di Carlo Musilli
E alla fine il Celeste fu rinviato a giudizio, procurando un’altra grana a Matteo Renzi. Nemmeno il tempo di accogliere con sollievo le dimissioni del sottosegretario alle Infrastrutture Antonio Gentile – il senatore Ncd sospettato di aver fatto pressioni su un quotidiano per occultare un’indagine a carico di suo figlio – che dal Nuovo centrodestra arriva un altro sgambetto a Palazzo Chigi. Il neo-Premier dovrà far digerire alla maggioranza anche l’ultima disavventura di Roberto Formigoni, ex pluri-governatore della Regione Lombardia, attuale senatore di punta degli alfaniani e presidente della Commissione agricoltura di Palazzo Madama.
A partire dal 6 maggio, per decisione del gup di Milano Paolo Guidi, l’ex sovrano del Pirellone sarà processato per associazione a delinquere e corruzione. Insieme a lui altri nove imputati, fra i quali spicca il nome del suo caro amico Pierangelo Daccò, ex consulente di varie aziende sanitarie appaltatrici della Regione Lombardia già condannato a 10 anni per il crack dell’ospedale San Raffaele.
A giudizio, fra gli altri, l’ex assessore regionale Dc Antonio Simone, l’ex direttore generale della Sanità lombarda Carlo Lucchina, l’ex direttore amministrativo della fondazione Maugeri Carlo Passerino e altri cinque imputati tra funzionari e manager sanitari. L’unico proscioglimento nell’inchiesta riguarda l’imprenditore Mario Cannata. Nei prossimi mesi saranno definiti inoltre i patteggiamenti di altri sette indagati, che hanno già trovato l’accordo con la Procura per pene comprese tra un anno e dieci mesi e tre anni e quattro mesi.
La tesi dell’accusa è che per lungo tempo Daccò abbia pagato al Celeste viaggi e comfort extra-lusso (circa otto milioni di euro in tutto), ottenendo in cambio delibere e fondi del Pirellone in favore di una struttura sanitaria a lui collegata. Si tratta dell’ormai celebre fondazione Maugeri di Pavia, che avrebbe incassato soldi regionali per circa 200 milioni di euro, da cui il faccendiere avrebbe sottratto circa 70 milioni, successivamente dirottati come fondi neri in un sistema di società off-shore.
La lista delle presunte “utilità” garantite a Formigoni è un inno alla morigeratezza: dalle vacanze ai Caraibi all’affitto della villa Resort ad Anguilla, dalla disponibilità di uno yacht a biglietti aerei per 18 mila euro, fino ad un maxi sconto sull’acquisto di una villa in Sardegna.
La Procura sostiene di aver individuato “tre flussi finanziari”: il primo dalle casse della Maugeri ai conti (anche esteri) di Daccò e Simone; il secondo da Daccò e Simone per garantire le “utilità” a Formigoni; il terzo erogato con delibere di Giunta dalla Regione fra 2002 e 2011 nei confronti della Maugeri e del San Raffaele. Secondo i Pm, “non c’è un’altra possibile lettura” alla ricostruzione degli investigatori, al punto che nemmeno le difese avrebbero fornito un’interpretazione diversa.
Ormai da tempo immemore il Celeste smentisce questa ricostruzione, e ieri i suoi avvocati hanno parlato di “un’accusa che non regge al vaglio critico, non solo e non tanto priva di fondamento, quanto frutto di una forzatura del buon senso, delle prove e del diritto”. Formigoni sostiene di aver sempre pagato tutto di tasca propria, rimborsando l’amico ogni volta che questi gli anticipava dei soldi. Certo, bisogna credergli sulla parola, perché “quando dai dei soldi a un amico – recitava il ritornello formigoniano -, poi mica gli chiedi la ricevuta”. In teoria basterebbe ripescare la documentazione sui movimenti bancari di quel periodo per dimostrare d’aver “sempre pagato”, ma nessuno ha ancora visto una sola di quelle distinte.
Oggi come allora, la deduzione naturale non è molto complessa. La sentenza spetta com’è ovvio ai giudici, ma fin qui, nella migliore delle ipotesi, il Celeste non ha ritenuto che il suo ruolo pubblico lo obbligasse a telefonare in banca per dar prova d’onestà davanti ai cittadini. In questo rivela una certa coerenza: non lo pensava al Pirellone, continua a non pensarlo a Palazzo Madama.
05 Marzo 2014