Thierry Meyssan non s’interessa alla competizione fra partiti politici, fa invece un’analisi della confusione che regna nel dibattito sulle idee e che impedisce di dedicarsi ai problemi del Paese. Secondo Meyssan, sebbene le difficoltà siano identiche a quelle di quasi tutto l’Occidente, la Francia deve affrontare gl’intrecci mai chiariti dell’èra Mitterrand. Per andare avanti il Paese non deve soltanto precisare il proprio lessico e ridefinire la propria identità, deve soprattutto ripristinare la sovranità popolare, il concetto di cittadinanza, cui ha rinunciato.
di Thierry Meyssan
La campagna elettorale per le elezioni del presidente della repubblica francese del 24 aprile 2022 scatena passioni in un clima di grande confusione. Le tensioni sociali non riescono più a esprimersi se non attraverso la violenza perché il lessico politico ha perso significato. Tutti utilizzano gli stessi termini, ma con significato diverso, persino opposto. Sembra che nessuno si accorga che dietro questo brusio il Paese non è più una democrazia, non è più nemmeno una repubblica.
La Francia ferita
Come in ogni altro Paese occidentale, in Francia la classe media si rimpicciolisce a vista d’occhio e i posti di lavoro continuano a essere delocalizzati in Asia [1]. Si è formata una nuova classe sociale di lavoratori al limite della soglia di povertà che, espulsi dalle grandi città, si sono rifugiati nella vicina campagna. È la classe che nel 2018 si è ribellata, indossando gilet gialli per reclamare più giustizia sociale. Contestualmente, pochi individui, già molto ricchi, hanno beneficiato dell’investimento di capitali diventando oltremodo ricchi. Un fenomeno non nuovo, ma l’entità dell’arricchimento di pochissimi di loro è fatto inedito. Oggettivamente, l’allargamento senza precedenti del divario di ricchezza impedisce il funzionamento di un regime democratico, il cui presupposto è una relativa omogeneità della popolazione. Gli elettori, consapevoli che il loro voto non conta più, si allontanano rapidamente dalle urne. Alle elezioni legislative del 2017 la maggioranza degli elettori non è andata a votare, alle regionali e dipartimentali del 2021 si sono astenuti i due terzi. La Francia continua ad avere istituzioni democratiche, ma non esercita più la democrazia.
La trasformazione delle classi sociali s’accompagna a un mutamento della popolazione. Milioni di persone arrivano dall’Africa e dall’Asia, attratte dal livello di vita europeo. Si concentrano nelle periferie delle grandi città. Non cercano d’integrarsi perché potrebbero diventare solo gilet gialli e quindi essere disprezzate delle élite franco-americanizzate. Impongono così i propri usi e costumi nei quartieri in cui vivono.
La società è scissa in tre parti: la maggioranza, che continua a rimanere legata alla cultura francese; qualche milione d’immigrati sradicati; infine una élite affascinata dagli Stati Uniti, di cui però non scorge il declino. Per la prima volta si può osservare questa divisione anche geograficamente: le campagne alle classi medie in via di pauperizzazione, le periferie delle grandi città agl’immigrati, il centro delle grandi città alle élite.
Per di più l’epidemia di Covid-19 viene gestita grazie all’indebitamento: la paura di un elevato numero di morti a breve termine ha spinto a confinare tutta la popolazione, privandola così dei mezzi di sussistenza. Lo Stato si è perciò considerevolmente indebitato per elargire sussidi e tutelare il livello di vita della popolazione. Il debito ha raggiunto il 115% del PIL annuale, privando il Paese della facoltà di operare scelte.
Assenza di confronto
La Repubblica francese non ha più avuto un vero presidente dall’ictus di Jacques Chirac del 2005: prima lo scontro dei ministri Dominique Gallouzeau de Villepin e Nicolas Sarkozy de Nagy-Bocsa; poi, per risvegliare il Paese assopito, l’elezione dello stesso Sarkozy, che si rivelerà non essere altro che il nipote acquisito del fondatore statunitense dei servizi segreti della NATO [2]; quindi l’elezione di François Hollande, uomo che, pur non rappresentando all’interno del Partito Socialista alcuna corrente, non riuscì a rappresentare il popolo; infine l’elezione di Emmanuel Macron, che prometteva di unire destra e sinistra ma che ha assistito impotente alla divisione del Paese. Tre successivi errori degli elettori, uno peggiore dell’altro.
Le elezioni presidenziali del 2022 si annunciavano come un gioco al massacro: non riconoscendosi in alcun leader politico, gli elettori avrebbero ripiegato sul candidato che detestano di meno. Ecco però la candidatura di un outsider, il giornalista Éric Zemmour, che in poche settimane è riuscito a imporre al cuore del dibattito la problematica dell’identità francese, poi a fondare un vasto partito politico che riunisce i delusi dei partiti istituzionali, Reconquête. Chi lo conosce assicura che è persona aperta e tollerante, però sono molti a ritenerlo ostile agli arabi e ne prendono le distanze.
Il dibattito pubblico ha abdicato alla razionalità dopo che si è vietato ai medici di curare il Covid-19 e si è imposto di eradicarlo con i cosiddetti vaccini a RNA messaggero. Non si mettono a confronto le ragioni degli uni e degli altri, esistono soltanto la Fede nei cosiddetti vaccini e l’Eresia delle cure. In questo contesto il presidente Macron ha concesso un’intervista televisiva di due ore, in cui ha fatto pochi accenni al bilancio del proprio operato e non ha praticamente criticato gli avversari. Non si è eretto a dotto professore, ma ha compatito il dolore di ognuno. Si è concentrato sulla descrizione dei propri stati d’animo e ogni telespettatore ha potuto interpretare a piacimento l’inedito esercizio di stile. In realtà ciascuno ha còlto solo l’angoscia che lo assilla. Macron ha rassicurato gli anziani, la cui speranza di vita sembra messa a rischio dal Covid, nonché le classi superiori, i cui privilegi sembrano minacciati dall’incremento dei Gilet Gialli. Macron può così contare su un terzo dell’elettorato, senza argomentazioni né soluzioni.
La confusione dei valori
I francesi non possono più gerarchizzare la tradizione, nonché la ripartizione delle ricchezze, né distinguere destra e sinistra. Hanno vissuto una storia molto particolare che non hanno analizzato.
Il presidente François Mitterrand proveniva dal Partito Socialista. In realtà quest’uomo di eccezionale intelligenza entrò in politica come collaboratore dei nazisti. Fu infatti decorato dal maresciallo Philippe Pétain, ma riuscì a farlo dimenticare. Non cambiò le sue idee di destra, ma le sviluppò parallelamente alle nuove. Non tagliò mai i ponti con gli amici di estrema destra. Uno di costoro diresse la sua campagna elettorale per la presidenza della repubblica e lo seguì con discrezione all’Eliseo [3]. Mitterrand esitò persino a fare primo ministro di un governo socialista l’ex direttore della Propaganda Staffel, diventato l’uomo più ricco di Francia [4]. La vita di Mitterrand era quella di uno schizofrenico: aveva persino due famiglie, la moglie socialista e la compagna di estrema destra. Era una personalità di estrema destra alla guida della sinistra unita.
Salito al potere, Mitterrand prese in mano una federazione di parrocchie neo-fasciste, il Front National (FN). Questo piccolo partito era stato creato su istruzione del generale De Gaulle. Lo scopo era raggruppare quel che rimaneva dei collaboratori nazisti e dei terroristi della guerra d’Algeria sotto gli occhiuti servizi segreti. Dopo l’assassinio del capo dell’FN, François Duprat, patentato agente dei servizi segreti in Africa, ascese alla direzione del partito Jean-Marie Le Pen, deputato che aveva attivamente partecipato alla presa del potere di De Gaulle nel 1958 [5]. Mitterrand iniziò a finanziarlo con i fondi segreti dell’Eliseo, attraverso un conto bancario svizzero [6]. Le Pen era un gollista alla guida degli anti-gollisti.
La figlia di Jean-Marie Le Pen, Marine, ha ereditato dal padre il partito e lo ha normalizzato. I collaboratori nazisti e i terroristi dell’OAS [Organisation de l’armée secrète, organizzazione paramilitare clandestina attiva durante la guerra d’Algeria, ndt] sono morti. Il partito, rinominato Rassemblement National (RN), ha la stessa impostazione del vecchio FN; tuttavia, dopo essere stato schernito come anti-gollista, oggi ha le sembianze, a ragione, di un partito gollista. Cosa normale, considerata la vera storia del partito, ma incomprensibile per chi la ignora. Da anni tutti accusano l’RN di essere di estrema destra, sebbene palesemente non lo sia affatto.
La litania dei vecchi partiti politici
Se l’RN è un erede legittimo del gollismo, i Républicains ne sono gli unici eredi legali. Ma sotto la guida di Nicolas Sarkozy hanno abbandonato i principi del gollismo per adeguarsi al sovrano globale, gli Stati Uniti. Hanno sostenuto la formazione di un’Unione Europea sovranazionale, il rientro delle forze armate francesi nel comando integrato della NATO, capeggiato dagli USA, nonché la fine dell’integrazione degli immigrati. Alle prossime elezioni saranno rappresentati da Valérie Pécresse, dirigente molto brillante che parla russo e giapponese, ma che proviene dall’élite francese americanizzata, di cui il marito è emblema: è stato vicepresidente di Alstom ed fu l’unico dirigente ad aver conservato il posto quando questo fiore all’occhiello dell’industria francese fu ceduto all’americana General Electric. La stessa Pécresse è stata Young Leader della French-American Foundation e viene invitata dalla NATO al Club di Bilderberg.
La République en marche di Emmanuel Macron ha superato la frattura destra/sinistra solo per pochi mesi. Poi il partito di Macron è diventato erratico, accontentando di volta in volta chi gli dava retta, salvo poi deluderlo. L’Eliseo ha parlato molto ma fatto poco, e sempre ciò che volevano gli amici di lunga data, cioè i fondi di gestione BlackRock e KKR [7]. Macron non ha programma, solo una formidabile abilità nel coccolare l’elettorato, nel promettere a tutti quel che si aspettano ma che mai vedranno. Non avendo maggioranza nel Paese, non può intraprendere nulla, quindi è diventato inutile per gli sponsor. Ciononostante si aggrappa al potere.
Abbandonando le classi popolari, la sinistra si è chiusa in se stessa. Non è altro che un’accozzaglia di gruppuscoli di eletti con la loro figliolanza. Dopo le macchinazioni di Mitterrand, il Partito Socialista è divenuto una combriccola di sognatori che si propone di cambiare il mondo, ma soprattutto vuole ignorare com’è fatto. Il Partito Comunista di comunista ha conservato solo il nome e non sa come andare in aiuto dei proletari di oggi. Les Insoumis di Jean-Luc Mélenchon sono prigionieri delle contraddizioni tra la cultura marxista del loro capo e il sinistrismo trotzkista dei militanti.
Quanto al Pôle écologiste di Yannick Jadot, tenta di convincersi che abbandonare le energie fossili e il nucleare creerà posti di lavoro. Nonostante le apparenze, il suo elettorato si colloca nel solco di una lunga tradizione che, da re Luigi XVI a Varennes al maresciallo Philippe Pétaine a Montoire, passando per Adolphe Thiers a Versailles, crede che copiare il modello tedesco salverà il proprio status sociale.
Chi ripristinerà il concetto di cittadinanza?
Questa logorante sequela di partiti politici ne esprime l’inadeguatezza al tempo che viviamo. Modello dell’età industriale, sono inadeguati all’epoca di internet. Oggi alle strutture verticali si sono sostituite le reti, ma i partiti non sono ancora stati capaci di adeguarsi.
Contrariamente al discorso dominante, non sono i populisti, ma le élite a distruggere la Democrazia (nel senso greco del termine). Il Consiglio Superiore per l’audiovisivo ha già fissato una regola priva di base giuridica: ora il lavoro di un giornalista dell’audiovisivo è detratto dal tempo di parola a disposizione quando annuncia l’intenzione di candidarsi alle elezioni presidenziali [8]. Successivamente, un tribunale ha condannato un ex presidente della repubblica per una vicenda su cui si era già pronunciata la Commissione Nazionale delle spese di campagna elettorale [9]. Infine, un partito politico ha esortato i giudici a impedire una candidatura in funzione dell’interpretazione delle sue dichiarazioni [10].
I partiti politici si adattano molto bene alla disaffezione alle urne. È più facile convincere la metà della popolazione che la totalità degli elettori. È meglio così, pensano: perché la gente dovrebbe interessarsi a problemi complessi che gli esperti affrontano con tanta difficoltà? Hanno torto. Colui o colei che vincerà le elezioni vincerà un soggiorno al palazzo dell’Eliseo, tuttavia non avrà il potere.
Benché i francesi siano legittimisti e amanti della politica, votano e ubbidiscono sempre meno. La crisi iniziata 17 anni fa sembra non finire più. Non si risolverà che attraverso uno strumento per ripristinare la sovranità nazionale e popolare. Ma se c’è qualcuno che, su impulso di Zemmour, allude alla riconquista della sovranità nazionale, nessuno osa parlare di sovranità popolare. Nessuno più conosce il significato di “cittadinanza”.
Il tempo ha distrutto non solo le pratiche democratiche ma anche eroso le fondamenta della Francia: la Repubblica (nel senso latino del termine). Diversamente da quanto s’insegna a scuola, la repubblica non ha nulla a che vedere con la modalità di designazione di chi la governa. Non è l’antitesi della monarchia o dell’impero: re Enrico IV (1589-1610), che mise fine alle guerre di religione, si dichiarava repubblicano; Napoleone I (1804-1815), che portò a termine la Rivoluzione, si consacrò «imperatore della Repubblica francese».
La Repubblica è il ritrarsi dei particolarismi nella sfera privata ed è il servizio in nome dell’interesse generale nella sfera pubblica. È un mezzo per vivere bene insieme. Ma il nostro fallimento politico attuale ci spinge a ripiegarci in comunità attorno a questa o a quell’altra minoranza.
Duecento anni fa la Francia sconvolse il mondo quando il popolo francese s’impadronì del potere politico. Non si tratta di pretendere che ogni cittadino si faccia un parere su tutto, ma che sia capace di governare il proprio destino sui temi che affronta nella vita quotidiana. Siamo regrediti. Le élite sono diventate parassiti. Non s’inchinano più davanti al re, ma davanti al sovrano statunitense. Duecento anni fa la Francia si riorganizzava in un sistema centralistico per rimediare agli squilibri regionali. Oggi la centralizzazione è sottrazione di responsabilità ai cittadini a vantaggio delle burocrazie parigine. Duecento anni fa la Francia libertina piegava la schiena di fronte a chierici ipocriti, in nome della loro interpretazione della religione. Oggi il nuovo clero, i media, impone al Paese nuovi dogmi e nuova morale.
Il popolo francese rumoreggia ma se ne sta cheto. Fino a quando?
Traduzione
Rachele Marmetti
[1] “Così l’Occidente divora i propri figli”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 4 dicembre 2018.
[2] “Operazione Sarkozy : come la CIA ha piazzato uno dei suoi agenti alla presidenza della Repubblica francese”, di Thierry Meyssan, профиль (Federazione Russa) , Rete Voltaire, 21 agosto 2008.
[3] Si tratta di François Durant de Grossouvre, che nel periodo tra le due guerre importò in Francia il Ku-Klux Klan.
[4] Si tratta di André Bettencourt. Sul suo passato si legga “La storia segreta de L’Oréal”, di Thierry Meyssan, Traduzione per Comedonchisciotte.org di Nunzia de Palma, Rete Voltaire, 19 marzo 2006.
[5] « Quand le stay-behind portait De Gaulle au pouvoir », par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 27 août 2001.
[6] Si vedano le nostre ricerche che portarono alla costituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare sui servizi d’ordine del FN, il DPS.
[7] “Verso chi è debitore Emmanuel Macron?”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 11 dicembre 2018.
[8] “Il CSA manipola le elezioni presidenziali”, di Réseau Voltaire, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 15 settembre 2021.
[9] “Una sentenza anticostituzionale contro la Repubblica Francese”, di Rete Voltaire, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 2 ottobre 2021.
[10] “Parlamentari tentano d’impedire una candidatura”, di Rete Voltaire, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 9 novembre 2021.