di Stephanie Westbrook
Ad un anno dall’avvio del megaevento descritto come “un modello fondato su debito, cemento e precarietà”, a Milano il Comitato NoExpo lancia i No Expo Days, con il corteo del 1 maggio seguito da una tre giorni di dibattiti, proposte e azioni.
Mentre Expo 2015 rappresenta uno scempio a 360 gradi, in termini di devastazione e speculazione così come nell’appropriazione ipocrita di termini come “sviluppo sostenibile”, tuttavia uno dei paesi partecipanti si è auto-distinto. Nel video di presentazione del proprio padiglione, Israele, infatti, dà un’anteprima del livello di propaganda che ha in serbo per i visitatori.
Nominato “Fields of Tomorrow“, il padiglione di 2.400 metri quadrati, che avrà una posizione privilegiata, accanto a quello dell’Italia e all’incrocio dei due assi principali del sito, vuole presentare le “eccellenze” israeliana in agricoltura e gestione delle risorse idriche, mentre ruba acqua e terra ai palestinesi.
Israele conta su un ritorno, anche in termini di immagine, sul suo investimento di 11 milioni di euro. Alla presentazione in occasione del vertice Italia-Israele lo scorso dicembre, Elazar Cohen, commissario per il padiglione di Israele, ha esplicitato i loro obiettivi principali: mettere in mostra i rapporti con l’Italia e svilupparne altri, e “mostrare il vero carattere di Israele e non quello che di norma appare sui giornali“.
Nel video presentazione, l’attrice israeliana Moran Atias vanta di “120 anni di ricerca agricola”, trasportando gli spettatori indietro ai tempi in cui il sogno sionista era un semplice luccichio negli occhi di Theodor Herzl, il padre del sionismo, nonché di “invenzioni che hanno fatto sì che ci sia cibo sul tavolo di milioni di persone in tutto il mondo”.
Un rapporto sulla sicurezza alimentare dell’ONU del 2012 dimostra che quei tavoli non si trovano nella Palestina occupata. Oltre una famiglia palestinese su tre, il 19 per cento in Cisgiordania e uno scioccante 57 per cento a Gaza, soffrono di insicurezza alimentare. Un altro 16 per cento ne è vulnerabili e il 26 per cento è solo parzialmente sicuro. Questa situazione disastrosa viene attribuita dal rapporto all’occupazione e alle restrizioni alla circolazione di persone e delle merci imposte da Israele. Il risultato è alta disoccupazione e bassi salari, che, combinati con l’aumento dei prezzi, fa sì che solo una famiglia palestinese su quattro gode della sicurezza alimentare.
La scelta di Israele del nome per il suo padiglione, Fields of Tomorrow, ossia Campi di domani, potrebbe benissimo far riferimento alle terre della Cisgiordania occupata alle quali Israele ambisce. Uno studio del 2013 dell’organizzazione israeliana Kerem Navot rivela che dal 1997 l’agricoltura delle colonie israeliane è aumentata del 35 per cento in termini di area. Si tratta di un’area che supera del 50 per cento le aree edificate delle colonie israeliane in Cisgiordania, escludendo Gerusalemme est occupata. Le terre agricole palestinesi, invece, sono diminuite di un terzo.
Il rapporto di Kerem Navot sostiene che la confisca di terreni agricoli palestinesi viene ottenuta attraverso due principali canali, la confisca “ufficiale” di terre tramite provvedimenti di sequestro militare e dichiarazione di “terre statali” e i land grab non ufficiali da parte dei coloni. Fa parte di “una strategia di lungo termine e ben finanziata”, incoraggiata e sostenuta da enti statali, che richiede anche molto meno risorse e tempo rispetto alla costruzione di colonie.
Sami Huraini, di 17 anni, e Basil Adara, di 18 anni, del villaggio At Tuwani nelle colline a sud di Hebron, hanno sperimentato in prima persone queste confische. Sami ha affermato, “La colonia israeliana di Ma’on ha confiscato più della metà della nostra terra. Stiamo lottando per difendere quello che è rimasto”. Sami dice che i coloni e le autorità israeliane fanno di tutto per impedire loro di accedere alle loro terre “in modo da rendere più facile la confisca dei terreni per la colonia”.
Basil ha descritto quando lui e Sami sono stati arrestati mentre lavoravano la loro terra vicino alla colonia. “Ci hanno portato in carcere, poi in tribunale e ci hanno detto che ognuno di noi doveva pagare una multa di 2000 shekel (oltre 400 euro), ma noi abbiamo rifiutato. Il nostro messaggio era ‘Noi non paghiamo multe al governo israeliano'”. Sami, ha aggiunto, “Resisteremo per la nostra terra”.
Secondo il rapporto Kerem Navot, la zona agricola intorno alle colonie nelle colline a sud di Hebron è aumentata del 61 per cento dal 1997, la maggior parte delle confische è di terre di proprietà privata palestinese.
A Gaza, i cecchini dell’esercito israeliano sparano regolarmente sugli agricoltori palestinesi e le frequenti incursioni terrestri distruggono le colture. Secondo la recente relazione “Under Fire” del Palestinian Centre for Human Rights, tra il 2006 e il 2013, ci sono state 534 incursioni militari israeliane e 544 casi di spari di armi da fuoco in cui 179 civili sono stati uccisi e altri 751 feriti.
Come un primo passo per svelare la cruda realtà dietro gli sforzi propagandistici di Israele, BDS Italia, il movimento italiano che aderisce all’appello palestinese per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele, ha recentemente lanciato un concorso di video parodie, Fields of Apartheid. Il concorso invita videomaker in Italia e in tutto il mondo a presentare un breve filmato entro il 25 aprile che riveli il vero volto di Israele: occupazione, colonialismo e apartheid.
Il concorso ha già provocato una reazione da parte di Israele. Il Ministero israeliano degli Affari Esteri ha fatto rimuovere il primo video, che è arrivato da Gaza, da YouTube, reclamando il copyright sulla propria propaganda. Tuttavia, il concorso va avanti, e come le recenti azioni di culture jamming hanno mostrato, dal caso di Scartlett Johansson a “I am AIPAC”, la creatività e l’ironia si sono dimostrate mezzi efficaci per sbugiardare le menzogne di Israele.
Le iniziative di BDS Italia contro questa vetrina per la propaganda israeliana si svolgono nel più ampio contesto delle mobilitazioni contro Expo 2015. Come sostengono gli attivisti della Rete NoExpo, “Il tema etico e accattivante di Expo2015 è l’alibi per ridefinire l’assetto socio-economico del territorio milanese, dentro una cornice fatta di leggi speciali e poteri eccezionali in deroga alle norme, realizzando profitti privati spendendo denaro pubblico. In questo senso Expo2015 diventa matrice di debito, cemento e precarietà, senza nulla scalfire dei processi che impediscono accesso al cibo e all’acqua a milioni di persone sul Pianeta. Dentro questo contenitore c’è di tutto: dal cibo di qualità modello Eataly, agli OGM con Monsanto, fino alla partnership privilegiata con Israele, sotto l’occhio vigile di Selex (fornitore dell’esercito israeliano), che sperimenta con la security del megaevento, nuovi sistemi di sorveglianza e controllo. Insomma una fiera paesana in salsa hi-tech che non risolleverà il Paese, ma lascerà macerie sul territorio e leggi ad hoc destinate a diventare regola, soprattutto in campo occupazionale, nel senso di un’ulteriore precarietà.”
Nell’anno che rimane prima che prenda il via, i movimenti impegnati contro il sistema che nega i diritti fondamentali a popolazioni di tutto il mondo mentre assicura profitti per pochi, continueranno a contestare il modello Expo e “inceppare il meccanismo del grande evento su tutti e tre i suoi livelli di debito, cemento e precarietà”, a partire dai No Expo Days a inizio maggio. E dentro questo percorso, BDS Italia continuerà a smascherare il colonialismo israeliano.
Fonte: Electronic Intifada
Israeli soldiers preventing Palestinian shepherds from reaching their lands in al-Tuwani village. (Oren Ziv : ActiveStills)
(traduzione: “Soldati israeliani impediscono a dei pastori palestinesi di recarsi nelle loro terre nel villaggio di al-Tuwani.”)
Traduzione articolo di BDS Italia
10 Aprile 2014