Foto: Monrovia (Liberia) un infermiere indossa indumenti protettivi contro l’ebola
In un articolo di qualche anno fa (“Locusta, la mutazione genetica del capitalismo”) avevamo scritto cosa avevano intenzione di pianificare i capitalisti a scapito della popolazione mondiale.
Infatti denunciavamo che:
“Ma i capitalisti sono coloro che hanno costruito e foraggiato le finalità e gli obiettivi criminali delle peggiori dittature, raggiungendo con il nazismo il punto più alto di quella morale perversa che fa dell’interesse egoistico il motore della storia.
E in perfetta sintonia con l’interesse egoistico ecco che la “scienza” arriva loro in soccorso: a porte chiuse, dopo aver allontanato giornalisti e cameramen, il professor Eric R. Pianka, biologo dell’Università di Austin durante il meeting del marzo 2006 che si è tenuto alla Texas Academy of Science, ha affermato che il problema più grande, la madre di tutti i problemi, è il mix di sovrappopolazione e carburanti fossili che stanno finendo. Quindi l’unica soluzione che si prospetta, per Pianka, è ridurre la popolazione mondiale di almeno un terzo e quanto prima perché l’uomo non deve più avere un posto privilegiato nel mondo. “Non siamo meglio dei batteri” ha affermato in modo categorico ed ha proseguito dicendo che ormai né la fame né la guerra sono efficienti allo scopo dunque, “dobbiamo sterilizzare ognuno sul pianeta, se no, gli incoscienti erediteranno la Terra”. Si è poi augurato lo scoppio di qualche pandemia che realizzasse il suo obiettivo.
Il pensiero di Pianka non è un ragionamento isolato fatto dal solito scienziato pazzo: è quello che il sistema distribuisce ogni giorno, è il prodotto del rapporto perverso che c’è tra gli uomini, determinato dai rapporti di proprietà e che si riflette nel pensiero scientifico. La scienza non è più al servizio di tutti gli uomini ma si dimostra strumento parziale e funzionale solo agli interessi dei più forti. E in questo senso vanno le riforme proposte nei settori universitari e scientifici.”
E, infatti, eccoci alla realizzazione pratica di ciò…
MOWA
ESCLUSIVO. Gli scienziati Usa l’hanno potenziato. E reso trasmissibile per via aerea. Per studiarne effetti e cura. Ma forse qualcosa è andato storto.
di Marco Mostallino
Sarà solo un tragico caso, ma l’esplosione dell’epidemia di Ebola coincide con una serie di ricerche militari in atto negli Stati Uniti, in Canada e in Russia, dirette a potenziare il virus per studiare il modo migliore per combatterlo.
I dettagli tecnici sono top secret. Ma, nei laboratori, Ebola è stato quasi certamente reso trasmissibile per via aerea e più resistente alle cure, in modo da mettere a punto i farmaci più idonei a contrastarne gli effetti. E il terribile sospetto è che la sua recente devastante diffusione sia in qualche modo dovuta a una falla nei sistemi di sicurezza di questi laboratori ad alto rischio.
UN TERRIBILE SOSPETTO. Il virus, negli ultimi mesi, ha infettato in Africa occidentale circa 8 mila persone, provocando il decesso di oltre 3.800 pazienti, con un tasso di mortalità che supera il 46% dei malati.
Il sospetto che siamo alle prese con un super-Ebola creato dai ricercatori e molto più potente dell’originale, è suffragato dal confronto con il totale di circa 2.500 persone uccise dal virus fino all’anno scorso dal 1976, anno della sua scoperta.
TRE PRECEDENTI. Tra l’altro, l’ipotesi che la strage in corso possa essere cominciata a causa della malaugurata fuga del virus dai laboratori non viene esclusa dagli scienziati statunitensi, visto che questo tipo di incidente è già avvenuto in passato in almeno tre casi: nel 1976 in Inghilterra e nel 2004 negli Usa (con due ricercatori contagiati e poi guariti) e, sempre nel 2004, in Russia, quando uno scienziato perse la vita dopo essere stato infettato.
Un documento testimonia la ricerca troppo pericolosa
La prova che gli Stati Uniti hanno da tempo in corso studi, coordinati dal Dipartimento della Difesa, diretti a esplorare tutte le possibilità evolutive della malattia, e in qualche modo ad anticiparle attraverso la coltura di un super-virus, si trova in un documento del Us Department of health (il ministero della Salute americano), redatto e diffuso dalla divisione di Public health emergency, l’ufficio incaricato di affrontare le emergenze sanitarie.
IL PROTOCOLLO DI SICUREZZA. Il documento si intitola «United States government policy for institutional oversight of life sciences dual use research of concern». Si tratta di un protocollo di sicurezza dall’applicazione obbligatoria per tutte quelle istituzioni sanitarie (pubbliche e private) impegnate nella cosiddetta dual research, ovvero la ricerca definita «a doppio taglio» perché, spiega il Dipartimento della Salute Usa, può generare risultati «benefici o estremamente dannosi», secondo l’utilizzo che se ne fa e la maniera di maneggiare le fonti di un possibile contagio.
LA PAURA DEL BIO TERRORISMO. La ragione di queste prassi da apprendisti stregoni, e di tutte le misure di sicurezza che le accompagnano, risiede nel timore degli Stati Uniti, nato dopo l’11 settembre 2001, di subire attacchi batteriologici a opera di gruppi terroristici appoggiati da scienziati senza scrupoli.
Dunque, per anticipare eventuali epidemie, gli Usa (ma non solo) hanno l’abitudine da anni di potenziare le capacità di contagio e la resistenza dei virus più pericolosi, in modo da essere pronti a fronteggiare anche le peggiori emergenze.
Così si rinforzano l’Ebola, l’aviaria, la peste e l’antrace
Al capitolo 6.2.1 del documento del Dipartimento della Salute statunitense si trova l’elenco degli «agenti e delle tossine» sulle quali la ricerca in corso è considerata «a doppio taglio» a causa dei rischi enormi che essa comporta.
Tra le malattie indicate, al punto F si trova l’Ebola, affiancato da altri virus estremamente pericolosi quali l’antrace, il botulino, la peste, l’influenza aviaria e l’afta epizootica, un morbo che colpisce gli animali e che, negli anni passati, ha devastato migliaia di allevamenti in Europa, provocando ingenti danni all’economia di numerosi Paesi, con in testa la Gran Bretagna.
SETTE ESPERIMENTI MORTALI. Il documento del governo statunitense (capitolo 6.2.2) indica tutti i tipi di ricerche alle quali i protocolli di massima sicurezza devono essere applicati. La lista degli esperimenti ad altissimo rischio svolti nei laboratori americani parla da sola e va letta con estrema attenzione. Citiamo testualmente.
«A) Accrescimento degli effetti dannosi dell’agente (patogeno, ndr) o della tossina.
B) Distruzione dell’immunità o dell’efficacia dell’immunizzazione contro un agente o una tossina senza una giustificazione clinica e/o agricola (per le malattie del bestiame, ndr).
C) Conferimento all’agente o alla tossina di una resistenza alle efficaci profilassi cliniche e/o agricole o agli interventi terapeutici contro l’agente o la tossina stessi, o facilitazione della loro capacità di sfuggire alle attuali metodologie di individuazione (del contagio, ndr).
D) Potenziamento della stabilità, della trasmissibilità o dello spargimento dell’agente patogeno o della tossina.
E) Modificazione dell’ambiente che ospita l’agente o la tossina o delle sue forme.
F) Potenziamento della sensibilità di una popolazione all’agente o alla tossina (in sostanza, l’abbattimento delle difese umane naturali contro la malattia, ndr).
G) Generazione o ricostituzione di un agente patogeno o di una tossina ormai eradicata tra quelle della lista al punto precedente», ovvero l’elenco di malattie considerate ad altissimo rischio, tra le quali il governo Usa indica appunto anche l’Ebola.
È un elenco terribile, che non ha bisogno di commenti. Ma l’ultima prassi contenuta nel punto G, cioè la resurrezione in provetta di un morbo da tempo scomparso ma il cui virus è conservato nei laboratori, è considerata forse la più letale, perché il corpo umano ha ormai perduto le capacità di combattere un virus che non si presenta più da molti anni.
Sorpresa, in laboratorio Ebola è diventato trasmissibile per via aerea
Lo stato attuale della scienza considera il virus dell’Ebola trasmissibile soltanto tramite contatto fisico con un paziente o un animale infetto, ma non per via aerea. Eppure sono almeno due i laboratori nordamericani nei quali è provato che si sia cercato di potenziare la malattia, rendendo il contagio possibile senza contatto fisico.
Si tratta di un’altra prova che per motivi sanitari è stato messo in atto il tentativo di trasformare l’Ebola in un super-virus, capace di diffondersi con estrema facilità.
DUE CENTRI RICERCHE IN USA E CANADA. Il primo laboratorio, come spiega un recentissimo articolo pubblicato dal Canadian medical association journal (Cmaj), è il centro studi Upmc Center for health security di Baltimora, dove gli Stati Uniti studiano i virus e le tossine che, secondo il Dipartimento della Difesa Usa, potrebbero essere utilizzati da gruppi senza scrupoli per attacchi di ‘bioterrorismo’.
L’altro laboratorio si trova in Canada, a Winnipeg, ed è il National microbiology laboratory, nel quale, secondo la rivista dell’associazione nazionale dei medici canadesi, nel 2012 venne fatta una «intrigante scoperta».
DAI MAIALI AI MACACHI SENZA CONTATTO. «Quando alcuni maiali furono infettati con il virus dell’Ebola», spiega il giornale ufficiale della Cmaj, «e messi in una stanza assieme ad alcuni macachi, le scimmie si infettarono anche senza entrare in contatto fisico col sangue, le lacrime, il sudore o altri vettori non trasmissibili per via aerea, fino a quel momento considerati necessari per la diffusione della malattia».
Si tratta proprio del tipo di ricerca più pericoloso, quell’arma «a doppio taglio» per la quale il Dipartimento della Salute degli Stati Uniti impone i rigidissimi protocolli di sicurezza del documento sopra illustrato.
Alla base del dramma c’è la Guerra fredda batteriologica
Questa ricerca esasperata per essere pronti ad affrontare un eventuale super-virus, portata all’estremo al punto di sviluppare il super-virus stesso per poterlo in futuro contrastare, nasce dal timore del bioterrorismo ma anche dalla storica sfiducia reciproca che contrappone gli Stati Uniti e la Russia.
Entrambi i colossi mondiali, infatti, studiano e potenziano l’Ebola, con l’obiettivo di essere pronti a un eventuale conflitto scatenato dal nemico attraverso il contagio.
Insomma, è in atto una sorta di Guerra fredda batteriologica che viene combattuta nei laboratori pubblici e privati, controllati e finanziati dai governi di Washington e Mosca.
79 MILIARDI DI DOLLARI SPESI DAGLI USA. Dal 2001 a oggi, ovvero dopo il panico scatenato dagli attentati dell’11 settembre, sempre secondo la rivista dei medici canadesi, gli Stati Uniti hanno speso 79 miliardi di dollari nei programmi di difesa nazionale contro gli attacchi batteriologici. Di questi, ben 26 miliardi sono stati investiti nella specifica ricerca sul potenziamento e il contrasto delle malattie infettive.
L’idea di fondo è dunque quella di creare il super-virus, così da poterlo combattere, prima che sia il nemico a realizzarlo e a utilizzarlo in una azione terroristica o di guerra tra Stati.
La pandemia provocata dall’uomo è diventata realtà
Martin Furmanski è un medico statunitense, specializzato in storia della medicina e nella ricerca sulle armi biologiche e batteriologiche. In un recente articolo pubblicato sulla rivista Bulletin of the atomic scientists dall’eloquente titolo «Rischio di pandemie e fuga dai laboratori: una profezia che si auto-avvera», lo scienziato spiega che «il rischio di una pandemia provocata dall’uomo e diffusa a causa di una fuga (di agenti patogeni) da un laboratorio non è ipotetico: un caso avvenne nel 1977 proprio perché si pensava che il rischio di una pandemia fosse imminente».
QUANDO LA SPAGNOLA TORNÒ IN CINA. Il dottor Furmanski spiega che si trattava della «influenza umana H1N1», ovvero di una ripresa della terribile epidemia di influenza detta «Spagnola» che nel 1918 uccise milioni di persone in tutta Europa.
«Il caso più famoso di ritorno del contagio della influenza da H1N1-A fu il riemergere della malattia nel maggio del 1977 in Cina e poco tempo dopo in Unione Sovietica» per poi diffondersi nel resto del mondo, soprattutto tra la popolazione giovane, al di sotto dei 20 anni.
Racconta ancora lo scienziato nel suo articolo: «Una serie di test genetici suggerirono sulle prime che potesse trattarsi di un virus fuggito dai laboratori nel 1949-50» e, anni dopo, «alcune tecniche avanzate di ricerca genetica confermarono l’ipotesi».
IL VAIOLO RIAPPARVE IN GRAN BRETAGNA. Furmanski e numerosi virologi che studiarono il caso, oggi sostengono che «ironicamente» l’epidemia fu provocata dalla fuga del virus da un laboratorio americano nel quale si cercava un vaccino per prepararsi a fronteggiare un contagio globale che ancora non c’era e che fu generato proprio dal tentativo di evitarlo.
L’influenza H1N1 non è il solo caso di epidemia scatenata dagli apprendisti stregoni: lo scienziato cita, tra gli altri, gli 80 casi di vaiolo riscontrati in Gran Bretagna tra il 1963 e il 1978 a causa di tre differenti fughe del virus da altrettanti laboratori nei quali veniva studiato e rafforzato.
SUPER-EBOLA FA STRAGE IN AFRICA. Furmanski e altri scienziati ritengono oggi che «se un agente patogeno riappare dopo anni o decenni di assenza, si può ritenere che sia fuggito da un laboratorio nel quale era stato conservato inerte per anni».
Come abbiamo visto il sospetto è giustificato dal fatto che la nuova epidemia di Ebola in pochi mesi ha provocato, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, la morte di oltre 3.800 persone, contro circa 2.500 vittime del virus dal 1976. Si tratta di una vera e propria esplosione che dà adito a molte ipotesi differenti, tra le quali ve ne sono anche di esagerate e complottiste.
Ma che la costruzione di un super-virus dell’Ebola fosse in corso al momento della ricomparsa della malattia, praticamente sparita da anni, è un dato assodato e ammesso dagli stessi laboratori nordamericani, oltre che dal protocollo di sicurezza del Dipartimento statunitense della Salute il quale mette in guarda contro gli enormi rischi della «dual research», la ricerca a doppio taglio.
13 Ottobre 2014