Cè un filo nascosto che collega Ubi Banca, il terzo gruppo bancario del Paese, ai misteri del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, trovato impiccato a Londra il 18 giugno 1982, e ai segreti di Michele Sindona, il banchiere della mafia legato alla P2 morto in carcere a Voghera il 22 marzo 1986 dopo aver bevuto un caffè avvelenato. Questo collegamento passa per il Lussemburgo e le Bahamas, dove per quasi 25 anni manager sinora ignoti alle cronache hanno gestito due delle tre liquidazioni del Banco Ambrosiano, dimenticate dalla stampa e dalle autorità di vigilanza italiane che si sono occupate solo di quella milanese.
Un vortice di denaro, dunque di potere, passato attraverso canali esteri e rimasto sino a oggi fuori dai radar che ha consentito ai vecchi portatori di interesse di agire indisturbati per lustri continuando a esercitare un ruolo occulto. È questo il tema de L’onnipotente, la puntata di Report in onda stasera alle 21.20 su Rai3 che si occupa di Ubi e che getta una nuova luce sul sistema bancario nazionale e sui suoi equilibri odierni.
A partire da una traccia contenuta nella relazione della Commissione Anselmi sulla Loggia P2, l’inchiesta di Giorgio Mottola ha dipanato attraverso la scoperta di documenti inediti sui conti la matassa che è ruotata intorno a una cinquantina di società offshore collegate a Ubi Banca International Sa, l’istituto lussemburghese ceduto a novembre 2017 da Ubi, il terzo gruppo bancario nazionale creato il primo aprile 2007 dalla fusione di istituti di credito bresciani e bergamaschi legati sin dalla loro fondazione al mondo cattolico. Dai Panama Papers emergono i richiami avanzati a Ubi Banca International dallo studio Mossack Fonseca, che aveva creato e gestito per anni questa rete nascosta, con le richieste di inviare i documenti mancanti che erano necessari per le verifiche antiriciclaggio. Secondo l’accusa del processo in corso al Tribunale di Bergamo, per anni Ubi Banca sarebbe stata gestita segretamente da un patto occulto capeggiato da Giovanni Bazoli, il potente banchiere bresciano che ha preso le redini del Banco Ambrosiano dopo la morte di Calvi e che l’ha trasformato in Banca Intesa SanPaolo, di cui è presidente emerito. Documenti di Ubi attestano che Gregorio Gitti, genero di Bazoli ed ex parlamentare del Pd, ha ricevuto consulenze milionarie dalla banca e ha amministrato società di cartolarizzazioni dalle quali negli anni sono transitati crediti del gruppo per 14 miliardi. Intorno a Bazoli e ai suoi familiari, secondo l’accusa del processo di Bergamo sarebbero ruotate associazioni di soci bresciani e bergamaschi di Ubi che avrebbero gestito di fatto la governance della banca.
Nel gruppo, secondo la testimonianza di un ex dirigente apicale, mancavano controlli adeguati in materia di antiriciclaggio, in particolare quando le operazioni da monitorare riguardavano le persone ai vertici della banca e le loro attività. Da queste dichiarazioni, comprovate da numerosi riscontri documentali, sono scattate inchieste degli inquirenti di Milano e di Brescia, che sono state però rallentate da trasferimenti di magistrati e di ufficiali della polizia giudiziaria.
Altre tracce portano a operazioni di compravendita di armi, sebbene la banca annoveri tra i suoi soci con quote minori la Diocesi di Bergamo, le suore Ancelle della Carità di Brescia e decine di altri istituti religiosi. Intanto IW Bank, la banca online del gruppo, è sotto processo a Milano insieme a 13 suoi dirigenti e alti dirigenti per una enorme falla nei sistemi antiriciclaggio durata dal maggio 2008 al maggio 2014.
1 Aprile 2019