LA STRATEGIA SBAGLIATA
FABIO MINI
La carriera militare degli aggressivi chimici parte dalla gavetta. Per lungo tempo sono stati considerati armi moderne e normali per uno scopo antico come la guerra: terrorizzare l’avversario ammazzando più combattenti. Alcuni fautori delle dottrine realiste e della “guerra giusta” li hanno perfino ritenuti leciti nella ritorsione o mezzi “umanitari”, in quanto abbreviano i conflitti e le sofferenze delle vittime e … riducono i costi sanitari.
Durante la prima guerra mondiale, le armi chimiche si rivelano importanti mezzi operativi nella distruzione di massa, l’interdizione, la saturazione e l’ impatto psicologico. Alla fine del conflitto possono “vantare” 1 milione e 300.000 vittime di cui 91.000 morti. Durante la seconda guerra mondiale i tedeschi le usano a livello strategico ma fuori del campo di battaglia: nei campi di sterminio. Il successivo salto di rango avviene durante la Guerra Fredda quando gli Stati Uniti ricorrono agli agenti chimici per l’annientamento umano e ambientale in Vietnam e le due superpotenze e i loro alleati iniziano a fornire armi chimiche e know how ai paesi delle rispettive orbite. L’intenzione è di estendere la simmetria globale ai paesi satelliti senza cedere ordigni nucleari e così nel confronto fra i blocchi, le armi chimiche diventano le “atomiche dei poveri”.
Egitto, Iraq, Iran, Israele, Libia, Sud Corea e altri paesi si dotano di armi e alcuni di essi le usano anche contro le popolazioni civili. Quando la Siria incrementa le proprie capacità chimiche per riequilibrare la preponderanza militare israeliana in campo convenzionale, chimico e poi nucleare, nessuno si meraviglia. Fa parte del gioco simmetrico e le armi chimiche sono ormai strategiche nella deterrenza inserendosi tra la guerra convenzionale e quella nucleare. Con la caduta dei blocchi, la guerra cambia natura. Gli interessi privatistici e industriali dominano la politica. I conflitti sono interni e le minacce sono asimmetriche, parossistiche e irrazionali. Il terrorismo si mescola con l’insurrezione. L’aggressione con l’intervento umanitario. Le armi chimiche e gli incapacitanti, banditi in guerra, diventano legali nel controllo delle masse e del terrorismo, vero o presunto. Oggi le armi chimiche sono di rango politico-strategico e quindi all’apice della carriera: costituiscono il nuovo pretesto delle cosiddette guerre umanitarie, piccole guerre e controinsurrezioni.
Come le presunte armi chimiche di Saddam hanno permesso la guerra in Iraq, il presunto impiego di quelle siriane contro i ribelli annuncia un altro sconquasso globale. Con la cosiddetta “linea rossa” o “via di non ritorno”, l’evento chimico, a prescindere dalla sua portata, è diventato il requisito per l’intervento internazionale contro il regime siriano. Si è perciò indicato ai vari ribelli, terroristi, jihadisti e qaedisti come destabilizzare senza sforzi un qualsiasi governo. Li si è indotti a procurarsi armi chimiche proprio mentre l’eventualità che cadano in mani inaffidabili è considerata la più probabile e pericolosa minaccia asimmetrica per la sicurezza internazionale. Si è anche detto ai regimi oppressivi come ricattare la comunità internazionale con la minaccia chimica e a quelli bellicisti come alterare gli equilibri regionali (ad es. fra Israele e i confinanti) che finora si sono retti su di una simmetria militare garantita proprio dal possesso di armi chimiche. E si è ancora una volta indicato al mondo come ficcarsi nei pantani delle guerre senza fine e senza fini. Complimenti alla carriera!
29 agosto 2013
Fabio Mini
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Fabio Mini (Manfredonia, 11 dicembre 1942) è un militare e saggista italiano, comandante della missione in Kosovo KFOR dal 2002 al 2003.
Indice
Biografia
Dopo gli studi presso l’Accademia militare di Modena e la Scuola di Applicazione di Torino, si è laureato in Scienze strategiche per poi perfezionarsi in scienze umanistiche presso l’Università Lateranense e in Negoziato internazionale presso l’Università di Trieste.
Tra i vari incarichi è stato portavoce del capo di Stato maggiore dell’Esercito italiano e, dal 1993 al 1996, ha svolto la funzione di addetto militare a Pechino. Ha inoltre diretto l’Istituto superiore di stato maggiore interforze (ISSMI).
Generale di corpo d’armata, è stato capo di Stato maggiore del Comando NATO per il Sud Europa e a partire dal gennaio 2001 ha guidato il Comando Interforze delle Operazioni nei Balcani. Dall’ottobre 2002 all’ottobre 2003 è stato comandante delle operazioni di pace in Kosovo a guida NATO, nell’ambito della missione KFOR.
Commentatore di questioni geopolitiche e di strategia militare, scrive per Limes, la Repubblica e l’Espresso, è membro del Comitato Scientifico della rivista Geopolitica[1] ed è autore di diversi libri.
Opere principali
- La guerra dopo la guerra. Soldati, burocrati e mercenari nell’epoca della pace virtuale, Torino, Einaudi, 2003
- Soldati, Torino, Einaudi, 2008
- Eroi della guerra. Storie di uomini d’arme e di valore, Bologna, il Mulino, 2011
- Perché siamo così ipocriti sulla guerra?, Chiarelettere, Milano 2012
- Mediterraneo in guerra. Atlante politico di un mare strategico, Einaudi, 2012 ISBN 9788806211349
Onorificenze
Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica italiana
«Su proposta della Presidenza del Consiglio dei ministri»
— 27 dicembre 1999[2]
Grande ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana
«Su proposta della Presidenza del Consiglio dei ministri»
— 27 dicembre 2003[2]
Commendatore dell’Ordine militare d’Italia
«Comandante del Contingente internazionale in Kosovo impegnato nell’operazione “Joint Guardian”, si prodigava con chiarezza di obiettivi e di metodo nella condotta di difficili operazioni militari interalleate e multinazionali, nonché in tutte le attività umanitarie e politico-militari connesse con il mandato. In un contesto contrassegnato da difficoltà ambientali e operative e da situazioni di pericolo, portava a compimento il delicato compito affidatogli, evidenziando capacità di comando e diplomatiche, che gli facevano riscuotere consenso, fiducia e ampia considerazione da parte di tutti i Paesi costituenti KFOR e delle fazioni in lotta. I risultati conseguiti sul campo gli sono valsi il plauso e l’ammirazione delle comunità internazionali e degli organi di vertice politico-militari della NATO e dell’ONU, dando così lustro all’Italia ed alla sue Forze Armate. Pristina (Kosovo), 3 ottobre 2002 – 3 ottobre 2003»
Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana
Croce d’argento al merito dell’Esercito
«Ufficiale Generale in possesso di pregevoli qualità intellettuali, dotato di non comuni capacità professionali, sostenute da una vasta preparazione tecnica e da uno spiccato spirito d’iniziativa, si prodigava, con incondizionato impegno e completa dedizione, nell’espletamento di onerosissimi incarichi. In particolare, quale comandante delle forze Nato in Kosovo, dava prova di eccezionale perizia, guadagnando la stima e meritando l’apprezzamento delle unita nazionali ed estere presenti in tale teatro, contribuendo con il proprio operato a rafforzare l’immagine dell’Italia nel contesto internazionale. Successivamente, quale ispettore per il reclutamento e le forze di completamento, conseguiva risultati di assoluto rilievo, dando un fondamentale apporto al conseguimento degli obiettivi della forza armata nello specifico settore. Validissimo dirigente che, grazie alle sue brillanti virtù militari, unite alla straordinaria motivazione e all’instancabile, impegno profuso, ha servito ininterrottamente per oltre quarantadue anni l’istituzione, contribuendo ad accrescere e a rafforzare il lustro e il prestigio dell’Esercito Italiano”. Roma, 11 dicembre 2005.»