“Il documentario Fascist Legacy (l’eredità fascista) dello storico italoamericano Michael Palumbo e dell’inglese Ken Kirby ha posto fine per sempre alla leggenda degli “italiani brava gente”. Ma che si trattasse, appunto di un mito senza alcun fondamento lo sapevano bene non solo gli storici, ma le vittime (libiche, etiopiche, greche, jugoslave) e, com’è ovvio, gli stessi carnefici”.
Così scriveva L’Unità il 10 giugno 1990, mezzo secolo dopo l’annuncio della dichiarazione di guerra nel secondo conflitto mondiale e pochi mesi dopo la messa in onda del documentario da parte della Bbc in due puntate, il 1 e 8 novembre 1989, suscitando le proteste diplomatiche italiane, presentate dall’ambasciatore a Londra Boris Biancheri ed un ampio dibattito in Italia. (Si vedano ad esempio due articoli di Repubblica del 10 novembre 1989, “Italia, ecco i tuoi crimini di guerra” e “E’ vero, e Londra sapeva. Gli storici italiani rispondono“).
Il 2 dicembre 1989 vi fu una proiezione al Festival dei Popoli di Firenze e la Rai il 1 gennaio 1990 ne acquisì i diritti esclusivi per l’Italia facendoli però scadere il 30 settembre 1994 senza che il filmato fosse mai programmato (vedi interrogazione parlamentare del 25 novembre 1997). Nel corso del 2004 l’emittente La7 ne trasmise ampi stralci e in seguito History Channel una versione integrale (si può visionare qui).
Fin dalla prima apparizione del documentario, era prevista la realizzazione da parte di Michael Palumbo, sulle cui ricerche era basato, di un libro sui crimini di guerra italiani.
Un articolo di Simonetta Fiori su Repubblica del 17 aprile 1992 (Quel libro non si stampi!) ci spiega perché fino ad oggi non ci fosse traccia del libro, arrivato ad una fase di produzione avanzato per la Rizzoli ma poi abortito per la minaccia di querela da parte di Giovanni Ravalli, ex ufficiale ai tempi dell’occupazione in Grecia, che respingeva le accuse sul suo conto rinvenute nelle prime bozze del libro fatte circolare. Nell’articolo la direttrice editoriale smentiva quanto riportato da una prima notizia secondo la quale “la Rizzoli aveva deciso di mandare al macero le ottomila copie già stampate, una tiratura giustificata dalle attese”, affermando che ”non ne era stata stampata neppure una copia”.
Oggi – per la prima volta dopo 28 anni, per quanto ne sappiamo – siamo in grado di presentare pubblicamente una copia sopravvissuta di quel volume, evidentemente scampata al macero, dimostrando che la prima notizia nell’articolo “Quel libro non si stampi!” era quella veritiera.
Alcuni estratti dal prologo:
Come si lamentava Palumbo: “E’ una tragedia che si possano fare rivelazioni di questa gravità soltanto a distanza di decenni”. Era il 1992 e si riferiva alla documentazione della Commissione delle Nazioni Unite per i Crimini di Guerra rimasta sepolta fino al 1980.
Però la stessa sorte è purtroppo toccata al suo libro, censurato e dimenticato fino ad ora.
Forse, come riportato da Mimmo Franzinelli nel numero 3 del mensile Millenovecento del gennaio 2003, non fu il solo Ravalli ad interessarsi al futuro del libro:
“La minaccia di querela per autore ed editore, con le concomitanti pressioni di ambienti influenti della politica e del mondo militare [corsivo nostro], indussero i dirigenti della Rizzoli a riconsiderare il libro in uscita e a toglierlo dalla programmazione editoriale. Il tenace e combattente Ravalli è scomparso nel 1998, all’età di 89 anni, ed è inumato in un cimitero della capitale, nel loculo di famiglia. Dove sia sepolto il libro inedito di Palumbo è invece un mistero: le bozze di stampa sono scomparse dagli stessi archivi Rizzoli”.
Per ora si può solo raccontare della sfortuna editoriale di Michael Palumbo in Italia e approfondire il caso del tenente Ravalli.
Epoca
Una delle prime notizie di Palumbo in Italia la troviamo sul settimanale Epoca n.1940 del 13 dicembre 1987. Qui il corrispondente da New York Romano Giachetti e l’inviata Fiamma Nirenstein ci parlano degli “Archivi della discordia: Uno storico italoamericano accede per primo e avventurosamente ai dossier segreti dell’Onu. Le sue scoperte? I crimini degli italiani in guerra. I responsabili dell’Olocausto. Le coperture di americani e sovietici. E a proposito di Waldheim…”.
Palumbo, considerato “l’uomo che ha scoperto l’archivio dei crimini di guerra delle Nazioni Unite” è invece “…boicottato in patria, privato della cattedra universitaria con l’espulsione dalla City University di New York per le sue indagini storiche sul passato dei responsabili nazi-fascisti, ignorato dalla stampa americana, bersagliato da «minacce multinazionali», e che ha trovato ascolto solo tra i mezzi di comunicazione inglesi…”.
A proposito di crimini contro l’umanità e memorandum segreti ne “L’olocausto rimosso” si legge:
Su Epoca n.2042 del 26 novembre 1989 il rapporto esclusivo “Italiani criminali” riportava l’elenco di 724 presunti criminali, tra cui pochissimi i nomi noti, non comprendendo quelli dei principali responsabili, evidentemente presenti in dossier separati.
Nell’articolo di Romano Giacchetti, chiamato come il futuro libro “L’olocausto rimosso”, si recensiva Fascist Legacy trasmesso da qualche settimana dalla Bbc e si ripercorreva la storia di Palumbo a partire dell’autunno 1979 quando fortunosamente per la prima volta ebbe accesso all’archivio dimenticato delle Nazioni Unite. Nessuno all’epoca ne volle sapere di quelle scoperte, eccetto gli inviati di Epoca e quelli della Bbc. Si dà conto anche del libro sui crimini di guerra che Palumbo “conta di portare a conclusione al più presto” dove “troverà posto anche un capitolo dedicato a una campagna che il suo esplosivo documentario, impiantato soprattutto su immagini etiopiche e jugoslave, non ha incluso: la campagna di Grecia”. E sarà (forse) proprio il caso Ravalli ad impedire al libro di Palumbo di vedere la luce nel 1992. Nell’intervista a Palumbo su questo numero di Epoca si parla del milione di vittime da attribuire al regime fascista. Ecco i dati come vengono riportati sul libro:
Il caso Ravalli
Ecco le 50 righe, su un libro di oltre 300 pagine, che parlano del tenente Giovanni Ravalli (inizialmente qui chiamato Ravali):
Nel già citato numero di Millenovecento si legge a proposito di Ravalli:
“Chiamato in causa all’inizio degli anni novanta dai reperimenti documentari di Palumbo, egli non ha negato le fucilazioni in massa, ma le ha riferite all’esecuzione degli ordini impartiti dal colonnello Venier, lui pure inserito nell’elenco dei criminali di guerra italiani e defunto da lungo tempo. Quanto alle accuse di torture e di stupri, Ravalli ne attribuì la responsabilità a un commilitone: il tenente Gaio Gradenigo, un nobile veneziano da tempo deceduto.”
A proposito dell’uso delle fonti ne “L’olocausto rimosso” riportiamo:
Una delle fonti di Palumbo su Ravalli è il dossier greco in lingua francese “Les atrocités des quatre envahisseurs de la Grèce – Allemands, Italiens, Bulgares, Albanais” (Atene, 1946) citato anche da L’Unità del 2 dicembre 1989 in “ E in Grecia si sapeva da 40 anni” che riporta anche alcuni dei fatti criminosi addebitati a Ravalli senza però specificare il nome del presunto colpevole.
Un importante contributo alla definizione della figura di Ravalli lo fornisce il libro di Davide Conti “Gli uomini di Mussolini – Prefetti, questori e criminali di guerra dal fascismo alla Repubblica italiana. ” (Einaudi 2017).
Qui la storia del Tenente della Divisione Pinerolo di stanza nel distretto di Kastoria è raccontata con dovizia di particolari, dalla condanna a morte (eseguita invece per il bulgaro Antonio Kalcef comandante militare delle milizie guidate “diplomaticamente” da Ravalli) al salvataggio per opera del governo italiano, alla successiva carriera diplomatica e politica, come prefetto di Palermo e Roma. Di sicuro interesse per le implicazioni che ha comportato è che “già nel gennaio 1953 l’ex tenente della Divisione Pinerolo, condannato dal Tribunale di Atene per crimini di guerra e ritornato in Italia alla fine del 1950 solo al termine di una lunga trattativa diplomatica, venne individuato come il funzionario più adatto a essere incaricato di seguire, nella Presidenza del Consiglio dei Ministri, la documentazione sui crimini di guerra commessi dai tedeschi.” Ricordiamo che fu solo nel novembre 2000 quando il giornalista Franco Giustolisi denunciò l’esistenza di un armadio, rinvenuto nel 1994 in un locale sede di organi giudiziari militari a Roma, nel quale erano stati occultati numerosi fascicoli relativi a crimini di guerra commessi dai nazifascisti durante l’occupazione sul territorio italiano: il tristemente famoso “armadio della vergogna”.
Furono il solo Ravalli o in misura maggiore “le concomitanti pressioni di ambienti influenti della politica e del mondo militare” ad impedire l’uscita del libro? Sta di fatto che da allora di Michael Palumbo non se ne sentì più parlare.
Dopo aver pubblicato, tra gli altri, libri sul carattere imperiale di Israele (The Palestinian Catastrophe: The 1948 Expulsion of a People from Their Homeland, 1987 e Imperial Israel: The History of the Occupation of the West Bank and Gaza, 1990) e sul caso Waldheim (The Waldheim Files: Myth and Reality, 1988), non si hanno notizie di un libro sul genocidio dei nativi americani (The extermination of the american indians) annunciato in “Italiani suscettibili”, un articolo di Repubblica dell’ 11 novembre 1989 sul dibattito seguito alla visione di Fascist Legacy.
Nell’aprile 1992 la prima tiratura de “L’olocausto rimosso” era pronta per raggiungere le librerie ma fu probabilmemente mandata al macero.
Nel luglio dello stesso anno il regista Massimo Sani, all’epoca parte dell’organico degli autori e registi di Rai Uno, realizzò la versione italiana di Fascist Legacy e riportò a tal proposito: “Mi adoperai ininterrottamente per ottenerne la messa in onda, ma fu tutto inutile. Poi venni invitato a soprassedere, poiché il momento non era dei migliori e si potevano prospettare pericoli di querele. Successivamente vennero raccolte firme da intellettuali, storici, autori di Cinema e di TV. Ma non accadde nulla. E ciò a tutt’oggi”. Si vedano ad esempio l’articolo di Angelo Del Boca “La Rai trasmetta il film sui crimini di Mussolini” su L’Unità del 7 giugno 1994 e “Vergogne tricolori” su L’Unità del 21 novembre 2002.
Qualcos’altro è invece accaduto in questi 28 anni, e di senso radicalmente opposto. Ad esempio il 30 marzo del 2004 il Parlamento ha istituito il Giorno del Ricordo (Legge 30 marzo 2004, n. 92) quale solennità civile da tenersi ogni 10 febbraio al fine della conservazione della memoria “...della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra...” (nonché “delle più complesse vicende del confine orientale”).
Sandi Volk in “Truffe, fuffe e fascisti… i “premiati” del giorno del ricordo, un bilancio provvisorio” , a proposito di quanto accaduto con i riconoscimenti nei primi dieci anni di applicazione della legge, scrive che “le persone da ricordare non sono state scelte a caso, ma si è voluto ricordare un ben determinato tipo di persone: sono gli appartenenti alle formazioni fasciste o collaborazioniste, della RSI (anche la Guardia di Finanza e la Polizia erano “Repubblicane”) o messe in piedi dai nazisti, i rappresentanti politici del fascismo, tutti attivamente coinvolti nella lotta contro il movimento partigiano, italiano o jugoslavo che fosse.”
“Stiamo parlando di una legge la cui approvazione ha rappresentato, come hanno esplicitamente affermato coloro che l’hanno sostenuta, da Fassino a Fini e Casini, l’avvenuta pacificazione tra italiani ed in cui è l’assenza di riferimenti al fascismo e al collaborazionismo ad essere il punto chiave: una assenza che visti i risultati concreti nell’attribuzione dei riconoscimenti non ha il significato di una pudica omissione, ma significa che il fascismo ed i fascisti non sono più qualcosa di cui vergognarsi, anzi. Sono ora diventati i rappresentanti di “un altro modo” di amare l’Italia, di essere “al servizio dell’Italia”, e in quanto tali pienamente legittimati ad essere sussunti nella nuova ideologia della Nazione che è stata costruita quale fondamento della Seconda Repubblica.”
“Si tratta della piena e definitiva legittimazione del fascismo come ideologia nazionale, anzi, del ristabilimento dell’equazione fascismo=italianità, e dell’inclusione dei fascisti nel pantheon della Nazione. Non si tratta di una legittimazione esclusivamente a posteriori, ma anche attuale, che ha fatto del 10 febbraio la giornata dell’orgoglio fascista, in cui i fascisti di oggi sfilano per le vie delle città e organizzano mostre, convegni, dibattiti e quant’altro finanziati e sostenuti dalle istituzioni pubbliche.”
Anche la copertina di questo libro censurato, che si preannunciava “come una vera e propria bomba editoriale”, è significativa: la foto dei contadini fucilati a Dane in Slovenia il 31 luglio 1942 dal Regio Esercito Italiano è stata per anni falsificata in occasione delle celebrazioni per il Giorno del Ricordo, come illustrato dal dossier presente su questo sito, divenendo il simbolo di una memoria prima rimossa e poi capovolta.
Ivan Serra, 4 febbraio 2020