Un chiaro articolo sulle conseguenze a cui andremo incontro. iskrae
Il lussuoso resort Bürgenstock sul lago dei Quattro Cantoni in Svizzera, in gara col G7 italiano, per un risultato analogo. Passerella più ampia, 93 paesi e otto organizzazioni internazionali, ma tra gli assenti il convitato principale con cui fare la pace. Evanescenza prima ancora di iniziare che prendesse il via, denuncia la stampa internazionale mentre Tommaso Di Francesco dal Manifesto, ci dice di peggio.
No al documento finale di 12 paesi decisivi del Sud del Mondo che legge la crisi con gli occhi di chi ha subito le nostre guerre e le violazioni del diritto internazionale e delle integrità territoriali. La Cina è stata attaccata ben 28 volte nel G7 per «connivenza con Putin», a compiacere l’ospite Biden. Ma in Svizzera tutti sapevano che Xi e Lula stanno preparando un vero tavolo negoziale con ucraini e russi.
Passerelle a vuoto politico
I due vertici di fine settimana hanno avuto un elemento scenografico in comune: la scelta di ambientazioni esclusive e non solo per le ricche location modaiole in cui si sono svolti, ma perché entrambi ‘escludevano’ in principio ogni vero processo di pace, non in Ucraina e tantomeno, figuriamoci, a Gaza e in Cisgiordania dove, con un occhio l’Occidente strabico ammicca agli aiuti e con una mano se non tutte e due invia armi a Netanyahu.
Il vanto G7 dei soldi russi per l’Ucraina
Ecco dunque il vanto di Borgo Egnatia per la guerra in Ucraina: l’uso, pericolosissimo e controproducente perché sono attese reazioni pesanti, degli interessi sugli asset finanziari russi per darli a Kiev perché continui la guerra, e altri 50 miliardi in armi, che già pesano sulle presidenziali Usa. Ed ecco che nel magnifico resort svizzero di Burgenstock andare in onda la recita, il teatrino di una ipotetica pace. Ma anche lì tra Zelensky e Kamala Harris, che ha sostituito l’incerto Biden la cui presenza avrebbe fatto la differenza almeno per gli ucraini, si è parlato invece solo di invio di nuove armi e del loro uso, con il libero corso dato dalla Nato e dai Paesi europei alla possibilità del loro utilizzo anche in territorio russo.
In guerra con la Russia
Siamo in guerra con la Russia ma è meglio non dirlo. L’estate appena cominciata come l’autunno, a ridosso delle elezioni Usa, vedranno dunque non un cessate il fuoco ma un incrudimento del conflitto con l’arrivo delle nuove armi americane. Pur essendo chiaro che non c’è “vittoria” all’orizzonte né soluzione militare alla crisi.
Fallimento preannunciato (e voluto)
Sta di fatto che la conferenza di Lucerna è fallita: 12 paesi, tra cui Brasile, India, Sudafrica, Giordania, (l’Arabia saudita è un discorso a sé) considerati decisivi, perché parte dello schieramento del Sud del mondo che legge la crisi ucraina con gli occhi di chi le nostre guerre, le nostre violazioni del diritto internazionale e delle integrità territoriali le ha subite, non hanno sottoscritto il documento finale, come il Vaticano. Che dire del ruolo più che marginale dell’Onu, il solo che potrebbe restituire legittimità ad un negoziato che richiami i termini fondanti della sua Carta costitutiva, a cominciare dal ruolo del diritto internazionale usato sempre con due pesi e due misure nelle guerre d’aggressione che l’Occidente ha condotto impunemente e che – c’è da chiederselo – hanno sicuramente consigliato l’emulazione peggiore all’agire di Putin leader iper-nazionalista di una potenza atomica?
Gli assenti e i dissenzienti
Soprattutto non hanno partecipato Xi Jinping e Lula – il Brasile era solo osservatore. Non era invitata la Russia responsabile dell’aggressione all’Ucraina del 24 febbraio 2022, eppure i negoziati di pace si stabiliscono tra nemici. Tuttavia Putin non ha mancato di essere presente con la provocazione della sua »proposta di pace: riconoscere le annessioni e la guerra finirà. Certo inaccettabile ma tragicamente chiaro: è la fotografia delle sanguinose conquiste militari che ha realizzato, null’altro. Per aggiungere però la richiesta della neutralità dell’Ucraina rispetto alla Nato.
L’eterno ‘che fare’?
Allora che fare? Valutiamo i tre punti irrinunciabili per Kiev: il controllo della centrale di Zaporizhzhia, l’accesso ai porti del Mar Nero e del Mare di Azov, e lo ‘scambio totale’ di prigionieri e del rimpatrio dei bambini e civili deportati in Russia. A parte la considerazione che l’Aiea ha definito un negoziato di sicurezza con la Russia sulla centrale di Zaporizhzhia in mano ai russi e per questo pericolosamente area di guerra, sembrano tutti termini di un ‘dopo trattativa’.
Il maggior peso del ‘non detto’
Predomina invece il non-detto: perché l’adesione alla Nato non appare. È però la minaccia che ritorna ogni giorno nelle ineffabili parole di Stoltenberg, ma c’è il fatto che perfino Biden è stato chiaro su questo: l’ingresso nella Nato vuol dire immediato confronto con Mosca, è troppo presto per i nodi irrisolti della democrazia ucraina, alla prese con la corruzione anche militare. Inoltre l’accordo di cooperazione militare decennale firmato pochi giorni fa da Zelensky e Biden, sembra essere a tutti gli effetti sostitutivo dell’ingresso nella Nato.
Le storiche responsabilità Nato
A che serve infatti se, come ha ricordato lo stesso Stoltenberg, la Nato allargata provocatoriamente a Est è in Ucraina da prima del 2014 data di inizio della guerra civile interna e ora sempre più massicciamente con istruttori, intelligence, osservatori, e adesso con una commissione Nato che in Ucraina di fatto controlla e amministra ogni arma inviata? Così ecco che la Nato ritorna al centro più dell’adesione alla Ue già nel baratro del riarmo e ora nel turbine nero delle ultime elezioni. Anzi la Nato continua ad allargarsi: Stoltenberg ha annunciato ieri che l’Alleanza atlantica tratta per schierare in Europa più armi atomiche – ma non era criminale minacciare l’uso delle ogive nucleari in Europa?
G7 caricaturalmente anti Cina
Il fallimento diventa sostanziale poi di fronte all’assenza della Cina. Attaccata ben 28 volte, sottolinea il New York Times, nel G7 meloniano-pugliese per la sua ‘connivenza’ con Putin e per la sua economia troppo di libero mercato che ci ‘invade’; per poi a Lucerna piangere lacrime di coccodrillo perché Pechino non c’è. In realtà tutti, compreso Zelensky, sapevano e sanno che Cina e Brasile stanno preparando una nuova conferenza di pace, dopo Lucerna e non da questa derivata, che porti ad uno stesso tavolo russi e ucraini. Ed è apparso chiaro quando la moglie di Zelensky e il ministro degli esteri Kuleba sono corsi a Belgrado il giorno dopo la visita di Xi Jinping che per l’occasione ha ricordato i bombardamenti Nato sulla capitale serba e sull’ambasciata cinese; e lo dimostra il fatto che il governo ucraino ha definito una commissione subito inviata a Pechino per stabilire un rapporto con Xi dopo Lucerna. Un ‘dopo’ che forse si svolgerà in Arabia saudita, presso la potente petromonarchia legata a filo doppio sia agli Usa che alla Russia.
Cina, Brasile, Onu e Vaticano
Non sappiamo se Brasile, Cina, Sudafrica, Guterres a pieno titolo con l’Onu e Vaticano riusciranno nell’intento di ‘riavvolgere il nastro’ della guerra ucraina. Riavvolgere il nastro vuol dire far retrocedere in primo luogo i russi ma anche gli ucraini e la Nato ai termini dell’accordo di Misk2 e alle trattative del formato Normandia: neutralità rispetto alla Nato, riconoscimento delle regioni russofone e ribelli del Donbass all’Ucraina ma loro pronunciamento su uno status di autonomia, la Crimea ‘sospesa’ ma credibilmente russa come la sua popolazione ha deciso.
Putin dirà di no, ma se a chiederglielo è un’altra parte del mondo, che rivendica e insiste sui valori universali a partire dalla pace e al quale pensa di appartenere solo perché ha dato prova criminale di usare la forza come ha fatto e fa l’Occidente, non è detto che non entri per la prima volta in crisi. Con sè stesso e quel che più conta agli occhi delle nuove generazioni russe che rifiutano la guerra come quelle ucraine. Il resto sono soltanto nuovi massacri di civili e notizie sanguinose dal fronte. E più confronto atomico in Europa.