La Corte d’appello di Mansoura in Egitto ha respinto il ricorso contro la custodia cautelare di 15 giorni imposta a Patrick George Zaki, lo studente dell’Università di Bologna arrestato il 7 febbraio scorso all’aeroporto del Cairo. Il 22 è prevista una nuova udienza.
Il rigetto del ricorso sulla sentenza di carcerazione di Patrick conferma i timori delle organizzazioni per i diritti umani, da Egyptian Initiative for Personal Rights, la ong per la quale Zaki lavorava, a Amnesty International, riguardo alle intenzioni delle autorità egiziane di punire il giovane attivista impegnato nella difesa dei diritti degli oppressi ed emarginati nel suo Paese.
Intanto la mobilitazione sia in Egitto che in Italia si intensifica.
La consapevolezza che si debba continuare a monitorare con attenzione la vicenda attraverso organismi internazionali, come si sta già facendo, è chiara a tutti. Attivisti, giornalisti e istituzioni.
L’unica possibilità che i diritti di Zaki siano garantiti e che l’attenzione resti alta affinché il procedimento giudiziario a suo carico sia il più trasparente possibile.
Dopo l’uccisione di Giulio Regeni quattro anni fa a Il Cairo, è doveroso che l’impegno a livello internazionale sia forte e determinato. Solo in questo modo si può sperare in una soluzione positiva del caso.
Per questo sentiamo il bisogno, oltre che di raccontare la vicenda di Zaki e di tutte le altre vittime della repressione più vasta da quando il presidente Abdle Fattah al Sisi è al potere, di sostenere e rilanciare l’appello di Amnesty al Governo italiano a fare tutto il possibile e continuare l’azione di pressione sulle autorità egiziane affinché lo studente iscritto all’Alma Mater di Bologna sia liberato al più presto.
L’iniziativa istituzionale e quella dell’opinione pubblica devono
sostenersi a vicenda. Fondamentale è proseguire la mobilitazione per chiedere la sua liberazione e la garanzia della sua incolumità.
Zaki è accusato di diffusione di notizie false, incitazione alle proteste, uso dei social media per danneggiare la sicurezza nazionale, propaganda per i gruppi terroristici e uso della violenza le imputazioni che gli sono state rivolte in base a un’inchiesta partita il 23 settembre.
L’accusa più grave, quella di azione via social per il ‘rovesciamento dello Stato’, prevede il carcere a vita.
Patrick è accusato anche di gestire una pagina Facebook contro il regime.
Secondo il suo avvocato Huda Nasrallah, che oggi ha potuto vederlo per alcuni minuti quando è stato portato in tribunale a Mansoura per l’udienza sulla richiesta di scarcerazione, poi respinta, Patrick stava “abbastanza bene e sperava di essere liberato”.
In aula l’attivista egiziano ha raccontato di essere stato fermato all’aeroporto internazionale del Cairo, interrogato per almeno sei ore e poi trasferito in una struttura di sicurezza dove lo hanno picchiato e torturato con scosse elettriche.
L’Egyptian Initiative for Personal Rights, i cui rappresentanti erano in tribunale a seguire l’udienza, ha nuovamente chiesto l’immediato rilascio di Patrick senza incriminazioni e l’avvio di indagini sulle torture e i maltrattamenti subiti dal giovane. L’organizzazione, per cui Zaki ha lavorato come ricercatore fino a quando è andato a Bologna per proseguire gli studi, sottolinea che la richiesta di rilascio è basata sull’irregolarità procedurale del suo arresto e della sua detenzione.
Da quando è stato fermato all’aeroporto della capitale il 7 febbraio Zaki è detenuto illegalmente in una struttura della sicurezza nazionale.
Per poter essere certi delle condizioni di detenzione sarebbe opportuno che le autorità italiane, che sono investite del caso in quanto lo studente era ospitato nel nostro Paese, chiedessero all’Egitto di poterlo visitare in carcere.
Come sottolineano Cild e Antigone, organizzazioni che si occupano dei diritti delle persone detenute, l’Egitto se non ha nulla da nascondere non dovrebbe temere la visita di una delegazione composta da un rappresentante del ministero degli Esteri ed esponenti della società civile italiana ed internazionale.
È dovere morale del nostro Paese proteggere Patrick Zaki che aveva scelto l’Italia per perfezionare la sua formazione culturale e scientifica. Lo dobbiamo a tutti quelli che vengono l’Italia per studiare in serenità. La libertà di opinione e dissenso va sempre assicurata.
Per questo lunedì prossimo è dovere di tutti noi partecipare al corteo organizzato a Bologna, con partenza dal rettorato, per chiedere il rilascio del ricercatore egiziano.
Da Bologna arriverà ancora più forte la richiesta del rispetto dei diritti umani e di libertà per Patrick.
Intanto chi volesse sostenere l’appello per la sua liberazione può farlo firmando l’appello di Amnesty International.
15 Febbraio 2020