di Carlo Musilli
Lo potremmo chiamare “Porcelet”, in francese, visto che serve a scegliere gli italiani che ci rappresentano a Bruxelles e a Strasburgo. Certo, il nickname “Porcellum” era più efficace, ma stavolta sul banco degli imputati è finita un’altra legge elettorale del nostro Paese, quella per le europee.
Sulla natura suina della norma dovrà esprimersi la Corte Costituzionale, dopo che venerdì scorso il Tribunale di Venezia ha giudicato ammissibile il ricorso presentato da Felice Besostri, avvocato milanese ed ex senatore socialista, lo stesso che aveva impugnato il beneamato “Porcellum”, poi bocciato dalla Consulta.
La legge in questione, di stampo proporzionale, è stata approvata dal Parlamento nel lontano 1979, in occasione del primo voto diretto per l’Europarlamento. Il sospetto d’incostituzionalità, tuttavia, non riguarda l’impianto generale, bensì la modifica introdotta il 20 febbraio 2009 con i voti di Pdl, Pd, Lega, Udc e Idv, che un paio di mesi prima delle scorse europee ha imposto una soglia di sbarramento al 4%.
Le barriere di questo tipo sono una passione tipica dei grandi partiti – non a caso l’Italicum, attualmente in gestazione, prevede tetti ancora più alti – e di solito i limiti imposti alla rappresentatività vengono giustificati con il superiore interesse del Paese, cui va assicurata la massima governabilità.
Nel caso del “Porcelet”, però, la scusa suona un po’ deboluccia, visto che in gioco c’è l’elezione dei parlamentari europei e la governabilità dell’Italia non c’entra più un’acca. Non sarà forse che – a 30 anni dall’adozione della legge – i partiti minori si sono inventati la storia del 4% per spartirsi tutte le poltrone senza la scomoda intrusione delle formazioni più piccole? Alla Consulta l’ardua sentenza.
Intanto, i giudici di Venezia hanno scritto che l’introduzione di una soglia “non appare sostenuta da alcuna motivazione razionale che giustifichi la limitazione della rappresentanza. Il Parlamento europeo, infatti, non ha il compito di eleggere o dare la fiducia ad alcun governo dell’Unione, al quale possa fornire stabilità di indirizzo politico e continuità di azione”.
Nemmeno Besostri ha molti dubbi: “E’ solo un problema di tempi per la decisione – sostiene -, per questo avrei preferito che il quesito fosse sottoposto alla Corte di Giustizia dell’Ue. L’esito, invece, è certo, anche per i precedenti del Tribunale Costituzionale Federale tedesco. Le norme costituzionali sul diritto di voto sono uguali nella Costituzione tedesca (articolo 38) e italiana (articolo 48) e la giurisprudenza costituzionale tedesca in materia elettorale è un riferimento anche per la Consulta, che ne ha fatto uso nella sentenza sul Porcellum”.
Il precedente citato da Besostri risale allo scorso febbraio, quando la Corte di Karlsruhe ha dichiarato incostituzionale uno sbarramento al 3% nella legge elettorale per le europee proprio perché non legato al principio di governabilità del Paese. I cittadini tedeschi, pertanto, voteranno il 25 maggio con un sistema proporzionale puro, dal momento che non esiste alcun motivo per tutelare l’Europarlamento dal cosiddetto “eccesso di rappresentanza”.
La soglia di sbarramento, insomma, sarebbe solo una violazione dei principi costituzionali dell’eguaglianza del voto di ciascun cittadino e dell’eguaglianza di opportunità dei partiti. Il discorso è diverso per le elezioni politiche: in quel caso, il sistema della Repubblica federale prevede uno sbarramento al 5% per evitare l’eccessiva frammentazione del Parlamento nazionale.
Se i nostri giudici seguiranno questa interpretazione, “gli italiani saranno più liberi di votare per le liste di gradimento – chiosa Besostri -, senza paura di sprecare il voto”. Peccato che ci siamo posti il problema a meno di 20 giorni dalle europee, pur sapendo che la Consulta impiegherà dei mesi a pronunciarsi. E dire che il Tribunale veneziano è stato perfino solerte, essendosi pronunciato per primo dopo che vari ricorsi contro la stessa legge erano stati presentati anche a Roma, Napoli, Milano, Cagliari e Trieste.
La morale della favola è presto detta: con ogni probabilità la Corte Costituzionale italiana boccerà anche il “Porcelet”, ma a quel punto avremo già votato e i parlamentari europei eletti con la legge incostituzionale rimarranno al loro posto, perché le decisioni della Consulta non hanno valore retroattivo. I parti rimasti sotto al 4% ricorreranno al Tribunale amministrativo, ma è improbabile che si arrivi a ricalcolare l’assegnazione dei seggi. In sintesi, si tratta dello stesso, identico meccanismo che ha già salvato il posto agli attuali deputati e senatori della Repubblica. Tale “Porcellum”, tale “Porcelet”.
11 Maggio 2014