di Alessandra Borella
Report manda in onda un’inchiesta su Eni. Eni risponde su Twitter con un “contro-dossier” (ovvero qualche slide e un comunicato stampa vecchiotto, visto che a fine puntata la Gabanelli, che non è in diretta, lo mostra dicendo “Eni ci scrive”). Per Eni si intendono i cinguettii del suo novello capo della comunicazione: Marco Bardazzi, ex caporedattore centrale e web della Stampa. Non più un giornalista, ora che cura gli interessi del colosso petrolifero, anche se l’Ordine permette ai “capi comunicazione” di mantenere il titolo (e tutto il resto). Un coupe de theatre, che solo un bravo giornalista avvezzo ai nuovi media poteva pensare. Per non sbagliare poi, Bardazzi twitta il messaggio più volte. A martello pneumatico al limite dello stalking. Il problema è che ogni link riporta alle stesse quattro slide e allo stesso, scarno, comunicato sul sito.
Esplodono i commenti: Ma quanto è bravo Marco Bardazzi. Certo, che gran colpo di marketing. Per la prima volta un’azienda risponde con una comunicazione “corporate” sui social. Twitter e la crossmedialità. Tv e schermo “altro” che dialogano e profusioni teoriche sulla sociologia dei media. Seguono titoli di giornale. Sulla stessa cosa. Ma nessuno che si chieda dove sono finiti gli 800 milioni di dollari che mancano all’appello, pagati al governo nigeriano, e che sono spariti, dopo essere rimbalzati sui conti che fanno capo a diverse società fantasma, come Report ha documentato in loco.
Nemmeno il premier si fa questa domanda. Anzi manifesta il suo endorsement a Bardazzi: “Domenica scorsa Report ha messo in piedi una trasmissione contro Eni, su Rai Tre. Eni ha risposto sui social in diretta, dimostrando che molte delle affermazioni fatte dai giornalisti trovavano su Twitter e su Facebook una risposta puntuale e argomentata. È una novità nel dibattito di comunicazione in Italia”.
I fatti, però, non cambiano: Scaroni non ha accettato l’intervista, l’azienda ha declinato quella televisiva e le risposte date per iscritto (non certo un contraddittorio) sono state citate (per quanto possibile in un servizio di inchiesta televisiva di tale complessità). Perché, certo, l’inchiesta di Luca Chianca mette a dura prova anche lo spettatore più agguerrito. Intrecci finanziari e trasferimenti oscuri di denaro, banche di investimento e diplomatici reticenti. Difficile districarsi tra le informazioni (verificate da testimonianze e documenti), molto più facile congratularsi con i 140 caratteri e le slide di Eni. Non dimentichiamoci però chi gioca la parte del Golia qui. E che non è Report.
Inoltre, come hanno scritto Dagospia e L’Espresso (mentre gli altri media si occupavano di “sociologia della comunicazione via Twitter” facendo diventare il medium, ahinoi, il messaggio) il 15 dicembre a Londra il Tribunale ha confermato il sequestro di 85 milioni di dollari, chiesto dalla procura di Milano. E altri 110 milioni di dollari erano già stati congelati in un conto svizzero. Sono parte del miliardo di dollari pagato dai giganti Shell e Eni al governo nigeriano e depositato su un conto della JP Morgan di Londra. Peccato che questi soldi (una grossa fetta, 800 milioni) siano finiti alla Malabu Oil and Gas, controllata dalla controversa figura di Daniel Etete, ex ministro del petrolio nigeriano già condannato in Francia per riciclaggio. L’affare riguarda l’acquisto della licenza OPL245 (una concessione petrolifera nei fondali marini a largo della Nigeria che era appunto stata ceduta alla Malabu).
Secondo il tribunale questi soldi sarebbero sufficienti indizi per un atto corruttivo. Quello che l’inchiesta dovrà chiarire è il ruolo degli intermediari, e se una parte dei soldi era destinata a loro: il russo Ednan Agaev e il nigeriano Zubelum Chukwuemeka Obi, detto Obi, che hanno trascinato la Malabu di Etete in giudizio a Londra e New York. Lady Justice Elizabeth Gloster della Alta Corte di Giustizia (High Court of Justice Queen’s Bench Division Commercial Court) ritiene “che sia un dato di fatto oggettivo che Chief Etete abbia sempre avuto un interesse sostanziale in Malabu”. Qui il documento originale della causa in corso, pubblicato anche dal Fatto Quotidiano.
Eni dichiara di essere estranea e di aver trattato e pagato legalmente solo al governo nigeriano. Che ci fa poi con i soldi il governo “prestanome” non è affar nostro. Questo è il succo. Ma bravo Bardazzi che twitta in diretta. Peccato che nel tweet mancasse una slide, di altro genere, come questa che troviamo sul Times. In Italia se ne è occupata Report, ma anche all’estero a qualcuno interessa capire dove sono finiti i soldi e non chi twitta a chi.
18 dicembre 2015