti umani nei Territori Occupati- ha pubblicato le sue conclusioni riguardo l’autopsia: Ramahi è stato colpito alla schiena, da una distanza di 200 metri.
Questo è stato anche il destino del giovane di Budrus Samir Awad, e di dozzine di altri morti che non rappresentavano un pericolo per la vita di nessuno e che sono stati colpiti a morte da un dito sul grilletto spaventosamente facile, morendo senza alcuna ragione. Nena News.
(Traduzione di Alberto Fierro e Carlo Tagliacozzo)