by Federico Dezzani
Si deteriora, giorno dopo giorno, il quadro generale in Europa: senza la morfina iniettata dalla Banca Centrale Europea, i mercati finanziari sarebbero in preda a convulsioni peggiori del 2012. L’amministrazione Trump si è saldata con le forze e populiste europee e, sebbene da Washington siano piovuti duri attacchi contro la Germania ed i suoi saldi commerciali record, persino i nazionalisti tedeschi, i falchi della CDU-CSU, viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda della Casa Bianca. In questo nuovo contesto solo due superstiti del vecchio establishment liberal, Angela Merkel e Mario Draghi, oppongono ancora resistenza al processo di euro-dissoluzione. Difficilmente riusciranno però a salvarsi dalla manovra a tenaglia messa in campo dalla Casa Bianca e dal “gruppo di Coblenza”.
Coblenza all’attacco, con la benedizione di Donald Trump
Le tensioni dentro l’eurozona hanno raggiunto il livello di guardia: il mercato europeo dei capitali è congelato, il denaro in fuga verso “l’area marco”, il settore bancario dell’Europa meridionale vacilla, le finanze pubbliche in evidente stress, le agenzie di rating declassano senza sosta i titoli di Stato. Molti investitori scommettono ormai sull’implosione della moneta unica. La cancelliera Angela Merkel, il proconsole europeo dell’oligarchia finanziaria, annuncia una contromossa, il colpo d’ala per uscire dal pantano in cui sta sprofondando l’euro: l’Europa a due velocità, ossia un nocciolo di Paesi che procede con l’integrazione fiscale e politica. Tesoro unico, bilancio comune, dissoluzione dei Parlamenti nazionali in un’entità sovranazionale: dopotutto l’euro, un banale regime a cambi fissi calato su un’area monetaria non ottimale, non è stato studiato proprio per questo obiettivo? Strappare i massonici Stati Uniti d’Europa con una lancinante crisi economia e finanziaria?
Titola il Financial Times: “Merkel insists on two-speed Europe” 1:
“We need more Europe. We don’t only need monetary union, we also need a so-called fiscal union. And most of all we need a political union – which means we need to gradually cede powers to Europe and give Europe control.”
L’unione monetaria non basta, dice la cancelliera: per uscire dalle sabbie mobili della crisi finanziaria, servono l’unione fiscale e politica. Bisogna, in sostanza, cedere più sovranità all’Europa. È musica per le orecchie del milieu finanziario-politico che ha scommesso tutto sulla federazione del Continente: alla Cancelliera Federale, gongolano soddisfatti, siede una preziosa alleata che segue con cura il copione. Sono gli stessi che si affrettano a firmare il Manifesto per gli Stati Uniti d’Europa promosso dal Sole 24 Ore 2: Romano Prodi, Antonio Tajani, George Osborne, Jacques Delors, Joschka Fischer, etc. etc.
Bene, ma siamo nel febbraio 2017?
No, il quadro appena descritto, compreso l’articolo del Financial, risale al giugno 2012: quasi cinque anni fa, cinque anni in cui Mario Draghi ha pronunciato il suo “whatever it takes”, i Btp hanno subito una raffica di declassamenti, le sofferenze bancarie in Italia sono esplose, la Grecia è stato ad un passo dall’abbandonare l’euro, la presidenza Hollande è nata ed è morta, l’eurozona è sprofondata nella deflazione, la BCE ha varato l’allentamento quantitativo attirandosi le ire di Berlino ed i “populismi” sono cresciuti fino a conquistare percentuali maggioritarie dell’elettorato. Parlare nuovamente di “Europa a due velocità”, corrobora la tesi di Karl Marx che la storia si ripeta sempre due volte: la prima in tragedia e la seconda in farsa.
Ridicola è anche la reazione di quegli stessi personaggi che cinque anni anni fa firmarono il manifesto del Sole 24 Ore (a sua volta travolto dal dissesto finanziario a dalle inchieste per falso in bilancio), terrorizzati dall’idea di essere risucchiati dal cesso della storia insieme alla moneta unica ed ai palazzi di Bruxelles. Intervistato dalla Repubblica, Romano Prodi ha così commentato l’ennesima proposta di “un’Europa a due velocità” avanzata dalla Merkel 3:
“Trump e Le Pen sono i due volti dello stesso pericolo: non capisco come mai non si siano ancora sposati. E finora non era arrivata nessuna reazione. Questa è la risposta che aspettavo, anche se avrei preferito che nascesse da un più ampio dibattito politico. Finalmente la Germania sembra cominciare ad assumersi quel ruolo di leadership che non aveva mai voluto esercitare. Va bene così”.
Ma davvero qualcuno crede ancora che un manipolo di Paesi volenterosi decida nel 2017, dopo quasi sette anni di eurocrisi, di fondersi in una federazione? Probabilmente non ci crede neppure Romano Prodi, considerato che altri illustri tecnocrati illuminati hanno già gettato la spugna nel corso del 2016: “Juncker: Basta parlare di Stati Uniti d’Europa, la gente non li vuole” 4, “EU chief Tusk slams utopian illusions of united Europe”. 5
L’eurozona è oggi dilaniata dalle forze centrifughe e se sui mercati regna un relativa calma è solo grazie alla morfina iniettata da Mario Draghi, al ritmo di 80 €mld al mese: è un oppiaceo, che lenisce il dolore ma non risolve le cause della malattia. Considerato che l’allentamento quantitativo è stato prorogato per tutto il 2017, è ormai evidente che la moneta unica non cadrà sotto i colpi degli assalti speculativi, ma sotto quelli della politica. Anzi, ad essere più precisi, cadrà vittima di una precisa strategia politica: una manovra a tenaglia, progettata dall’amministrazione Trump e dalle forze nazionaliste europee per liquidare i superstiti dell’establishment liberal e, con loro, l’Unione Europea e la moneta unica.
È nata infatti una tacita, ma ben visibile, alleanza delle forze “populiste” americane ed europee contro l’élite finanziaria mondialista: non sbaglia Romano Prodi quando definisce Trump e Le Pen come “due volti dello stesso pericolo”, perché rappresentano effettivamente una declinazione della stessa corrente politica, quella dei movimenti nazionali che insorgono contro l’oligarchia liberal e le sue istituzioni: le Nazioni Unite (vedi i tagli ai finanziamenti operati da Trump), le agenzie sovranazionali che predicano il cambiamento climatico, la Chiesa di Jorge Mario Bergoglio, i paladini dell’immigrazione indiscriminata, la NATO, l’Unione Europea e la sua colonna portante, la moneta unica.
Il neo-presidente non può certo presentare una formale dichiarazione di guerra alle istituzioni di Bruxelles, ma tutte le azioni sinora intraprese vanno il quel senso: il duro attacco sferrato dall’amministrazione Trump contro la Germania, accusata di macinare esportazioni record ai danni degli altri membri dell’eurozona e degli USA stessi, sfruttando l’euro debole, equivale a mettere nel mirino le due figure chiave dell’impalcatura europea, la cancelliera Angela Merkel ed il governatore della BCE Mario Draghi, senza le quali l’euro si sarebbe già dissolto da almeno due anni. L’una, infatti, è stata la garante politica dell’integrità dell’eurozona, respingendo a suo tempo l’ipotesi di una Grexit caldeggiata dai falchi tedeschi, l’altro ha invece “sedato” l’eurocrisi iniettando massicce dosi di liquidità e svalutando l’euro, attraverso quell’allentamento quantitativo osteggiato sempre dai falchi tedeschi.
Si noti come i “duri” tedeschi, capeggiati da Wolfgang Schaeuble, siano in perfetta sintonia con la retorica di Trump (“Germania, Schaeuble torna all’attacco contro la Bce di Draghi: Cambiare politica ultraespansionistica” 6), perché entrambi lavorano, neppure troppo velatamente, per lo smantellamento dell’eurozona per come è configurata oggi. Schaeuble viaggia sulla stessa lunghezza d’onda dell’amministrazione Trump anche su altro dossier che sta tornando alla ribalta in questi giorni, il salvataggio della Grecia: i falchi tedeschi, sempre in opposizione ad Angela Merkel, si oppongono a qualsiasi riduzione del debito pubblico greco, invitando la Grecia ad abbondare l’euro per alleviare il fardello del debito (“Schaeuble Rules Out Greek Debt Cut as Violation of EU Rules” 7) e si pongono così sulle stesse posizioni dell’amministrazione Trump. Il probabile, futuro, ambasciatore americano degli Stati Uniti presso la UE, “l’euroscettico” Ted Malloch, si è infatti anch’esso espresso a favore di un’uscita di Atene dalla moneta unica (“Ted Malloch: Greece would be better off outside the eurozone” 8), definendo come un inutile e doloroso spreco di tempo il tentativo di evitare la Grexit.
Ad un’analisi più approfondita, la politica europea dell’amministrazione Trump non è quindi un “attacco alla Germania”, ma l’ennesima prova di un’alleanza tra la Casa Bianca e le forze nazionaliste (compresi i falchi della CDU-CSU) contro gli ultimi esponenti superstiti dell’establishment liberal, caduti i quali si spianerebbe la strada alla dissoluzione della moneta unica e dell’Unione Europea.
Il fulmineo e misterioso vertice svoltosi alla cancelliera di Berlino il 9 febbraio tra Angela Merkel e Mario Draghi, vertice nel quale i due avrebbero discusso “sul futuro dell’Europa”, 9 è il disperato tentativo di coordinamento tra due sopravvissuti, che studiano come coprirsi le spalle a vicenda di fronte all’attacco concentrico: nazionalisti tedeschi, populismi europei ed amministrazione Trump. Il titolo de la Stampa è più azzeccato che mai: “Vertice in cerca di alleanza tra Merkel e Draghi”. Al termine dell’incontro, la cancelliera ha dovuto addirittura rimangiarsi l’ipotesi dell’Europa a due velocità lanciata appena pochi giorni prima: già, perché procedere verso la creazione di nocciolo di Paesi federati, presuppone almeno due o più volontari. Ma chi potrebbe seguire la cancelliera Merkel nel febbraio del 2017 in quest’impresa?
Certamente nessuno di quei Paesi che si avvicinano alle elezioni, promettendo ottimi risultati al “gruppo di Coblenza”: ci riferiamo a quei movimenti nazionalisti che il 21 gennaio, all’indomani dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, si sono ritrovati nella città tedesca per lanciare la loro sfida congiunta all’Unione Europea (gli amanti dei retroscena ricordino che Coblenza fu la base dei monarchici francesi dopo la Rivoluzione del 1789, rivoluzione coordinata da quegli Illuminati che avevano la propria base a Francoforte…). Al vertice delle forze populiste hanno presenziato Matteo Salvini, Frauke Petry, Geert Wilders e Marine Le Pen.
Con quale Paese la cancelliera Angela Merkel potrebbe quindi procedere verso la creazione di una federazione europea? Con la “germanica” Olanda? Molto difficilmente, considerato che il populista Partito della Libertà è dato in testa ai sondaggi ed ha promesso di indire un referendum sulla permanenza nell’Unione Europea. Oppure con l’altra metà del “motore franco-tedesco”, quella Francia dopo il Front National è il primo partito e la “populista” Marine Le Pen avrà gioco facile a sconfiggere al ballottaggio il candidato della banca Rothschild, Emmanuel Macron?
Ci sono pochi dubbi sulla dinamica dell’eurozona all’indomani della vittoria di Marine Le Pen, tanto che il suo consulente economico, Bernard Monot, ha già svelato il piano da attuare nelle ore successive al voto del 7 maggio 10:
- immediata convocazione di un vertice europeo d’emergenza;
- sostituzione dell’euro con un paniere di valute, paragonabile al vecchio ECU;
- libera fluttuazione del “nuovo franco” fino ad massimo del 20% rispetto al paniere;
- ridenominazione del debito pubblico in franchi;
- abolizione della legge del 1973 per riportare la Banca di Francia sotto il controllo del Parlamento e successiva politica monetaria espansiva per stimolare l’economia.
Intervistato dalla BBC, il sullodato Ted Malloch (il cui solo nome ha scatenato la reazione isterica delle istituzioni europee quando la Casa Bianca ha ventilato di nominarlo ambasciatore presso la UE) ha asserito che l’euro potrebbe implodere nei prossimi 18 mesi 11.
Previsione più che realistica, considerata la manovra a tenaglia (“siamo di fronte ad un doppio attacco coordinato: dall’estero e dall’interno” ha detto Romano Prodi) studiata dall’amministrazione Trump e dal “gruppo di Coblenza” per liquidare gli ultimi due bastioni dell’establishment liberal in Europa: l’Unione Europea ed il suo corrispettivo militare, la NATO. Gli stessi centri di potere, per inciso, che avrebbero preferito la vittoria di Hillary Clinton e la conseguente escalation militare con la Russia, pur di sopravvivere.
Gli ultimi due superstiti dell’oligarchia atlantica, Mario Draghi ed Angela Merkel, serrano i ranghi, giurandosi reciproca fedeltà in vista dell’assalto finale: chiusa la tenaglia, non ne rimarrà in piedi nessuno.